Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31063 del 28/12/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 31063 Anno 2017
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6230/2014 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,
domiciliata in Roma, via dei Porto g hesi 12, presso l’Avvocatura

J

enerale dello Stato, che la rappresenta e difende ;
– ricorrente contro
Ni g i Ag ricoltura s.r.l. in li q uidazione ;
-controricorrenteavverso la sentenza della Commissione tributaria re g ionale della

Toscana n. 11/9/13, depositata il ig Picem DreicA,u,c2io

jj

Udita la relazione svolta nella camera di consi g lio dell’il
settembre 2017 dal Consi g liere Giuseppe Tedesco.
Rilevato che:
-sulla scorta di segnalazione della Guardia di finanza, l’Ufficio di
Montepulciano dell’Ag enzia delle entrate notificava alla Ni g i s.r.l.
avviso di accertamento, con il q uale, per l’anno 2005, rettificava la
perdita di esercizio, contestando la deduzione del fondo svalutazione
crediti in misura eccedente

q uella ammessa dalla le gg e fiscale,

Data pubblicazione: 28/12/2017

nonché l’indebita deduzione di costi (commissioni e interessi passivi)
per l’utilizzo di credito bancario ch’era stato ottenuto illecitamente
tramite la presentazione in banca di fatture per operazioni inesistenti;
– la sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente per
quanto riguarda la deduzione degli oneri bancari e sfavorevole sul

dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, che ha rigettato
l’appello principale del Fisco e accolto l’appello incidentale della
contribuente;
– la Ctr osservava: a) in ordine ai costi per l’utilizzo del credito
illecitamente ottenuto, che non era applicabile nella specie il principio
della indeducibilità dei costi da reato; b) in ordine alla ulteriore
contestazione, che, indipendentemente dalla imputazione contabile, si
trattava di perdite effettive, divenute certe nell’esercizio di
competenza;
-contro la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per
cassazione sulla base di tre motivi;
– la contribuente è rimasta intimata.

Considerato che:
-con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 4, c.p.c., la violazione degli art. 112 c.p.c. e degli
art. 54 e 56 del d. Igs. n. 546 del 1992;
-ai fini della comprensione del motivo occorre ripercorrere in
sintesi l’iter del processo su questo punto;
– l’Agenzia delle entrate ha rilevato in sede di accertamento che la
società, sul coacervo dei propri crediti commerciali, aveva operato la
svalutazione civilistica mediante addebito sul conto denominato
“accantonamento perdite su crediti” dell’importo di C 2.992.897,00,
operando poi la deduzione per l’intero importo e non nei limiti previsti
dalla norma fiscale (cinque per cento del valore nominale o di
acquisizione del credito ex art. 106, comma 1, d.P.R. 917 del 1986,

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punto della deduzione della svalutazione dei crediti, è stata riformata

nella numerazione posteriore alla riforma del 2004; in precedenza
art. 71);
– ha quindi ripreso a tassazione l’eccedenza che il contribuente
aveva imputato al conto profitti e perdite quale effettiva perdita su
crediti per sopravvenuta inesigibilità;

Siena ha rigettato il ricorso su questo punto, rilevando che la
ricorrente non aveva fornito «né in fase di verifica e accertamento, né
in questa sede contenziosa, elementi atti a giustificare la vantata
inesigibilità dei crediti a questa riferibili»;
– il relativo capo di sentenza è stato impugnato con appello
incidentale dalla società per vizio di ultra petizione, ravvisata nel fatto
che il Fisco aveva posto solo una questione di corretta imputazione
contabile, senza contestare l’inesigibilità dei crediti;
-secondo la contribuente il giudice tributario, decidendo nei
predetti termini, avrebbe attribuito al recupero un fondamento
giuridico diverso da quello fatto valere dall’Amministrazione
finanziaria;
– si inserisce qui il primo motivo del ricorso ora in esame, con il
quale la ricorrente denuncia che, nonostante la censura mossa dalla
contribuente con l’appello incidentale fosse stata circoscritta al solo
aspetto processuale, la Ctr ha pronunciato ugualmente nel meritot
rileva iuto che «né la Guardia di Finanza né l’Ufficio hanno mai
contestato la effettività delle perdite dichiarate, limitandosi a
contestare l’errata imputazione contabile.

