Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31054 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 27/11/2019), n.31054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12899/2015 proposto da:

(OMISSIS) in Liquidazione S.r.l., elettivamente domiciliata in Roma,

P.le Clodio, 14, presso lo studio dell’avvocato Graziani Andrea,

rappresentata e difesa dall’avvocato Cerutti Eugenio, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) in Liquidazione S.r.l., in persona Curatore

Dott. M.M.L., elettivamente domiciliato in Roma,

Piazza Vescovio, 21, presso lo studio dell’avvocato Manferoce

Tommaso, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovetti Alessandra,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 693/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 13/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

udito il Sostituto Procuratore Generale SOLDI ANNA MARIA che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 15-11-2013 la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione presentava una proposta di concordato preventivo con suddivisione dei creditori in classi.

La proposta prevedeva (i) l’affitto e poi la cessione a terzi di alcuni rami aziendali (relativi alla progettazione e allo sviluppo dell’attività e alla costruzione di gru e betoniere), (ii) il trasferimento e la liquidazione di un compendio immobiliare posto in (OMISSIS) e di altri immobili non abitativi, (iii) la cessione di una partecipazione societaria (nella San Marco Macchine Edili s.r.l.), (iv) l’incasso di crediti, maturati e maturandi.

Il tribunale di Novara, con decreto del 30-7-2014, preso atto del mancato raggiungimento delle maggioranze dei crediti ammessi al voto, dichiarava la proposta inammissibile.

La società proponeva reclamo ai sensi della L. Fall., art. 26 e depositava un’altra proposta di concordato, sostanzialmente identica alla prima, subordinata al mancato accoglimento del medesimo reclamo.

Il tribunale di Novara, con decreto del 20-11-2014, riuniti i procedimenti, dichiarava l’inammissibilità sia dell’istanza di sospensione dell’efficacia del primo provvedimento, sia della seconda proposta concordataria; dopodichè, con sentenza in pari data, dichiarava il fallimento della (OMISSIS) s.r.l..

La società, ai sensi della L. Fall., art. 18, impugnava i provvedimenti, ma il reclamo veniva respinto dalla corte d’appello di Torino con sentenza in data 13-4-2015.

Sulla premessa che, ai sensi della L. Fall., art. 162, u.c., contro la sentenza dichiarativa potessero esser fatti valere i pretesi vizi del decreto di inammissibilità del concordato direttamente ricollegabili alla pronuncia del fallimento, la corte d’appello dichiarava inammissibili i motivi prospettati in relazione alla regolarità o meno delle operazioni di voto dei creditori quanto alla prima proposta. Osservava infatti che il tribunale non si era pronunciato su tale proposta, dichiarata inammissibile mesi prima, giacchè la sentenza era conseguita allo scrutinio della sola seconda proposta di concordato preventivo, la quale era stata ritenuta a sua volta inammissibile.

La corte d’appello, ben vero, riteneva il reclamo scrutinabile quanto ai profili relativi alla prima proposta di concordato, ma nei soli limiti della valorizzazione fatta dal tribunale per pervenire al giudizio di inammissibilità della seconda proposta, unicamente considerata. E tra questi profili affermava che esulassero tutte le questioni relative al meccanismo di voto sulla prima proposta, perchè non direttamente determinative della declaratoria di inammissibilità della seconda.

Così delimitata la materia del contendere, la corte d’appello confermava la valutazione del tribunale, dicendo che correttamente erano stati valutati gli elementi ostativi alla fattibilità giuridica del concordato, quali in particolare l’assenza di garanzie (o di cauzione) in ordine alla proposta di acquisto del compendio immobiliare da parte della società San Marco Macchine Edili e la lunga posticipazione del pagamento del prezzo. Donde l’elemento di novità costituito dall’offerta suddetta, per quanto funzionale a escludere la natura abusiva del concordato, solo in astratto aveva comportato un miglioramento della precedente proposta, finendo col risolversi in una prospettiva inidonea a conferire certezza circa il realizzo delle poste attive considerate.

