Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31066 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. III, 28/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 28/11/2019), n.31066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18903-2018 proposto da:

COMUNE GUGLIONESI, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI, 5,

presso lo studio dell’avvocato MARIA SARA DEROBERTIS, rappresentato

e difeso dall’avvocato LORENZO DEROBERTIS;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA CAMPOBASSO, in persona del suo Presidente pro tempore

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FAMIANO NARDINI,

1/C, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CALIO’, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIO PIETRUNTI;

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAZIO, 14,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LAGOTETA, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUIGI GIARDINO;

– controricorrenti –

e contro

COMPAGNIA ASSICURAZIONI REALE MUTUA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 104/2018 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Guglionesi ricorre, servendosi di 6 motivi illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Campobasso n. 104/2018 del 22 febbraio 2018, pubblicata il 22 marzo 2018 e notificata il 16 aprile 2018.

Resistono con autonomi controricorsi la Provincia di Campobasso e T.G..

Il Comune ricorrente espone di essere stato convenuto in giudizio da T.G., in data 20 novembre 2003, per essere condannato a risarcirgli i danni derivanti dall’allagamento dei locali seminterrati del fabbricato di sua proprietà, asseritamente causato dalla rottura, per carenza di manutenzione, della rete fognaria comunale, verificatasi in occasione del nubifragio del 4 ottobre 2000, e di avere chiamato in causa la Provincia di Campobasso, quale proprietaria del tratto di strada attiguo al terreno dell’attore, per sentirla dichiarare responsabile esclusiva o corresponsabile del danno, nonchè la Reale Mutua Assicurazioni, propria Compagnia assicurativa, per essere da essa garantita.

Il Tribunale di Larino, sez. distaccata di Termoli, con sentenza n. 243/2012, rigettava la domanda attorea per mancata prova del nesso causale tra la ritenuta omessa manutenzione del tratto fognario e l’evento dannoso, risultando invece provata l’eccezionalità del nubifragio.

La sentenza veniva impugnata dal soccombente dinanzi alla Corte d’Appello di Campobasso che, con la sentenza oggetto del presente ricorso, evidenziando che il Comune, in via stragiudiziale, aveva riconosciuto la propria responsabilità, che la CTU svolta in primo grado, pur non potendo stabilire la percentuale di apporto causale delle singole concause, aveva ritenuto il Comune in parte preponderante responsabile, che nessuna prova del caso fortuito era stata fornita dal Comune, che anche l’attore aveva contribuito sia pure in minima parte al verificarsi del danno, poneva a carico del Comune i 2/3 della responsabilità e liquidava i danni nella corrispondente misura. Escludeva, inoltre, che l’odierno ricorrente avesse legittimazione a chiamare in causa la Provincia, non essendo titolare del diritto al risarcimento dei danni, non ricorrendo alcun rapporto tra il comune e la provincia che giustificasse la chiamata in causa di quest’ultima e non avendo chiesto la graduazione delle responsabilità ai fini del regresso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il Comune deduce la violazione e falsa applicazione dei canoni interpretativi di cui all’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 e 2735 c.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La tesi dell’Ente locale è che la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato la Delib. comunale 27 giugno 2001, n. 94 e la successiva nota del 29 giugno 2001, relative ad un tentativo di composizione stragiudiziale della controversia, ravvisandovi il riconoscimento di una sua responsabilità nella causazione dei danni, almeno nella misura indicata dal suo consulente, posto che la responsabilità del danno alla proprietà dell’odierno ricorrente era stata attribuita alle precipitazioni atmosferiche, che la perizia per la quantificazione dei danni aveva carattere esplorativo e che le conclusioni non erano state ratificate, perchè ritenute erronee e non condivisibili.

Il motivo verrà esaminato congiuntamente con il motivo numero sei, data la connessione tra le questioni prospettate.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., dell’art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo aggredisce il capo della sentenza con cui la Corte territoriale ha ritenuto non provato il caso fortuito, atto ad interrompere il nesso causale, imputandole l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti ed emerso dalla CTU, rappresentato dal fatto che le condotte fognarie erano andate in pressione a causa delle ingenti quantità di acque meteoriche confluite nella rete fognaria; l’eccezionale nubifragio, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbe dovuto essere considerato un fattore, imprevedibile ed eccezionale, estraneo alla sfera soggettiva del custode, idoneo ad interrompere il nesso causale tra cosa e danno.

