Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31065 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. III, 28/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 28/11/2019), n.31065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul. ricorso 15140-2018 proposto da:

COMUNE DI ACI BONACCORSI, nella persona del Sindaco pro tempore,

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NUNZIO MANCIAGLI;

– ricorrente –

contro

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRATTINA,

89, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SCARDACI DI GRAZIA, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2118/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 16/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Aci Bonaccorsi ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catania, n. 2118/2017, pubblicata il 16 novembre 2017 e spedita in forma esecutiva il 14 dicembre 2017, servendosi di sei motivi, illustrati con memoria.

G.V. propone controricorso.

Il Comune ricorrente espone in fatto di essere stato convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Catania da G.V. per essere condannato a risarcirgli i gravi danni fisici che egli lamentava di avere subito, cadendo dal suo motociclo Vespa il (OMISSIS), a causa del manto stradale dissestato con ampi avvallamenti non segnalati.

Il Tribunale adito respingeva la domanda attorea con sentenza n. 531/1990, ritenendo che G.V. non avesse nè provato nè dedotto “non solo la presenza di una buca (o comunque si voglia definire l’anomalia della carreggiata visibile in foto), ma neppure l’esistenza di un fenomeno che, nel caso concreto, sia idoneo ad essere definito insidia o trabocchetto in relazione al complesso di caratteristiche dei luoghi (luminosità, visibilità, ecc.) ed alle caratteristiche del danneggiato (familiarità con i luoghi, pregressa conoscenza della situazione di pericolo)”.

G.V. interponeva appello dinanzi alla Corte d’Appello di Catania, attribuendo al giudice di prime cure il travisamento dei fatti di causa, avendo egli provato l’esistenza della buca tramite due deposizioni testimoniali, e l’erronea interpretazione dei fatti di causa, eccependo di avere agito in via principale ex art. 2051 c.c. e, solo in subordine, ex art. 2043 c.c., lamentando il cattivo esercizio del potere del giudice di qualificare la domanda, ex art. 113 c.p.c.

Il Comune, odierno ricorrente, oltre a contestare i motivi di appello, proponeva appello incidentale condizionato, con cui insisteva con la richiesta di accertamento dell’intervenuta prescrizione, respinta dal giudice di prime cure, e con quella di responsabilità o di corresponsabilità dell’appellante nella causazione del sinistro, attesa l’eccessiva velocità del mezzo, chiedeva la nomina di un consulente, instava per la riforma del capo relativo alla regolazione delle spese processuali.

La Corte territoriale, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, modificava la decisione di prime cure e condannava l’appellato al pagamento a favore di G.V. della somma di Euro 71.556,25, a titolo di danno biologico, e di Euro 600,00, per rimborso delle spese; regolava le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, ponendole a carico dell’odierno ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., con riferimento agli artt. 1324,1724,1387,1392 e 1399 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il Comune, deducendo il decorso del termine quinquennale tra la data del sinistro, (OMISSIS), e quella di denuncia dello stesso con contestuale richiesta risarcitoria, 6 settembre 2000, e la data della notifica dell’atto di citazione, 10 febbraio 2006, ritiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare prescritto il diritto al risarcimento del danno, non potendosi attribuire effetto interruttivo alla nota del 5 aprile 2004, firmata dall’avvocato della vittima, senza indicazione del mandato o della procura per il compimento dell’atto.

Entrambi i giudici di merito avevano attribuito effetti interruttivi alla nota suddetta, sulla scorta della pronuncia di questa Corte, la n. 2965/2017, secondo cui l’intimazione scritta ad adempiere necessita della forma scritta, mentre non occorre la forma scritta per conferire la procura per la costituzione in mora, potendo questa risultare anche da un comportamento univoco e concludente idoneo a rappresentare al terzo che l’atto è compiuto da soggetto nella cui sfera giuridica sono destinati a prodursi gli effetti.

La tesi del ricorrente è che questa Corte regolatrice non abbia tenuto conto del dettato normativo che individua nell’interessato la fonte del potere di rappresentanza e che per questo prescrive che la procura non abbia effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere, ed esclude, a tutela del terzo, che la ratifica operi retroattivamente.

Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c.

La giurisprudenza di questa Corte, prendendo le mosse dal contenuto dell’art. 2943 c.c., comma 1, secondo cui la prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore, ha ripetutamente affermato che “l’atto interruttivo della prescrizione non richiede alcuna tipicità o formalità tassative, trattandosi di atto libero nella forma, purchè nel mezzo e nel contenuto esprima in modo inequivocabile la volontà di far valere il diritto da parte del creditore nei confronti del debitore”.

E per quanto in particolare riguarda l’asserita necessità della procura, questa Corte ritiene che “in tema di atti interruttivi della prescrizione, la circostanza che la costituzione in mora provenga non dal creditore personalmente, ma da soggetto che abbia agito nella dichiarata qualità di rappresentante o mandatario del titolare del diritto, in forza di un potere genericamente o specificamente abilitante, ancorchè conferito senza formalità (…) non toglie all’atto la sua idoneità interruttiva”, così come “la procura per il compimento di un atto giuridico, non negoziale, come l’atto di costituzione in mora, tendente a produrre l’effetto interruttivo della prescrizione, può essere conferita anche verbalmente, e la prova di tale conferimento può essere fornita anche con presunzioni” (Cass. 22/02/2006, n. 3873).

Giova ribadire che con le memorie illustrative ex art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380 bis c.p.c. non è consentito specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni, violandosi altrimenti il diritto di difesa della controparte (Cass. 22/02/2016, n. 3471; Cass. 20/12/2016, n. 26332).

Tale precisazione si rende necessaria in considerazione del fatto che il Comune ricorrente con la memoria deposita in vista dell’odierna Camera di Consiglio, a p. 11 e ss., ha introdotto un argomento nuovo, volto a supportare l’eccezione di prescrizione, fondato sul contenuto non interruttivo della lettera del 5 aprile 2004 – il cui testo è riportato a p. 12 della memoria, ma non era stato riprodotto nel ricorso – perchè essa conteneva un mero invito a definire in via bonaria la questione del risarcimento, senza l’indicazione della inequivoca volontà di far valere la pretesa creditoria nei confronti dell’obbligato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., degli artt. 112,113 e 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’errore imputato alla Corte territoriale è quello di avere qualificato la domanda dell’appellante come domanda risarcitoria per danno derivante da cose in custodia, nonostante tutta l’impostazione del procedimento di primo grado, proprio in ragione delle allegazioni dell’attore, si fosse svolto sul presupposto di una responsabilità per colpa del convenuto.

La decisione del giudice a quo si porrebbe, ad avviso del Comune, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che, in considerazione del diverso onere probatorio della responsabilità per omessa custodia rispetto a quella fondata sull’art. 2043 c.c., considera domanda nuova quella con cui solo in appello si invoca la responsabilità ex art. 2051 c.c. a meno che sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado siano enunciate situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplate dall’art. 2051 c.c., non bastando il mero richiamo della norma, richiedendosi invece che il contesto delle argomentazioni difensive deduca inequivocamente la sussistenza anche di una responsabilità da custodia.

Il motivo risulta infondato.

La qualificazione della domanda, in seconde cure, ex art. 2051 c.c., è da ritenere corretta, poichè quando la parte agisce prospettando condotte astrattamente compatibili con la fattispecie prevista dall’art. 2051 c.c., anche la loro riconduzione, operata dal giudice di primo grado, all’art. 2043 c.c., non vincola il giudice d’appello nel potere, suo proprio, di riqualificazione giuridica dei fatti costitutivi della pretesa azionata (Cass. 09/06/2016, n. 11805), così come quindi non lo vincola, logicamente, il riferimento formale, della parte, all’art. 2043 c.c. (Cass. 22/11/2016, n. 23727).

3. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il Comune imputa alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione degli artt. 324,112 e 345 c.p.c., per aver violato il giudicato formatosi sulla qualificazione della domanda. G.V., infatti, non aveva impugnato in appello il capo relativo alla qualificazione della domanda: segno, secondo l’ente locale, che non aveva ritenuto ricorrente un vizio processuale riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in tema di risarcimento dei danni, l’indicazione nell’atto introduttivo, e la conseguente applicazione in primo grado, di una norma che costituisce titolo di responsabilità diverso da quello realmente esistente, e correttamente individuato nel giudizio di appello, non comporta la formazione di un giudicato implicito, trattandosi di mera qualificazione giuridica del fatto storico addotto a fondamento della richiesta risarcitoria.

L’attore totalmente vittorioso in primo grado non ha, pertanto, l’onere di proporre appello incidentale al fine di far valere la possibilità che la responsabilità del danneggiante, accertata in primo grado sul piano fattuale, sia riconducibile a una diversa fonte; mentre rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, in qualsiasi fase del procedimento, il compito di qualificare giuridicamente la domanda e di individuare conseguentemente la norma applicabile (cfr., con riferimento alla qualificazione da parte del giudice di appello dell’inquadramento della fattispecie ai sensi dell’art. 2051 c.c., con mutamento, in assenza di appello incidentale, della qualificazione giuridica proposta dall’attore ed accolta dal giudice di primo grado, che aveva ritenuto applicabile l’art. 2043 c.c., Cass. 18/7/2011, n. 15724; Cass. 05/9/2005, n. 17764; Cass. 08/05/2015, n. 9294).

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.c. e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che avevano formato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La Corte territoriale non avrebbe valutato le prove testimoniali del comandante della Polizia municipale, del geometra responsabile dell’area tecnica, del dipendente addetto alla manutenzione degli spazi pubblici che avrebbero dichiarato che la strada teatro dell’incidente, rettilinea, era illuminata e priva di tratti sconnessi, del teste L., che aveva confermato le buone condizioni del manto stradale, nonchè il rapporto dei carabinieri di Viagrande che aveva escluso la presenza di anomalie sul manto stradale; non avrebbe disposto una consulenza atta a verificare la natura potenzialmente lesiva della cosa; di conseguenza, avrebbe fatto malgoverno delle massime di esperienza e violato i principi logici sottesi al prudente apprezzamento delle prove, pervenendo ad una decisione non conforme alla giurisprudenza di legittimità che, in assenza di prova della pericolosità dello stato dei luoghi, della natura potenzialmente lesiva della cosa che spettava alla vittima provare, esclude possa ravvisarsi responsabilità ex art. 2051 c.c.

Il motivo è inammissibile:

a)in parte, perchè si fonda su una inaccoglibile richiesta di diversa valutazione di prove, rimesse al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale ha evinto “dall’univoco tenore delle deposizioni dei testi” che la caduta della vittima “è stata determinata dalla presenza del manto stradale dissestato posta al di sotto del livello di asfalto, in prossimità del margine destro della carreggiata e priva di qualsivoglia segnalazione, in una situazione di illuminazione insufficiente”; risulta evidente che vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione;

b) in parte, perchè il lamentato omesso esame di elementi di prova, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio previsto dalla norma, quando, come nel caso di specie, il fatto storico rappresentato – la caduta provocata dallo stato del manto stradale – sia stato preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053); occorre ricordare che la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta delle risultanze ritenute idonee ad acclarare i fatti (privilegiandone alcune e disattendendone altre) rientra nel sindacato riservato al giudice di merito.