La corte territoriale aggiungeva che neppure sotto il profilo dell’affidabilità dell’acquirente erano state offerte serie garanzie. Difatti la San Marco Macchine Edili s.r.l era stata costituita pochi mesi prima (il 24-4-2013) con capitale sociale di soli 10.000,00 Euro in parte sottoscritto da una fiduciaria, elevato a 50.000,00 Euro ma infine versato per soli 20.000,00 Euro, ed era risultata altresì munita di un unico conto corrente postale, senza possibilità di affidamenti.

Eguale giudizio la corte d’appello estendeva al secondo profilo di asserito mutamento migliorativo della proposta concordataria, correlato all’interesse all’acquisto della partecipazione societaria di (OMISSIS) nella medesima società San Marco Macchine Edili – interesse manifestato da SSTP Politec s.a. al prezzo di 15.000,00 Euro, superiore al valore stimato. A parte la limitata rilevanza economica di simile operazione, la corte d’appello confermava la valutazione del tribunale a proposito della sostanziale genericità del profilo dell’offerta, limitato alla sottolineatura di non meglio precisate sinergie suscettibili di esser create tra le società anzidette, senza alcuna vera incidenza nei confronti dei creditori di (OMISSIS).

Quanto al requisito dello stato di insolvenza, la corte territoriale lo rilevava dalla incontestata esistenza dell’ingente indebitamento di (OMISSIS), ammontante a oltre 13,5 milioni Euro e certamente prevalente sull’attivo asseritamente realizzabile, finanche in base alla prospettazione della reclamante, per soli 8,8 milioni Euro circa.

Sicchè in definitiva rigettava il reclamo.

Per la cassazione della sentenza, la società ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

A esso ha resistito la curatela del fallimento, con controricorso e successiva memoria.

La Gabrielli s.p.a., creditrice istante, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Col primo motivo la ricorrente, denunziando la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 162 e 179 e l’omesso esame di fatto decisivo, censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto precluso il sindacato relativo alla non approvazione della prima proposta di concordato sulla scorta della indimostrata affermazione che la seconda proposta era stata dichiarata inammissibile senza alcun collegamento con quella. In tal senso la corte d’appello avrebbe omesso di considerare il fatto decisivo dell’avvenuta riunione delle procedure da parte del tribunale, e avrebbe errato poichè il reclamo L. Fall., ex art. 18, ha un effetto devolutivo pieno. Donde il giudice del reclamo ben avrebbe dovuto verificare che la prima proposta di concordato preventivo era stata in effetti approvata dal 76% degli aventi diritto al voto, dal momento che i voti asseritamente contrari in verità o erano inesistenti, o nulli, o intempestivi, o provenienti da soggetti non legittimati.

Col secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160,161 e 162, a proposito di quanto sostenuto dalla corte distrettuale circa la non fattibilità giuridica del concordato, essendo stato in tal modo invaso il campo della valutazione di fattibilità economica riservata al ceto creditorio, con conseguente illegittimità della pronuncia.

Col terzo mezzo, è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 8 e 26, L. Fall., artt. 160 e 161, unitamente all’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione alla valutazione offerta dalla corte d’appello a proposito dell’inesistenza di attestazione relativamente ai fornitori operanti in regime di esenzione dall’Iva, visto che il tema non era stato sollevato in sede di vaglio concordatario e visto che in ogni caso la (OMISSIS) era da considerare alla stregua di soggetto esportatore abituale, con diritto a porre in essere acquisti in esenzione d’imposta.

Col quarto mezzo, vengono denunziate la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 160, comma 1, lett. c), e l’omessa disamina di un fatto decisivo, dal momento che, erroneamente, l’impugnata sentenza avrebbe ritenuto non giustificabile la creazione di una classe autonoma nella quale erano stati inseriti i creditori che avevano consentito la ripresa dell’attività produttiva dell’azienda concessa in affitto.

