Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31068 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. III, 28/11/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 28/11/2019), n.31068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20913-2018 proposto da:

COMUNE DI SAN VITALIANO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO Q. VISCONTI 11, presso

lo studio dell’avvocato ANGELA FIORENTINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ENZO NAPOLANO;

– ricorrente –

contro

N.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

PASQUALE GUADAGNI, GIOVANNI DELLA CORTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1707/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I coniugi N.P. e D.B.P., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore N.D., convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Nola, il Comune di San Vitaliano, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni subiti dal figlio mentre si trovava in un’area comunale insieme ad altri bambini.

Esposero gli attori, a sostegno della domanda, che il loro figlio aveva subito la perdita traumatica dell’occhio sinistro, colpito da un tubo di ferro che faceva parte della struttura metallica di una panchina sita in quel luogo.

Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda attribuendo la responsabilità di quanto accaduto al caso fortuito e condannò gli attori in solido al pagamento di metà delle spese di lite, compensate quanto all’altra metà.

2. La pronuncia è stata impugnata da N.D., divenuto maggiorenne già durante il giudizio di primo grado, e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 13 aprile 2018, ha riformato la decisione del Tribunale e, attribuendo al Comune l’esclusiva responsabilità di quanto accaduto, ha condannato il medesimo al risarcimento dei danni, liquidati nella somma complessiva di Euro 154.646, nonchè al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Ha osservato la Corte territoriale, richiamando integralmente il testo di alcune deposizioni testimoniali e dell’interrogatorio formale reso da D.B.P., che doveva ritenersi dimostrato che l’incidente era stato determinato dall’improvvisa fuoriuscita di un tondino di ferro esistente sulla panchina alla quale la vittima si era avvicinata insieme ad altri bambini. La panchina era priva di schienale e, nel momento in cui uno dei bambini aveva cercato di sedervisi, la stessa aveva avuto uno spostamento tale che il tondino di ferro, scattato come una molla, aveva colpito irreparabilmente l’occhio del N., che si era avvicinato. La panchina suddetta era nella custodia del Comune appellato, così com’era pacifico che quell’area fosse adibita anche a luogo di giochi per i bambini. Non vi erano, inoltre, contraddizioni tra le deposizioni dei testimoni, posto che tutti avevano concordato nell’affermare che era stato un tondino di ferro la causa del grave incidente.

Ha aggiunto la Corte territoriale che non poteva essere ritenuto elemento utile ai fini della classificazione dell’evento come caso fortuito la circostanza per cui dalla lettura della cartella clinica redatta presso l’Ospedale (OMISSIS) risultava che il padre del bambino aveva dichiarato che il figlio si era infortunato per il colpo subito da un bastone di ferro lanciato da un coetaneo. Ed infatti, pur risultando dalla citata cartella una simile affermazione, la stessa non poteva essere considerata di alcuna utilità ai fini probatori, perchè in nessuna parte di quel documento risultava l’autore di tale informazione; ragione per cui appariva del tutto ingiustificata l’attribuzione della medesima al padre della vittima.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso il Comune di San Vitaliano con atto affidato a tre motivi.

Resiste N.D. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo.

Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto dimostrato, in assenza di una specifica prova, che la panchina teatro del sinistro fosse oggettivamente una fonte di pericolo. Il ricorrente, richiamati i principi della giurisprudenza di legittimità, rileva che l’attore danneggiato deve dimostrare il danno, il nesso causale, la pericolosità dello stato dei luoghi e il comportamento corretto da lui tenuto. Nella specie, al contrario, la precarietà della panchina e la intrinseca pericolosità della medesima non erano state dimostrate, per cui non sarebbe stata fornita la prova dello stato di pericolo obiettivo della cosa inerte.

1.1. Il motivo, che presenta evidenti profili di inammissibilità, è in ogni caso privo di fondamento.

E’ inammissibile la doglianza con la quale il ricorrente contesta il dato obiettivo della pericolosità della panchina che è stata causa dell’incidente. Il giudice di merito, infatti, ha esaminato il punto con dovizia di particolari, per cui questa parte della censura si risolve nel tentativo di sollecitare questa Corte ad un diverso e non consentito esame del merito.

