Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31064 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. III, 28/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 28/11/2019), n.31064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8618-2018 proposto da:

C.L., CA.MA., in proprio e nella qualità di genitori

esercenti la potestà sulla figlia minore CA.TA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, rappresentati e difesi dagli

avvocati TIZIANA AGOSTINI, FRANCESCO DI CIOLLO;

– ricorrenti –

contro

FONDIARIA SAI SPA, COMUNE DI SABAUDIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5763/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ca.Ma. e C.L., in proprio e quali titolari della responsabilità genitoriale nei confronti della figlia minore, Ca.Ta., ricorrono per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma, n. 5753/2017, pubblicata il 14 settembre 2017, avvalendosi di tre motivi illustrati con memoria.

Nessuna attività difensiva è svolta Fondiaria S.p.A. e dal Comune di Sabaudia.

I ricorrenti espongono in fatto che il (OMISSIS) la figlia T., di soli tre anni, era stata dimenticata per sei ore sullo scuolabus che la conduceva all’asilo, che era stata successivamente accompagnata in classe dal conducente dello scuolabus nonostante fosse in stato di forte agitazione, che l’insegnante che l’aveva avuta in classe non si era avveduta di quanto la bambina fosse agitata, nè che non avesse mangiato e che fosse disidratata e non aveva avvisato i genitori, nonostante la bambina piangesse incessantemente e chiedesse con forza di tornare a casa.

A seguito di tale episodio la piccola T. aveva sviluppato disturbi del comportamento che avevano richiesto cure psicologiche non solo per la bambina, ma anche per i genitori.

Il giudice di primo grado, cui gli odierni ricorrenti si erano rivolti per ottenere, previo accertamento della responsabilità del Comune di Sabaudia, del conducente dello scuolabus, dell’insegnante, del dirigente scolastico e del Miur, in ragione dei rispettivi titoli, il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, biologico, morale ed esistenziale subito in proprio e nella qualità di genitori, aveva accolto la richiesta nei confronti del Comune di Sabaudia, ritenuto unico legittimato passivo – il quale aveva chiamato in causa la propria compagnia di assicurazione per essere manlevato – condannandolo al pagamento della somma di Euro 200.000,00 a favore della minore e di Euro 20.000,00 a favore di ciascun genitore.

La società Fondiaria, condannata a manlevare il Comune di Sabaudia, in via principale, e il Comune di Sabaudia, in via incidentale, proponevano appello dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, contestando l’an ed il quantum debeatur.

La Corte territoriale, con la decisione oggetto dell’odierna impugnazione, pur ritenendo non determinato il tempo di permanenza della bambina all’interno dello scuolabus e il tipo di reazione nell’immediatezza del fatto, riteneva provato il nesso di causa tra l’abbandono colpevole e le reazioni sviluppate, che si erano manifestate con attaccamento morboso alla madre, con atteggiamenti di diffidenza verso le figure maschili, compreso il padre, con ipereccitabilità, con aggressività latente, con spasmi affettivi, riconducibili ad un disturbo post traumatico da stress.

In ordine al quantum, il giudice a quo dichiarava di non condividere il ragionamento del giudice di prime cure che aveva liquidato equitativamente il danno senza ricorrere ad una CTU, perchè aveva ritenuto che l’esatta entità del danno e le sue conseguenze nel tempo non sarebbero state esattamente quantificabili, ma al fine di non protrarre la definizione del procedimento decideva di non disporre, a sua volta, una CTU, basando la propria decisione sul quadro probatorio complessivo e tenendo conto dell’offerta della Fondiaria di pagare Euro 49.613,58 – somma determinata all’esito di un accertamento medico specialistico su istanza della compagnia di assicurazioni e sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano, incluso un incremento a titolo di personalizzazione – e sul fatto che anche la CTP degli appellati avesse concordato sulla diagnosi del medico fiduciario della Fondiaria e su una percentuale di invalidità permanente pari al 10%.

Ritenendo non contestata la percentuale di invalidità permanente, la Corte distrettuale circoscriveva la controversia alla quantificazione del danno e concludeva che la liquidazione spettante per la minore, in considerazione della percentuale di invalidità permanente e dell’età, delle tabelle di Milano e dell’incremento a titolo di personalizzazione, dovesse essere di Euro 40.717,00; escludeva, tuttavia, l’obbligo di restituire le somme percepite in eccesso, tenuto conto della particolare delicatezza della vicenda e della effettiva grande instabilità emotiva che la bimba ebbe nei mesi successivi all’incidente oltre che della mancata precisazione in ordine al se ed al quando la somma era stata versata.

La liquidazione del danno morale ai genitori veniva confermata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e la nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 345,115 e 116 c.p.c., per avere il giudice a quo valutato prove non ritualmente acquisite in giudizio in violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c. e per non aver valutato prove documentali non contestate acquisite nel giudizio.

Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale, violando il principio di non contestazione, avrebbe motivato la propria decisione con la convinzione che la minore fosse stata in cura fino al (OMISSIS) anzichè fino al (OMISSIS), come risultante dalla documentazione in atti non contestata.

