Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3106 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 09/02/2021), n.3106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26482/2017 R.G., proposto da:

P.L.M.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe

Sera, con studio in Napoli, elettivamente domiciliato presso l’Avv.

Bruno Lo Giudice, con studio in Roma, giusta procura in margine al

ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Napoli il 10 aprile 2017 n. 3453/32/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, in corso di conversione in

legge, con le modalità stabilite dal decreto reso dal Direttore

Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del Ministero

della Giustizia il 2 novembre 2020) del 20 novembre 2020 dal Dott.

Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

P.L.M.C. ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli il 10 aprile 2017 n. 3453/32/2017, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di classamento e attribuzione di rendita catastale a seguito di procedura “DOCFA”, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della medesima avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli il 3 dicembre 2014 n. 11563/40/2015, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale di Napoli ha riformato la decisione di prime cure, evidenziando la correttezza del classamento rideterminato dall’amministrazione finanziaria. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si deduce nullità della sentenza impugnata per mera apparenza e manifesta contraddittorietà della motivazione, con conseguente violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, e art. 61 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere stato motivato l’accoglimento dell’appello con l’argomentazione che: “La motivazione dell’atto di riclassamento – secondo i principi generali in materia di accertamento di maggior valore – mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nella successiva fase contenziosa ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa”, evidenziando un insanabile contrasto tra la ritenuta legittimità dell’avviso di accertamento e la mancanza di una qualche motivazione

2. Con il secondo motivo, si deduce violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto che l’avviso di accertamento era sprovvisto di motivazione in ordine alle differenze riscontrate rispetto ai dati forniti dalla contribuente, non potendo essere sanata tale carenza con deduzioni allegate e documenti prodotti nel corso del processo.

Ritenuto che:

1. Il primo motivo è infondato.

1.1 Come è noto, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (da ultima: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248).

Tale è il caso di una motivazione meramente fittizia ed autoreferenziale (come nella vicenda in esame, secondo la prospettazione della ricorrente), la quale si risolve nella mera enunciazione del contenuto della decisione finale senza alcuna illustrazione (ancorchè scarna o succinta) delle rationes decidendi.

1.2 Nella specie, tuttavia, anche in base alla stessa prospettazione del mezzo, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo una chiara, congruente e lineare esposizione delle ragioni sottese all’accoglimento dell’appello, ancorchè l’illustrazione delle argomentazioni giustificative della decisione risulti stringata e concisa.

Tanto si desume dalla seguente conclusione: “Nel merito, questo Collegio, a seguito di un attento esame del fascicolo di causa evidenzia che l’Ufficio ha fornito prova dei classamenti attribuiti alle altre unità presenti nella stessa zona, ha documentato e provato quali sono i dati tipici del fabbricato in oggetto. Inoltre, il Collegio osserva che l’assegnazione del classamento non è frutto dell’esercizio di “un potere di accertamento valutativo, ma di un calcolo di tipo tabellare effettuato secondo criterio e dati censuari predeterminati con assegnazione di categoria, classe e consistenza, dai quali si rileva la rendita con applicazioni delle specifiche tariffe già stabilite per la zona dalle commissioni censuarie””.

1.3 E’ evidente, quindi, come il giudice di appello abbia racchiuso nella ristrettezza contenutistica del passo citato una sufficiente e convincente spiegazione per la decisione del gravame.

2. Parimenti, il secondo motivo è infondato.

2.1 In relazione alla motivazione degli atti di classamento, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio secondo cui, in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (c.d. procedura “DOCFA”), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento può ritenersi soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’amministrazione finanziaria e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, cioè nell’ipotesi in cui la discrasia non derivi dalla stima del bene ma dalla divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass., Sez. 5, 31 ottobre 2014, n. 23237; Cass., Sez. 5, 16 giugno 2016, n. 12497; Cass., Sez. 6, 7 dicembre 2018, n. 31809; Cass., Sez. 6, 7 ottobre 2019, n. 25006; Cass., Sez. 5, 13 agosto 2020, n. 17016).