Orbene: l’errata

imputazione contabile delle perdite effettive è solo una questione
formale e non sostanziale. Ciò che rileva, nel caso in esame, è la
effettività delle perdite dichiarate, circostanza questa, come detto,
non contestata dalla Guardia di Finanza né dall’Ufficio. In ogni caso
l’importo addebitato al conto “Perdite su crediti”, è cosa diversa dalle
somme accantonate come rischio su crediti ex art. 106 Tuir»;

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– impugnato l’avviso, la Commissione tributaria provinciale di

- il motivo è fondato esattamente per la ragione indicata dalla
ricorrente;
– posto che la sentenza dei primi giudici era stata censurata solo
per il vizio processuale di ultra petizione, la Ctr avrebbe dovuto
innanzitutto pronunciare riguardo a questo aspetto, mentre, senza

la statuizione dei primi giudici;
– il secondo motivo, con il quale, in subordine rispetto al primo
motivo, l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli art.
101, 106 del d.P.R. n. 917 del 1986 e dell’art. 2697 c.c., è
conseguentemente assorbito;
– con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma
primo, n. 3, la violazione dell’art. 14, comma 4-bis, della I. n. 537 del
1993, per avere la Ctr ritenuto deducibili dall’imponibile Ires gli
interessi passivi e le commissioni di massimo scoperto pagati dalla
società alle banche per l’utilizzo di credito bancario, senza considerare
che tale credito era stato ottenuto illecitamente, a seguito della
presentazione di fatture per operazioni inesistenti;
– in particolare la Ctr ha ritenuto che la norma dell’art. 14, comma
4-bis,

non fosse nella specie applicabile, sia perché le autorità

competenti non avevano accertato alcun reato, sia perché si trattava
di costi comunque non riconducibili a fatti qualificabili come reato, ma
sostenuti nell’ordinario esercizio dell’impresa;
-il motivo denuncia la sentenza per ambedue i profili,
evidenziando innanzitutto che la norma, neanche nella formulazione
attuale ex art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 201, richiede una
sentenza irrevocabile di condanna;
– il motivo è fondato nei limiti di seguito indicati;
– l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012 ha reso più stringenti i
presupposti di applicabilità del divieto di deducibilità dei cc.dd. “costi

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prendere posizione sul punto, ha esaminato direttamente nel merito

da reato”, sancito dal comma 4-bis dell’art. 14 della I. n. 537 del
1993;
– la nuova formulazione, in forza del regime transitorio dettato
dall’art. 8, comma 3, del d.l. n. 16 del 2012, è applicabile «[…] in
luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’art. 14 della legge 24

posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1, e 2,
ove più favorevoli LI»)
– l’art. 14, comma 4-bis, prima delle recenti modifiche disponeva
che «Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del
testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono
ammessi in deduzioni i costi e le spese riconducibili a fatti, atti o
attività qualificabili come reato […]»;
– secondo l’interpretazione prevalente la norma ricomprendeva
ogni costo relativo a qualsiasi bene o servizio collegato anche
indirettamente a fattispecie criminose;
– il comma 1 dell’art. 8 cit. ha sostituito integralmente il comma 4bis

dell’art. 14, modificando in senso restrittivo l’ambito di

applicazione oggettivo della disciplina;
– in particolare è richiesto che i costi dei beni o delle prestazioni di
servizi siano stati direttamente utilizzati pef il compimento di atti o
attività qualificabili come delitto;
– altra rilevante modifica della normativa attiene poi alla necessità
che il reato presupposto non sia solo oggetto di una notitia criminis,
ma abbia costituito anche oggetto dell’esercizio dell’azione penale
nelle sue varie articolazioni ovvero che in relazione ad esso sia stato
emesso il decreto che dispone il giudizio o una sentenza di non luogo
a procedere per intervenuta prescrizione del reato;

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dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività

- ne discende che la presenza di una denuncia non è di per sé
idonea a giustificare l’applicabilità della norma, qualora il pubblico
ministero non abbia esercitato l’azione penale;
– la Ctr ha ritenuto che i costi sostenuti per l’utilizzo del credito
non potevano ritenersi indeducibili innanzitutto perché, rispetto ai

penale di condanna;
-è ovvio che tale rilievo è errato, perché la norma novellata non
ancora la indeducibilità dei costi a tale presupposto, ma all’esercizio
dell’azione penale da parte del pubblico ministero;
– non è esatta, però, neanche la tesi sostenuta dalla ricorrente,
secondo cui l’art. 14, comma 4-bis, pure nella nuova formulazione,
richiede «solo l’inizio dell’esame della fattispecie da parte degli organi
di giustizia penale»;
– quanto al resto,i1 motivo è fondato;
– il Fisco ha negato la deducibilità degli interessi passivi e delle
commissioni in quanto conseguenti a un utilizzo di credito bancario
ottenuto tramite la presentazione in banca di fatture false;
– la Ctr è stata di contrario avviso, in quanto ha ritenuti tali costi
come «afferenti alla normale tenuta di conto corrente, cui sono state
addebitate spese di ogni genere, e che hanno tutte prodotto interessi
e addebiti per commissioni bancarie»;
-il ragionamento trascura che ex art. 14, comma 4-bis, un costo o
una spesa sono indeducibili ogni qual volta il loro sostenimento sia
comunque direttamente finalizzato al compimento del delitto non
colposo, il che non è incompatibile con il fatto che i costi siano stati
sostenuti nell’ambito di un rapporto o di una attività da cui
scaturiscono anche costi leciti;
-insomma l’unicità del conto corrente non impedisce né
logicamente e né praticamente di enucleare, nell’ambito dei costi
addebitati su di esso, quelli che debbono ritenersi sostenuti

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reati ipotizzati dall’Amministrazione, non risultava emessa sentenza

nell’ordinario esercizio dell’impresa e quelli che trovano la loro origine
e causa nel compimento di un’attività delittuosa;
– al contrario la Ctr ha considerato gli addebiti operati dalla banca
in modo globale, senza indagare le origini e la causa di ciascuno di
essi, laddove la fattispecie oggetto della lite imponeva proprio una

l’utilizzo di credito ottenuto tramite la presentazione di fatture false,
secondo l’ipotesi sostenuta da Fisco a giustificazione del recupero;
– in questa prospettiva occorre rimarcare che non è decisivo, nel
senso di escludere l’applicabilità della disciplina dei costi da reato, il
rilievo che gli interessi e le commissioni sul credito illecitamente
ottenuto sono stati corrisposti a fattispecie delittuosa già
compiutamente realizzata tramite la presentazione delle false fatture;
– ciò non toglie, infatti, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto
quell’economico, che la presentazione delle false fatture non avrebbe
sortito l’effetto avuto di mira dall’agente se a essa non si fosse
associata l’assunzione, da parte del correntista, dell’obbligo di pagare
gli interessi e le commissioni per l’utilizzo del credito;
– insomma un costo o una spesa debbono ritenersi direttamente
utilizzati per il compimento del delitto anche se sostenuti in un
momento successivo al perfezionamento della fattispecie delittuosa,
ogni qual volta il loro sostenimento trovi titolo nell’assunzione, da
parte dell’agente, di una obbligazione strutturalmente funzionale alla
realizzazione del delitto;
– conclusivamente sono fondati il primo e, nei termini di cui in
motivazione, il terzo motivo, è assorbito il secondo;
– la sentenza va pertanto cassata, con rinvio alla competente
Commissione tributaria regionale in diversa composizione, che
provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e
liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità.

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simile verifica, volta a stabilire se una parte dei costi rifletteva

P.Q.M.
accoglie il primo e nei termini di cui in motivazione il terzo motivo
di ricorso;

dichiara

assorbito il secondo;

cassa

la sentenza in

relazione ai motivi accolti; rinvia la causa, anche per le spese, alla

composizione.

Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa

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