E’ opportuno rilevare che questa Corte ha già avuto occasione di occuparsi specificamente del se un fenomeno di pioggia insistente e persistente che assuma i caratteri dell’alluvione – solo sulla portata del fenomeno atmosferico fa leva il Comune investito dell’obbligo di custodia per invocare l’interruzione del nesso causale – costituisca un evento di forza maggiore idoneo di per sè ad interrompere il nesso di causalità, in considerazione del carattere di straordinarietà ed imprevedibilità dello stesso, pervenendo ad una risposta negativa, quando la saltuarietà di un allagamento provocata da un nubifragio non sia accompagnato dalla prova che le piogge alluvionali siano state la causa efficiente della produzione del danno nonostante la più scrupolosa manutenzione e pulizia della cosa in custodia, non bastando altrimenti a configurare l’esimente del caso fortuito, in quanto non si può escludere la prevedibilità di una precipitazione atmosferica anche particolarmente intensa in base alla comune esperienza (Cass. 11/05/1991, n. 5267; Cass. 09/03/2010, n. 5658). Più di recente questa Corte ha statuito quanto segue: “richiamando anche la giurisprudenza penale di questa Corte – secondo cui il caso fortuito equivale a mancanza di colpa, pur sussistendo il nesso causale, mentre la forza maggiore costituisce un impedimento che derivi da cause esterne e che non sia imputabile all’agente – bisogna affermare che la possibilità di invocare il fortuito o la forza maggiore sussiste solo se il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante abbia un’efficacia di tale intensità da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, ossia che possa essere considerato una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento. E’ evidente, perciò, che una pioggia di particolare forza ed intensità, protrattasi per un tempo molto lungo e con modalità tali da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia, può, ragionando in astratto, integrare gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore; ma non quando sia stata accertata dal giudice di merito l’esistenza di elementi dai quali desumere una sicura responsabilità proprio del soggetto che invoca l’esimente in questione” (in termini Cass. 17/12/2014, n. 26545; nello stesso senso cfr. Cass. 24/09/2015, n. 5877; Cass. 24/03/2016, n. 18877; Cass. 28/07/2017, n. 18856).

Nella stessa pronuncia la Corte ha aggiunto “che il discorso sulla prevedibilità maggiore o minore di una pioggia a carattere alluvionale certamente impone oggi, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano il nostro Paese, criteri di accertamento improntati ad un maggior rigore, poichè è chiaro che non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, purtroppo, drammaticamente prevedibili”.

Posto che, come già precisato, il Comune si è limitato ad addurre quale possibile esimente la particolare intensità della precipitazione, deve ritenersi che la Corte territoriale non sia incorsa in errore escludendo l’avvenuta dimostrazione del caso fortuito.

Nè può assumere rilievo il fatto che l’Ente comunale si sia prontamente attivato per far intervenire la protezione civile e per ottenere la dichiarazione della calamità naturale, atteso che, come rilevato da questa Corte, gli ingenti danni alla popolazione e la dichiarazione di calamità naturale si riferiscono solo alla straordinarietà degli interventi tecnici destinati a far fronte all’evento atmosferico, ma lasciano impregiudicata la causa dei danni (Cass. 01/02/2018, n. 2482).

Il motivo, dunque, è infondato.

3. Con il terzo motivo il Comune assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324,329 e 340 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Posto che il giudice di prime cure aveva respinto le eccezioni formulate dalla Provincia, relative al difetto di legittimazione attiva dell’Ente locale a proporre domanda nei suoi confronti ed alla carenza di sua legittimazione passiva per mancata titolarità del tratto di strada interessato dall’evento, la Provincia, essendosi limitata in appello, a riproporre le sue eccezioni nella comparsa di costituzione e risposta, non avrebbe impedito il formarsi del giudicato sulla questione della legittimazione; di conseguenza, la sentenza gravata, accogliendo le eccezioni della Provincia, avrebbe violato il giudicato.

Il motivo è infondato, perchè costituisce ius receptum che le pronunce emesse in materia di integrità del contraddittorio hanno contenuto e natura meramente ordinatori, giammai decisori, e, conseguentemente, non possono costituire sentenza non definitiva suscettibile di separata impugnazione o riserva di appello e, in difetto, di passaggio in giudicato (Cass. 06/07/2018, n. 17898).

4. Con il quarto motivo il ricorrente attribuisce al provvedimento gravato la violazione e falsa applicazione dell’art. 106 c.p.c. e degli artt. 2055 e 2051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi del ricorrente è che anche il convenuto principale possa, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., chiamare in causa un terzo al quale ritiene comune la causa, vieppiù quando vi sia identità di titoli di responsabilità.