In aggiunta, il giudice a quo avrebbe errato scegliendo di non disporre la CTU medico-legale per la determinazione della entità dell’invalidità permanente, ed utilizzando i dati emergenti dal processo, costituiti dalla offerta della compagnia di assicurazioni di corrispondere alla vittima, a titolo di deposito fiduciario ed in luogo della maggior somma liquidata dal giudice di prime cure, Euro 49.613,58, perchè presuntivamente basata su un accertamento medico-specialistico, quello effettuato dal Dott. c., i cui esiti, però non sarebbero stati riportati, ma solo riferiti nella relazione del Dott. R.L., prodotta in allegato alla comparsa conclusionale di primo grado, la stessa relazione nella quale si riportava che il Dott. L., per conto dei ricorrenti, avrebbe convenuto sulla quantificazione dell’invalidità permanente accertata dal Dott. c..

Il giudice non avrebbe tenuto conto che non esisteva un accordo tra i consulenti tecnici di parte – tant’è che, in sede di precisazione delle conclusioni e con la comparsa conclusionale, la difesa degli attori aveva insistito con la richiesta di espletamento della C.T.U. medico-legale – ed avrebbe deciso sulla base di documentazione acquisita solo materialmente – perchè inserita nel fascicolo di parte – ma irritualmente – per essere scaduti i termini, di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. e senza proposizione dell’istanza di cui all’art. 345 c.p.c. – e non costituente elemento di prova.

Avrebbe, per converso, omesso di valutare che la minore era stata sottoposta a terapia fino al (OMISSIS), che la perizia del Dott. L. concludeva per il riconoscimento di una percentuale di invalidità permanente del 20%, che con telegramma del (OMISSIS) la Fondiaria-Sai si era dichiarata disponibile a definire transattivamente la lite, offrendosi di corrispondere Euro 150.000,00 al netto delle spese di lite.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti imputano alla sentenza impugnata di avere violato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione o falsa applicazione degli artt. 101,183,184,115,116 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 3, avendo valutato prove non ritualmente acquisite in giudizio.

I ricorrenti insistono sull’errore attribuito alla Corte territoriale, costituito dalla valutazione di prove non ritualmente acquisite in giudizio – la lettera della Fondiaria Sai del 21 gennaio 2013, la lettera del 20 aprile 2011 del fiduciario della Fondiaria e la relazione del Dott. R. – fondando la prospettazione cassatoria sull’impossibilità di qualificare tali prove come prove atipiche, non essendosi su di esse instaurato il contraddittorio.

3. Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 61 e 116 c.p.c., il vizio consistente nel non avere disposto gli accertamenti medico-legali per la quantificazione del danno da invalidità permanente.

4. I tre motivi, i quali possono essere fatti oggetto di un esame cumulativo, perchè ruotano tutti attorno alla decisione del giudice a quo di fare a meno della CTU per addivenire all’accertamento dell’invalidità permanente ed alla motivazione posta a fondamento di tale decisione, presentano plurimi profili di inammissibilità. Queste le ragioni:

– quanto all’errore imputato alla Corte territoriale per avere ritenuto che la minore T. fosse stata sottoposta a terapia psicologica fino alla fine di (OMISSIS) anzichè fino ai (OMISSIS), perchè la sostanza della censura non ha alcuna decisività, atteso che oggetto del contendere, una volta ritenuto provato che dall’illecito era derivato il danno, era l’accertamento dell’entità dell’invalidità permanente e che la dedotta violazione del principio di non contestazione, ove accolta, varrebbe solo ad escludere alcuni fatti dalla materia controversa sottraendoli al controllo probatorio.

L’asserito errore della Corte sarebbe comunque relativo a quella parte della motivazione con cui è stato ritenuto provato il nesso di causa tra l’abbandono e le reazioni psicologiche della bambina, ma non riguarderebbe la statuizione relativa alla determinazione dell’entità dell’invalidità permanente. Peraltro, il giudice a quo non ha mai dimostrato di ritenere che la bambina fosse stata sottoposta a cure solo fino al (OMISSIS), ma ha preso in esame la cartella clinica dell'(OMISSIS), ove la minore fu seguita fino al (OMISSIS), ai fini, appunto di corroborare la prova del nesso causale e superare le incertezze probatorie relative all’an debeatur, tant’è che ha riportato che il referto ospedaliero evidenziava l’insorgenza di un disturbo post traumatico da stress che “ha richiesto molta cura” e il “sostegno presso il Centro di psichiatria per l’infanzia e l’adolescenza di (OMISSIS) (…) sia per la bambina che per i genitori” (p. 4 della sentenza). Dovendosi escludere che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto dell’effettiva durata della terapia psicologica, ciò che il ricorrente pretende è, dunque, una inammissibile rivalutazione della documentazione medica che conduca ad un diverso esito;

– quanto alla mancata valutazione della proposta transattiva, si deve rilevare che il contenuto di tale proposta non è stato riportato neppure per stralci, al fine di consentirne il vaglio di decisività, e non è stata fornita la richiesta specificazione degli argomenti, delle deduzioni o delle istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere attraverso la sua deduzione, erano state formulate nel giudizio di merito; tali omissioni, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rendono irrilevante la mera indicazione del documento non considerato dal giudice di merito, risolvendosi la prospettazione dei ricorrenti in un’affermazione apodittica inidonea a provocare lo scrutinio cassatorio (Cass. 21/05/2019, n. 13625; Cass. 25/08/2006, n. 18506);

– quanto alla censura relativa alla decisione di superfluità della CTU, giova rilevare che:

a) è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, purchè egli ne dia adeguata motivazione, decidere in ordine alla superfluità di un mezzo di prova, ciò vale a fortiori in ordine alla decisione di non ammettere una CTU, tenuto conto che essa, di norma – cioè salvo che non sia percipiente e non era questo il caso – non è una prova in senso tecnico;

b) il giudice ben poteva trarre argomenti di prova dal comportamento delle parti, perciò poteva ricavare elementi di valutazione dall’offerta della Fondiaria Sai di deposito fiduciario della somma di Euro 49.613,58, presumendo che tale somma fosse stata determinata sulla scorta di un accertamento eseguito da uno specialista, scelto di comune accordo da entrambe le parti, tramite i loro consulenti;

c) rispetto alla presunzione emergente da tale argomento di prova, il giudice d’appello ha ritenuto che gli odierni ricorrenti non avessero opposto che argomentazioni generiche. Tale ultima conclusione non trova smentita nelle prospettazioni dei ricorrenti, i quali si limitano a dedurre di aver replicato, in occasione dell’udienza del 19 maggio 2011, alle deduzioni della Fondiaria Sai, secondo cui era stato raggiunto un accordo di massima sulla percentuale del 10% di invalidità, che tra le parti non era stata raggiunta una transazione sulla quantificazione del danno biologico essendo tale danno pari al 20%. La caparbietà con cui il ricorrente ribadisce che non era stato raggiunto un accordo sul punto è del tutto ultronea, perchè non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata, la quale non ha mai ritenuto raggiunto un accordo in merito, ma ha solo giustificato la scelta di non esperire una CTU sulla scorta della presunzione che la somma di Euro 49.613,58 fosse congrua rispetto al danno effettivamente riportato. Nondimeno, la contestazione produce bensì un effetto, non favorevole per la parte ricorrente, ma dimostra l’accettazione del contraddittorio sull’asserito raggiungimento di un accordo in merito alla percentuale di invalidità permanente e tanto basta a privare di rilievo l’eccezione di tardività della produzione documentale della Fondiaria-Sai, poichè esse incontra “il limite dell’accettazione del contraddittorio, ravvisabile in presenza di un comportamento della controparte che implichi tale accettazione” (Cass. 20/04/2007, n. 9491). A tal riguardo va, infatti, considerato che le preclusioni operano su un piano diverso rispetto alle eccezioni in senso lato, poste “in funzione di una concezione del processo che talora semplicisticamente è stata definita come pubblicistica, ma che, andando al fondo, fa leva sul valore della giustizia della decisione, (…) sono essenzialmente un criterio di ordine, una tecnica per regolare il processo, sempre con il fine di pervenire a una decisione giusta, pur prevedendo un meccanismo per disciplinare l’attività delle parti” (Cass., Sez. Un., 07/05/2013, n. 10531).

Ne consegue l’inconsistenza degli argomenti spesi con il motivo numero due in ordine al limite di utilizzo nel processo civile di prove atipiche, rappresentato come correttamente rilevato dai ricorrenti, nel difetto di contraddittorio;

– quanto al mancato accoglimento della richiesta di CTU, deve aggiungersi che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, dal quale non sono emerse ragioni per discostarsi, il giudice che non disponga la consulenza tecnica richiesta dalla parte è tenuto a fornire adeguata motivazione circa il fatto di poter risolvere i problemi di valutazione degli elementi di fatto rilevanti ai fini della decisione, con il limite di non poter disattendere l’istanza ritenendo non provati i fatti che attraverso la CTU sarebbero stati verosimilmente accertati. La CTU non è un mezzo di prova in senso proprio perchè aiuta il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni implicanti specifiche conoscenze, sicchè l’istanza di chi di essa faccia richiesta non è da considerare un’istanza istruttoria in senso tecnico, ma una sollecitazione rivolta al giudice affinchè, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda al riguardo (Cass., 21/04/2010, n. 9461).

Nè ricorrono i presupposti per ritenere che la CTU nel caso di specie fosse percipiente, cioè assurgesse a fonte di prova oggettiva, risolvendosi nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche non possedute dal giudice (Cass. 08/02/2011, n. 3130; Cass. 21/01/2014, n. 1181), giacchè solo in presenza di una richiesta di CTU percipiente avrebbe dovuto considerarsi ridotta la discrezionalità del giudice (Cass. 30/06/2011, n. 14402).

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. Non essendo stata svolta dai resistenti alcuna attività difensiva, non deve procedersi alla liquidazione delle spese.

7. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico dei ricorrenti l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Non provvede alla regolazione delle spese, non essendo stata svolta attività difensiva da parte dei resistenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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