Infine, col quinto mezzo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 135 c.p.c., dal momento che la corte d’appello si sarebbe acriticamente adagiata sul dato formale e letterale della L. Fall., art. 162, omettendo di riconoscere invece, al decreto dichiarativo dell’inammissibilità della domanda di concordato, la natura sostanziale propria di una sentenza, come tale sottoposta all’art. 132 c.p.c., quanto alla necessaria duplice sottoscrizione del presidente e dell’estensore.

II. – Il primo motivo è per certi versi inammissibile e per altri infondato, anche se è opportuno integrare, nel senso che segue, la motivazione dell’impugnata sentenza.

III. – In tema di rapporti tra concordato preventivo e fallimento questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che se, in conseguenza della ritenuta inammissibilità della domanda, il tribunale dichiara il fallimento dell’imprenditore (su istanza di un creditore o su richiesta del P.M.), da un lato può essere impugnata con reclamo solo la sentenza dichiarativa di fallimento e, dall’altro, l’impugnazione può essere proposta anche formulando censure (e pure soltanto censure) avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato (Cass. Sez. U n. 9935-15).

A tale principio, sebbene senza evocare la sentenza, si rifà sostanzialmente la ricorrente, unendo considerazioni in punto di efficacia pienamente devolutiva del reclamo di cui alla L. Fall., art. 18.

Sennonchè con tale principio convive – senza contrasto sullo specifico punto – anche l’altro, che postula l’unicità della procedura rispetto all’unicità dell’insolvenza.

L’affermazione è che l’ammissione alla procedura di concordato preventivo impedisce la proposizione di una ulteriore e autonoma domanda rispetto a quella originaria, poichè, rispetto al medesimo imprenditore e alla medesima insolvenza, il concordato non può che essere unico (v. Cass. n. 495-15).

Tale principio non solo non contrasta, ma è anzi presupposto dall’insegnamento delle sezioni unite, come si ricava dalla precisazione per cui tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento ricorre un rapporto di continenza.

E difatti ciò postula l’unicità della situazione sottostante, in quanto il rapporto di continenza può ricorrere se si ammette che si tratta di iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa (unica) situazione di crisi.

IV. – Ora dalla combinazione degli insegnamenti citati si ricava, ai nostri fini, questo: che la declaratoria di inammissibilità di una eventuale prima proposta di concordato, quale che ne sia la ragione, consente al debitore di presentarne un’altra, alla condizione che vi sia una reale divergenza – salvo il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, nel quale caso l’ulteriore proposta sarebbe inammissibile in quanto integrativa di un abuso del processo (v. ancora Cass. Sez. U n. 9935-15); non consente, invece, di mantenere in vita entrambe le proposte mediante l’espediente del reclamo L. Fall., ex art. 26, contro il decreto di inammissibilità di quella presentata per prima.

Ai sensi della L. Fall., art. 162, se all’inammissibilità di una proposta di concordato non segue la dichiarazione di fallimento, il relativo decreto è espressamente indicato dalla legge come “non soggetto a reclamo”.

Se invece il tribunale dichiara il fallimento è possibile il reclamo, ma ai sensi dell’art. 18, come unico mezzo previsto per la sentenza dichiarativa, e tramite il detto reclamo è possibile formulare censure avverso la dichiarazione di inammissibilità del concordato preventivo.

Dire che la proposta di concordato dichiarata inammissibile senza contestuale sentenza di fallimento può essere seguita da un’altra tesa a regolare la situazione di crisi, vuol dire affermare che quella proposta può essere infine sostituita.

Ciò a sua volta implica che in tal caso lo scrutinio del tribunale riguarda non la combinazione delle due proposte (l’una delle quali invero già dichiarata inammissibile), quanto piuttosto – e solo – la seconda.