Il motivo viola anche il principio di autosufficienza, consacrato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, perchè nè delle deposizioni testimoniali nè del rapporto di polizia municipale, su cui si fondano le censure del ricorrente, sono stati trascritti, almeno nei passaggi salienti, e non sono stati neppure stati indicati i riferimenti necessari a reperirli; infine, non tiene conto che la più recente giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità per danni da cose in custodia ritiene che, al fine di configurare la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c., il danneggiato è gravato dell’onere di provare il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima. Il giudice a quo era tenuto a verificare esclusivamente se il danneggiato avesse fornito la prova del nesso di derivazione causale tra la cosa custodita e le conseguenze dannose verificatesi. Purchè si tratti di un danno cagionato da una cosa e questa sia una cosa che si ha in custodia, null’altro è richiesto, atteso che la responsabilità risarcitoria prevista dall’art. 2051 c.c. deve intendersi quale contrappeso al riconoscimento di una signoria sulla cosa in capo ad un soggetto, il custode, che ne tragga o possa trarne beneficio, dovendosi precisare che tutte le cose possono costituire causa di danno, quale che sia la loro struttura e qualità, siano esse inerti o in movimento, pericolose o meno (Cass. 21/05/2019, n. 13598; Cass. 01/02/2018, n. 2482).

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il danneggiato, secondo il ricorrente, non aveva provato il nesso di causa tra la cosa e il danno, non potendosi tale prova assumere dalla mera esistenza di un modesto avvallamento servente al deflusso delle acque nè dalla presenza di grate per la raccolta delle acque piovane collocate ai margini della carreggiata proprio per non rappresentare un ostacolo per il traffico veicolare.

Il motivo è inammissibile, perchè, pur essendo stato dedotto un error in iudicando, tutta la prospettazione difensiva è volta ad ottenere un riesame delle risultanze istruttorie, sì da ribaltare, nel senso auspicato, l’accertamento operato dal giudice di merito circa l’avvenuto soddisfacimento da parte della vittima dell’onere della prova del nesso di causa.

6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c. e il travisamento della prova rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 345 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nonostante con l’appello incidentale il Comune ne avesse sollecitato l’accertamento e nonostante dal rapporto dei carabinieri e dalle prove testimoniali fosse emersa l’alta velocità alla guida della vittima, la Corte territoriale non avrebbe considerato se il comportamento di G.V. fosse stato incauto e se il danno, come prescritto dalla giurisprudenza di legittimità, fosse stato cagionato dalla cosa, dal comportamento della vittima o da un concorso causale di entrambi, essendosi limitata a suggellare con l’aggettivo “certamente” la dimostrazione della ricorrenza del rapporto tra la cosa il danno.

La Corte d’Appello ha ritenuto che nessuna prova fosse stata fornita dall’Ente custode circa il comportamento imprudente o disattento del danneggiato tale da integrare il caso fortuito.

Il motivo è infondato.

E’ vero che, una volta accertato il nesso di causa tra la cosa e l’evento di danno, “subentra, siccome applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale in virtù del richiamo di cui all’art. 2056 c.c., la regola generale dell’art. 1227 c.c., comma 1 in ordine al concorso del fatto colposo del danneggiato” e “la ricostruzione del nesso causale tra il criterio di imputazione della responsabilità e l’evento dannoso va operata dal giudice anche di ufficio (Cass. 22/03/2011, n. 6529: anche quando il danneggiante o il responsabile si limiti a contestare in toto la propria responsabilità), sicchè, in tema di responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., va applicato il seguente principio: l’allegazione del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, idonea ad integrare l’esimente del caso fortuito, deve essere esaminata e verificata anche d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull’eventuale incidenza causale del fatto del terzo o del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte, purchè risultino prospettati gli elementi di fatto sui quali si fonda l’allegazione del fortuito (integrando così una mera difesa la fattispecie di cui dell’art. 1227 c.c., comma 1: per tutte, Cass. 30/09/2014, n. 20619; Cass., Sez. Un., 03/06/2013, n. 13902).

Nondimeno, nel caso di specie non è che la Corte non si sia occupata dell’eventuale ricorrenza del caso fortuito, ma al contrario ha ritenuto non provato che il comportamento imprudente o disattento del danneggiato sia stato tale da integrare il caso fortuito (p. 6); perciò la sentenza impugnata non si è posta in contraddizione con il principio di diritto soprarichiamato, avendo solo valutato i fatti allegati e le prove raccolte e tratto da essi una conclusione di segno diverso rispetto a quello atteso dall’ente locale.

7. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

9. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della parte ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA