Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31055 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 27/11/2019), n.31055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2936/2015 proposto da:

(OMISSIS) Srl, in persona legale rappresentante p.t., elettivamente

domiciliata in Roma, Circonvallazione Ostiense 228, presso lo studio

dell’avvocato Preite Francesco, rappresentato e difeso dall’avvocato

Villani Alberico, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit S.p.a., in persona legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Alberico II, 33, presso lo

studio dell’avvocato Ludini Elio, rappresentata e difesa dagli

avvocati De Simone Gaetano e De Simone Maria Rosaria, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

Curatela Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona curatore

B.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio, 43/A,

presso l’Agenzia Esse di Marisa Sessa, rappresentata e difesa

dall’avvocato B.A., giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

verso la sentenza n. 194/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2019 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

la s.r.l. (OMISSIS) ricorre per cassazione, con tre motivi, avverso la sentenza della corte d’appello di Napoli che ne ha respinto il reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento;

sia la curatela del fallimento, sia la creditrice istante Unicredit s.p.a. hanno replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con tre motivi la ricorrente denunzia: (i) la violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 15 e art. 2700 c.c., nella parte in cui è stata rigettata l’eccezione di nullità della notifica del ricorso per dichiarazione di fallimento e del decreto di convocazione in sede prefallimentare sulla base dell’erroneo presupposto, desunto dalla rilevanza fino a querela di falso delle attestazioni dell’ufficiale giudiziario, che il detto ufficiale fosse esonerato dalla necessità di svolgere ricerche prima di porre in essere il deposito dell’atto alla casa comunale; (ii) l’omesso esame del fatto decisivo, ai fini della nullità della notificazione, costituito dalla circostanza – inesatta anche se indicata dall’ufficiale giudiziario – della cessazione dell’attività d’impresa; (iii) la mancata valutazione della censura concernente il minor importo del debito nei confronti dell’istante Unicredit, per la necessità di detrarre una cospicua somma già incamerata dalla creditrice previa escussione di una garanzia pignoratizia;

I primi due motivi, connessi e suscettibili di unitario esame, sono infondati;

il ricorso per dichiarazione di fallimento e il decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio erano stati notificati con deposito presso la casa comunale ai sensi della L.Fall., art. 15, comma 3; in particolare, dopo l’esito negativo della notifica tentata a mezzo Pec, era stata apposta dall’ufficiale giudiziario, nella relata conseguente al tentativo fatto presso la sede sociale, la seguente dicitura: “non notificato in quanto la società ha cessato l’attività. Tanto da informazioni in loco”;

la corte d’appello, sebbene impropriamente menzionando l’art. 143 c.p.c., ha correttamente rilevato che nessuna ulteriore ricerca doveva essere effettuata prima del deposito dell’atto presso la casa comunale;

il riferimento all’art. 143 c.p.c. è improprio e va corretto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendo osservarsi che nella fattispecie non interessa nè questa norma (direttamente afferente la notificazione nelle forme ordinarie a persona di residenza, dimora o domicilio sconosciuti), nè l’art. 2700 c.c., evocato dalla ricorrente ma non dalla corte d’appello, in merito alla rilevanza fidefacente delle attestazioni compiute dall’ufficiale giudiziario;

l’art. 143 non rileva per due ragioni: (a) perchè la norma non si applica alla società se non nel riferimento alla residenza, domicilio o dimora del legale rappresentante (cfr. tra le tante Cass. n. 2232-18: “In tema di notificazione degli atti processuali ad una società, il vano esperimento delle forme previste dall’art. 145 c.p.p., commi 1 e 2, consente l’utilizzazione di quelle previste dagli artt. 140 e 143 c.p.c., purchè la notifica sia fatta alla persona fisica che rappresenta l’ente e non già all’ente in forma impersonale”); (b) perchè la notificazione era stata fatta non in base all’art. 145 c.p.c., al cui negativo esito potersi correlare poi l’applicazione dell’art. 143 al legale rappresentante, ma ai sensi della L.Fall. art. 15;

questa norma prevede un particolare procedimento notificatorio teso a coniugare la finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore collettivo, in relazione agli atti a esso indirizzati, con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole e adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto (v. Cass. n. 26333-16, in relazione a C. Cost. n. 146 del 2016);

la norma prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica tramite posta elettronica certificata (Pec), e non nelle forme ordinarie di cui all’art. 145 c.p.c.; dopodichè, nella specifica prospettiva del fallimento, stabilisce che quando, per qualsiasi ragione, la notificazione via Pec non risulta possibile o non ha esito positivo, la stessa, a cura del ricorrente, si esegue esclusivamente di persona a norma del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 107, comma 1, “presso la sede risultante dal registro delle imprese”; e quando la notificazione non può essere compiuta neppure con queste modalità, si esegue “con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso”;

nel caso concreto è pacifico che la sequenza sia stata rispettata, essendo stata inutilmente tentata la notificazione sia all’indirizzo Pec sia presso la sede sociale;

l’attestazione dell’ufficiale giudiziario di avvenuta cessazione dell’attività, appresa da informazioni in loco, contiene implicitamente quella di mancato rinvenimento di soggetti in grado di ricevere l’atto presso la medesima sede sociale; e tanto basta per ritenere che la notifica presso la sede non sia stata possibile;

consegue che non interessa il profilo – sul quale invece la ricorrente si adagia – della veridicità o meno della intervenuta cessazione di attività: indipendentemente da tale circostanza, che l’ufficiale giudiziario ha dichiarato di avere appreso da informazioni in loco (elemento questo solo, relativo all’apprensione, da considerare vero fino a querela di falso), quel che interessa è semplicemente il fatto pacifico – che la notifica presso la sede è stata tentata e non è potuta andare a buon fine;

il terzo motivo è inammissibile, poichè teso a sindacare la valutazione in fatto, dalla corte d’appello correttamente motivata, relativa alla condizione di insolvenza;

tale condizione è stata dedotta dall’esistenza di debiti certi comprensivi di un mutuo ipotecario di oltre 1.000.000,00 Euro gravante sull’immobile adibito a sede sociale, a fronte della mancata indicazione delle eventuali modalità di rientro, da parte della società stessa, nella sede del reclamo;

le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in 5.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale massima di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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