2.2 La fattispecie in disanima è chiaramente riconducibile alla prima ipotesi. Difatti, i dati forniti dalla contribuente non sono stati disattesi, ma soltanto rivalutati dall’amministrazione finanziaria anche con riferimento all’attribuzione della classe e della consistenza degli immobili, oltre che con riferimento alla determinazione della rendita catastale.

E tanto vale, in particolare, per la rideterminazione del numero dei “vani catastali”, che non rispecchia lo stato materiale della suddivisione interna degli immobili, ma è frutto di plurime operazioni di calcolo aritmetico sulla base di parametri oggettivi, nella cui applicazione si tiene conto della natura, della superficie, dell’utilizzo, della funzione e della redditività in relazione alla destinazione edilizia di ciascun immobile (“Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano”, art. 40 ss., approvato con il D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142).

Per cui, è possibile (e, il più delle volte, accade) che la eventuale difformità tra la consistenza denunciata dal contribuente e la consistenza accertata dall’amministrazione finanziaria nell’ambito della procedura “DOCFA” derivi da una diversa valutazione, qualificazione o classificazione dei medesimi elementi di fatto (descrizioni, misure, grafici e planimetrie), che vengono elaborati sulla base dei criteri tecnici fissati dalla disciplina regolamentare in materia catastale.

Il che esime, comunque, l’amministrazione finanziaria dall’onere di formulare una motivazione più particolareggiata per l’atto di riclassamento con specifico riguardo alle discrepanze emerse all’esito dell’accertamento rispetto alla proposta del contribuente.

2.3 Nè è stato dedotto in ricorso che l’atto impositivo si sia basato su elementi di fatto differenti da quelli indicati nel modello “DOCFA”, atteso che si è, invece, contestato che non sono state specificate le differenze riscontrate – con riguardo alla sola consistenza (cioè, con riguardo al numero dei vani catastali) – rispetto agli elementi di fatto indicati dalla contribuente, ed è stato ritenuto dal giudice di appello adeguatamente motivato per l’idoneità “a delimitare le ragioni adducibili dall’Ufficio nella successiva fase contenziosa ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa”.

2.4 Si può evincere dall’esposizione degli antefatti processuali che l’amministrazione finanziaria ha “integrato” il contenuto originario dell’avviso di accertamento nel corso del giudizio di prime cure, attraverso la deduzione di argomentazioni illustrative e la produzione di un elenco di immobili compresi nella medesima zona con caratteristiche similari a quelle degli immobili riclassificati.

Tuttavia, non si può dire che, in tal modo, la motivazione dell’avviso di accertamento sia stata tardivamente implementata e completata con l’introduzione di un dato indispensabile ed imprescindibile per una valutazione comparativa, che era originariamente mancante.

2.5 Difatti, se è vero che tale operazione non può essere ritenuta idonea ad implementare il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento, atteso che non è consentito all’amministrazione finanziaria di sopperire con integrazioni in sede processuale alle lacune dell’atto di classamento per difetto di motivazione (Cass., Sez. 5, 31 ottobre 2014, n. 23237; Cass., Sez. 6, 9 marzo 2017, n. 6065; Cass., Sez. 5, 12 ottobre 2018, n. 25450), non altrettanto si può ripetere allorquando le deduzioni allegate ed i documenti prodotti in corso di causa dall’amministrazione finanziaria valgano a rafforzare e consolidare la motivazione di per sè adeguata del riclassamento risultante all’esito di procedura “DOCFA”, irrobustendo ed arricchendo le argomentazioni poste in origine a fondamento del proprio operato.

2.6 Dunque, con motivazione congrua e immune da vizi logici (neppure censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la Commissione Tributaria Regionale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati, ritenendo la correttezza della variazione operata dall’amministrazione finanziaria sulla base dei dati forniti dalla contribuente, la cui attendibilità è stata confermata ed avvalorata dal raffronto comparativo con immobili ubicati nella medesima zona e muniti di analoghe caratteristiche.

3. Pertanto, valutandosi l’infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, che liquida nella somma complessiva di Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

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