Codesta possiede funzione sostitutiva della prima, che è stata già negativamente vagliata, appunto, in modo inoppugnabile. E proprio la possibilità di sostituzione spiega perchè, se non segue il fallimento, contro il provvedimento non è ammesso neppure il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.: la spiegazione è appunto che il decreto di inammissibilità non ha, nel senso appena detto, funzione decisoria (v. Cass. Sez. U n. 27063-16).

V. – Di tutto questo la ricorrente non tiene conto, nè è produttivo invocare l’ulteriore principio dell’effetto devolutivo pieno che caratterizza il reclamo L. Fall., ex art. 18.

Il confine di codesto ulteriore principio resta pur sempre circoscritto dal rapporto che lega la declaratoria di fallimento alla proposta (unica) destinata a regolare l’altrettanto unica situazione di insolvenza.

Il reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento che abbia fatto seguito al provvedimento di inammissibilità della domanda di concordato preventivo ha certamente un effetto devolutivo pieno, tale da riguardare anche la decisione sull’inammissibilità del concordato, parte inscindibile – si dice – di un unico giudizio sulla regolazione concorsuale della stessa crisi (Cass. n. 12964-16, Cass. n. 23264-16, Cass. n. 1169-17 e altre). Ma tale aspetto niente toglie al fatto che la devoluzione attiene sempre alle questioni che hanno concorso ad affermare l’inammissibilità della proposta alla quale è conseguito il fallimento.

Ove il debitore abbia impugnato la dichiarazione di fallimento, censurando la decisione del tribunale sulla sua mancata ammissione al concordato, il giudice del reclamo, ai sensi della L. Fall., artt. 18 e 162, è tenuto a riesaminare tutte le questioni concernenti la detta ammissibilità; non anche invece le questioni che hanno comportato l’inammissibilità di quella (“altra”) originaria, poi sostituita, alla quale il fallimento non è conseguito.

VI. – Nel caso di specie si evince dalla sentenza, ed è confermato dal ricorso, che il 16-7-2014 (OMISSIS) aveva depositato “un’altra domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo subordinata al mancato accoglimento del reclamo avverso il decreto del 30-7-2014 di inammissibilità della precedente domanda di concordato”.

Tale subordinazione era da considerare assolutamente irrilevante, poichè appunto il decreto di inammissibilità della domanda (o della proposta) di concordato, cui non segua il fallimento, non è soggetto a reclamo. E in tal senso va integrata la motivazione della sentenza della corte territoriale.

La condizione espressa dalla subordinata si sarebbe dovuta reputare come semplicemente non apposta, sicchè la seconda domanda doveva esser considerata avanzata sic et simpliciter, in luogo della precedente dichiarata inammissibile.

Discende che, una volta dichiarata inammissibile questa seconda domanda, e una volta dichiarato il fallimento in consecuzione di tale inammissibilità, il reclamo L. Fall., ex art. 18, poteva legittimamente investire solo i profili attinenti alla seconda proposta di concordato.

Non solo quindi non è decisivo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ma anzi non rileva affatto la circostanza che il tribunale di Novara abbia deciso sulla inammissibilità “previa riunione fra i due procedimenti”.

Si tratta infatti di un errore processuale, che tuttavia niente aggiunge alla circostanza che la valutazione dovesse alfine esser contenuta nei limiti della seconda proposta concordataria.

Con tali precisazioni va condivisa però la conclusione della corte d’appello, stando alla quale tutte le “questioni afferenti la regolarità o meno dell’approvazione da parte dei creditori della prima proposta” alle quali ancora oggi si riferisce la ricorrente – erano da considerare inammissibili.

VII. – Il secondo motivo è infondato, e tanto consente di prescindere dall’ulteriore aporia che (per quanto infra) si rinviene nella motivazione della sentenza a proposito dell’esclusione del connotato di abusività delle proposte concordatarie presentate in sequenza.