Ciò premesso, il Collegio osserva che la correttezza dei richiami compiuti dalla parte ricorrente alla giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità del custode e di onere della prova del nesso di causalità e del caso fortuito non giova comunque all’accoglimento del motivo. Ed infatti, la necessità di dimostrare la pericolosità della cosa o dello stato dei luoghi è stata affermata dalla giurisprudenza di questa Corte in situazioni nelle quali il danno non derivava da un dinamismo intrinseco della cosa (così, tra le altre, la sentenza 5 febbraio 2013, n. 2660, e le ordinanze 20 ottobre 2015, n. 21212, e 11 maggio 2017, n. 11526). Ma nel caso in esame la Corte di merito, con un accertamento in fatto non più modificabile in questa sede, è pervenuta alla conclusione per cui la cosa era intrinsecamente pericolosa; è chiaro, infatti, che una panchina priva di schienale che, nel momento in cui un ragazzino si siede, subisce un movimento tale che un tondino di ferro scatta come una molla e colpisce irreparabilmente l’occhio di qualcuno è, a tutti gli effetti, pericolosa.

D’altra parte, il Comune oggi ricorrente non ha dimostrato di aver agito rispettando i suoi obblighi di custode, nè risulta che il bambino abbia tenuto un comportamento strano, particolare o indebito tale da poter ritenere integrato il caso fortuito.

2. Con il secondo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo.

Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente mancato di dare rilievo alla circostanza per cui la panchina ed il giardinetto erano stati oggetto di manutenzione da parte del Comune stesso. Dalle prove assunte sarebbe risultato che dieci giorni prima del fatto gli addetti del Comune avevano svolto un’attività di manutenzione dell’area in questione, per cui il Comune avrebbe assolto l’onere della prova liberatoria gravante a suo carico.

2.1. Il motivo è inammissibile per due concorrenti ragioni.

Da un lato perchè, analogamente a quanto detto a proposito del primo motivo, sollecita questa Corte ad un diverso e non consentito esame del merito.

Dall’altro lato, poi, il profilo in discussione è del tutto irrilevante ai fini dell’eventuale accoglimento del ricorso. Anche ammettendo, infatti, che il Comune abbia fatto manutenzione dell’area così come indicato nel motivo in esame, ciò non andrebbe a mutare l’elemento decisivo sul quale la Corte di merito ha deciso la causa, e cioè che quella panchina era in quel momento in condizioni di inaccettabile pericolosità.

3. Con il terzo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2051,2697 e 2699 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo.

La censura ha ad oggetto la valutazione compiuta dalla Corte d’appello sul referto medico dal quale risultava che il fatto dannoso era da ricondurre ad un colpo sferrato da un altro bambino. L’affermazione, contenuta nell’anamnesi della cartella clinica dell’ospedale, sarebbe assistita dalla fede privilegiata di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., come confermato anche da pronunce della Corte di legittimità secondo le quali il certificato medico rilasciato da un medico di un pubblico ospedale fa fede sino a querela di falso delle dichiarazioni al medesimo rese. La Corte di merito, quindi, avrebbe dovuto tenere in considerazione quell’atto, nei confronti del quale non era stata proposta querela di falso.

3.1. Il motivo non è fondato.

La stessa giurisprudenza riportata nel ricorso non riconduce alla certificazione ospedaliera una fede privilegiata generale, ma afferma semplicemente che essa fa piena prova, sino a querela di falso, della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni rese al medesimo, e degli altri fatti da questi compiuti o che questi attesti avvenuti in sua presenza (sentenza 24 settembre 2015, n. 18868, e ordinanza 20 novembre 2017, n. 27471).

Nel caso specifico il certificato in questione, che la Corte d’appello ha comunque esaminato e valutato nel contesto del quadro probatorio generale, non conteneva alcuna informazione riconducibile a fatti compiuti dal pubblico ufficiale o comunque avvenuti in sua presenza, ma soltanto un generico richiamo a fatti riferiti da altri e privi dell’indicazione dell’autore di quelle affermazioni; il che significa che correttamente il giudice di merito ha escluso ogni valenza probatoria privilegiata a quel documento.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, da distrarre in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, da distrarre in favore dei difensori avvocati Giovanni Della Corte, Raffaele e Pasquale Guadagni antistatari.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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