Il Comune assume di aver chiamato in causa la Provincia – deducendone la responsabilità esclusiva ed invocando la propria liberazione da responsabilità – in quanto proprietaria della strada tramite la quale si era propagato l’allagamento, siccome accertato dal giudice di prime cure, con conseguente applicazione del principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore nei suoi confronti.

Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte ritiene che il principio dell’estensione automatica della domanda principale al terzo chiamato in causa dal convenuto trovi applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell’attore, in ragione del fatto che il terzo venga individuato come unico obbligato nei confronti dell’attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l’obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l’attore in alternativa rispetto a quella individuata dall’attore), ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l’unicità del complessivo rapporto controverso.

La conclusione è la medesima quando il terzo chiamato in giudizio sia ritenuto non responsabile esclusivo, ma corresponsabile del danno, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell’evento dannoso non danno luogo a diverse obbligazioni risarcitorie, con la conseguenza che la chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell’oggetto della domanda ma evidenzia esclusivamente una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo stesso titolo risarcitorio (da ultimo in tal senso cfr. Cass. 25/06/2019, n. 16919).

Ora, nell’ipotesi oggetto della odierna controversia, la Provincia era stata chiamata in causa come soggetto parzialmente responsabile del danno risentito da T.G., perciò la Corte territoriale avrebbe potuto e dovuto ritenere automaticamente estesa la domanda dell’attore nei suoi confronti.

A diverso risultato non si perviene in considerazione del fatto che la Provincia era stata convenuta in giudizio non nella sua veste di custode – quindi allo stesso titolo del convenuto – ma solo in quanto proprietaria di un tratto di strada e senza alcuna indicazione in merito ai suoi eventuali compiti di custodia della condotta fognaria che, andando sotto pressione, aveva provocato l’allagamento dei locali di proprietà di T.G.; deve escludersi, infatti, che il giudice fosse tenuto ad esaminare un diverso rapporto sostanziale rispetto a quello invocato dall’attore nei confronti del convenuto – ipotesi, ricorrendo la quale non è consentita l’estensione automatica della domanda nei confronti del terzo in assenza di una esplicita domanda dell’attore in tal senso: Cass. 29/01/2018, n. 2074; Cass. 09/04/2019, n. 9808 – stanti l’unicità del fatto costitutivo delle due fattispecie di responsabilità, quella di cui all’art. 2051 c.c. e quella fondata sulla clausola generale dell’art. 2043 c.c., rappresentato dalla causazione del danno – pure a fronte di un elemento reciprocamente specializzante, dato dal criterio d’imputazione alternativo che, nel secondo caso, è la colpa, e, nel primo la situazione di custodia – l’unicità del diritto soggettivo al risarcimento del danno e dell’unicità dell’azione a favore del danneggiato (Cass. 28/04/2017, n. 10513).

5. Con il quinto motivo il Comune denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 99 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’odierno ricorrente non avesse chiesto la graduazione della responsabilità ex art. 2055 c.c., comma 2, al fine di un eventuale regresso.

Il Comune assume di avere chiesto, con comparsa di costituzione e risposta con chiamata di terzo, che fosse dichiarata in via esclusiva o nella misura che sarebbe risultata in corso di causa responsabile dell’allagamento e per l’effetto condannarlo al risarcimento dei danni e di avere ribadito tale richiesta con la comparsa di costituzione e risposta in appello; di conseguenza, a suo avviso, il giudice a quo avrebbe erroneamente ritenuto che non fosse stato chiesto l’accertamento del grado di responsabilità della Provincia.

Il motivo è assorbito.

6. Con il sesto ed ultimo motivo l’ente comunale lamenta l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione dei canoni interpretativi degli atti amministrativi di cui all’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 c.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Atteso che la CTU aveva ritenuto corresponsabile la vittima ed il complesso condominiale (OMISSIS), non chiamata in giudizio, e concluso per l’impossibilità oggettiva di attribuire a ciascun fattore concausale una precisa quota di responsabilità, il giudice avrebbe dovuto, in applicazione dell’art. 2055 c.c., comma 3, a tenore del quale ove non sia possibile provare la gravità delle colpe dei corresponsabili le stesse si presumono uguali, e non avrebbe dovuto attribuire efficacia confessoria al tentativo conciliativo.

Il motivo, come anticipato, va esaminato congiuntamente con il motivo numero uno.