Come questa Corte ha avuto modo di precisare – nel solco di Cass. Sez. U n. 1521-13, il cui insegnamento è stato in tal senso affinato e portato a più concreto sviluppo – in tema di concordato preventivo il tribunale è tenuto a una verifica della fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, e tale verifica comprende, non solo la fattibilità giuridica, ma anche quella economica, ove il piano si riveli prima facie irrealizzabile (v. Cass. n. 5825-18, nonchè Cass. n. 9061-17 in tema di continuità aziendale).

Simile ambito di sindacato è interamente e necessariamente assorbito dalla verifica di effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato, e non ha niente da spartire, invece, con la valutazione di convenienza economica della proposta, quest’ultima per intero rimessa in via esclusiva al ceto creditorio.

Nel caso di specie è di chiara evidenza che la corte d’appello non ha infranto il principio.

Ha infatti stabilito, con motivata indagine in fatto, che la seconda proposta concordataria, sebbene considerandone i margini di modesta novità che l’aveva contraddistinta rispetto alla prima dichiarata inammissibile, presentava tanti e tali criticità – in punto di certezza di realizzo delle poste attive, di sussistenza di garanzie all’uopo necessarie, di possibile concretizzazione delle operazioni di vendita immobiliare secondo tempi ragionevoli, di serietà delle manifestazioni di interesse all’acquisto delle partecipazioni societarie da risultare manifestamente irrealizzabile.

VIII. – Il terzo motivo è inammissibile per incongruenza rispetto alla ratio decidendi.

Il profilo delle operazioni in asserita esenzione dall’Iva è stato considerato dalla corte d’appello (come anche dal tribunale) non in sè, ma in riferimento alla riscontrata carenza dell’attestazione (L. Fall., art. 161). Ciò tenendosi conto della regola desumibile dalla L. Fall., art. 160, comma 2, quanto al margine di soddisfazione dei creditori muniti di privilegio in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato della liquidazione.

In proposito l’impugnata sentenza ha condiviso il rilievo del Fallimento, secondo il quale nella relazione ex art. 161, non vi era stata alcuna attestazione al riguardo, nè si era dato atto dell’eventuale esistenza di fornitori operanti in regime di esenzione dall’Iva. Il che aveva reso “insufficiente” – e, anche qui, meglio avrebbe dovuto dirsi ininfluente – l’assunto della società circa la sua qualità di esportatore abituale.

In simile condizione, la degradazione del credito per rivalsa Iva al chirografo si era tradotta in un difetto dell’attestazione, poichè niente era stato evidenziato sul punto.

E’ risolutivo osservare che per questa parte la decisione è incentrata su un accertamento di fatto, rispetto al quale non è pertinente l’insistito assunto di (OMISSIS) circa la (asserita) veste di esportatore abituale.

Quale che fosse tale veste, il punto decisivo atteneva al contenuto (e alla completezza) dell’attestazione. E a questo riguardo niente è dedotto nel citato terzo motivo di ricorso.

IX. – Il quinto motivo è manifestamente infondato, essendo del tutto pacifico che la declaratoria di inammissibilità del concordato è prevista dal legislatore come oggetto di un semplice decreto (L. Fall., art. 162), contro il quale è consentito il reclamo unitamente alla sentenza che dichiara il fallimento.

Non possiede alcun supporto normativo – e men che meno giurisprudenziale – l’affermazione della ricorrente secondo la quale sarebbe da attribuire al decreto natura sostanziale di sentenza.

X. – Il quarto motivo resta così assorbito.

La decisione di rigetto del reclamo sarebbe destinata a rimanere salda in base all’esito negativo delle censure appena esaminate, con conseguente carenza di interesse della parte alla valutazione della correttezza o meno della ragione aggiuntiva, spesa dalla corte d’appello, a proposito del criterio di formazione di una delle classi di creditori (v. tra le moltissime Cass. n. 2108-12, Cass. n. 11493-18). Le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 7.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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