Giova ricordare che la determinazione dell’efficienza causale di ciascun comportamento responsabile è un tipico accertamento di fatto che sfugge al sindacato di responsabilità ove adeguatamente motivato. E’ principio consolidato che, in tema di responsabilità civile, qualora l’evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trovi soluzione nell’art. 41 c.p. – norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità – in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti la esclusiva efficienza causale di una di esse, mentre resta riservata al giudice del merito la determinazione del grado delle colpe concorrenti, in base ad una valutazione complessiva dei fatti e dell’efficienza causale del comportamento colposo di ciascuno dei corresponsabili, per cui la determinazione del grado delle colpe concorrenti è rimessa all’apprezzamento del giudice del merito (ex plurimis cfr. Cass. 10/01/2017, n. 272; Cass. 27/08/2015, n. 17240; Cass. 30/11/2009, n. 25236).

La Corte territoriale ha tratto il proprio convincimento dai fatti di causa e dagli elementi raccolti ed, avvalendosi delle facoltà riconosciutele dalla legge, ha ricavato argomenti di prova (anche) dal tentativo del Comune di addivenire definitivamente ad un giusto ed equo risarcimento in via stragiudiziale, dalla relazione del consulente del Comune che aveva concluso per l’indennizzabilità di 2/3 del danno subito oltre che dalle risultanze della CTU che, comunque, aveva ravvisato in relazione ai danni derivanti dalla fuoriuscita dei liquami la maggiore responsabilità a carico del Comune e solo per i danni derivanti dalla fuoriuscita delle acque il contributo causale del danneggiato, del complesso condominiale, del Comune e della Provincia.

La presunzione di cui all’art. 2055 c.c., invocata dal ricorrente, trova applicazione solo allorchè difettino indicazioni specifiche che siano in grado di orientare verso il riconoscimento del maggiore apporto causale di una o più condotte colpose. Il giudice, in tema di responsabilità per danni da fatto illecito, qualora il fatto dannoso sia imputabile a più persone, può fare ricorso alla presunzione di uguaglianza delle colpe di cui all’art. 2055 c.c., u.c. solo in presenza di una situazione di dubbio oggettivo e reale, configurabile quando non sia possibile valutare neppure approssimativamente la misura delle singole responsabilità (Cass. 25/06/1990, n. 6400).

Nessun errore può essere, dunque, attribuito alla Corte territoriale in quanto la fonte del relativo convincimento si radica in una ricostruzione dei fatti fondata sulla propria valutazione delle prove e degli argomenti di prova che non presta il fianco a critiche.

Il mancato accoglimento di questo motivo rende inammissibile il motivo numero uno, quand’anche fondato relativamente alla mancanza di efficacia confessoria della delibera comunale.

E’ vero, infatti, che il riconoscimento di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte non ha natura confessoria, per mancanza di animus confitendi, ove costituisca l’oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione. In questo caso quella dichiarazione non costituisce una dichiarazione di scienza fine a se stessa, ma si inserisce nel contenuto del contratto transattivo ed è strumentale rispetto al raggiungimento dello scopo di questo, il che fa venir meno, nella rappresentazione interna che l’autore si forma della propria dichiarazione, la basilare caratteristica che alle confessioni conferisce forza probante (Cass. 21/06/2018, n. 16316).

La circostanza che nel tentativo di transazione inter partes non andato a buon fine il Comune si fosse o meno dichiarato responsabile non avrebbe consentito di attribuire a tale asserita ammissione valenza confessoria in assenza dell’animus confitendi, dovendosi valutare detta affermazione comunque quale elemento costitutivo dell’aliquid datum, aliquid retentum, che forma la causa del contratto di transazione (Cass. 15/05/2018, n. 11743), ma non era precluso alla Corte considerare il tentativo stragiudiziale di composizione delle lite e/o la perizia stragiudiziale alla stregua di argomenti di prova di cui avvalersi per apprezzare la misura del concorso concausale dell’odierno ricorrente alla produzione del danno (cfr. Cass. 26/06/2007, n. 14748; Cass. 01/04/1995, n. 3822, quanto alla possibilità che il giudice tragga argomenti di prova dal comportamento processuale ed extraprocessuale delle parti).

7. In definitiva, merita accoglimento il motivo numero quattro, il motivo numero cinque è assorbito, i restanti motivi sono infondati.

8. Di conseguenza, la sentenza viene cassata in relazione al motivo accolto e la controversia è rinviata alla Corte d’Appello di Campobasso in diversa composizione che si farà carico anche della regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbito il quinto ed infondati i restanti.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rimette la controversia alla Corte d’Appello di Campobasso in diversa composizione in relazione al motivo accolto che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte di Cassazione, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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