Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31044 del 30/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 30/11/2018), n.31044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27834 del ruolo generale dell’anno 2012,

proposto da:

Immobiliare Bandiera s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine

del ricorso, dagli avvocati Carlo Amato e Giuseppe Marini, presso lo

studio dei quali in Roma, alla via Moneti dei Parioli, n. 48,

elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persone del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– intimata –

e nei confronti:

Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Treviso, in persona

del direttore pro tempore;

– intimata-

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, depositata in data 12 ottobre 2011, n.

113/30/11.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia ha recuperato nei confronti della società maggiore materia imponibile ai fini dell’ires, dell’irap e dell’iva concernenti l’anno d’imposta 2005, in esito ad accertamento induttivo. In particolare, ricostruite le rimanenze finali al 2005, l’Agenzia ha determinato il nuovo costo del venduto applicando la percentuale di ricarico pari al 17%, ossia la più alta tra quelle applicate, tutte, escluso quella, negative.

La contribuente ha impugnato il relativo avviso di accertamento, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha dichiarato inammissibile perchè tardivo l’appello incidentale proposto dalla società in ordine alla questione della legittimità del metodo di accertamento, mentre ha accolto l’appello principale dell’Agenzia, reputando che il ricarico fosse in linea con quelli minimi applicati nel settore immobiliare, anche in considerazione del fatto che gli immobili in questione sono ubicati in zona centrale e pregiata della città.

Contro questa sentenza propone ricorso la società, che affida a sei motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I primi due motivi di ricorso, da esaminare insieme perchè concernono la medesima censura, con i quali la società si duole sotto diversi aspetti (della violazione di legge il primo motivo, dell’omessa pronuncia il secondo) dell’inammissibilità dell’appello principale dell’Agenzia perchè a suo avviso privo di motivi specifici, sono inammissibili per difetto di autosufficienza.

Ciò perchè la contribuente non riporta il contenuto dell’atto di appello, ma si limita a fornirne un sunto del tutto inidoneo a consentire la verifica dell’adeguatezza del gravame, comunque necessaria, anche allorquando sia lamentato un error in procedendo (in termini, tra le ultime, Cass., ord. 29 settembre 2017, n. 22880).

2.- Da analogo vizio è affetto il terzo motivo di ricorso, col quale la società si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, per la mancata allegazione all’avviso degli allegati in esso richiamati, nonchè dei correlativi profili di omessa pronuncia.

Anzitutto non è dato ricavare dall’esposizione del motivo quali fossero questi documenti richiamati e non allegati.

A tanto va aggiunto che la pretesa di allegazione “di tutta la documentazione richiamata nell’atto medesimo” è infondata, perchè tradisce la confusione tra il piano dell’allegazione, che è quello coinvolto dalla motivazione dell’avviso, con quello, logicamente e cronologicamente successivo, della prova dei fatti contestati con l’avviso.

Il motivo va quindi respinto.

3.- Il quarto e il quinto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè connessi, coi quali la contribuente denuncia sotto diversi profili la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e dell’art. 2727 c.c., in ordine alla legittimità del metodo di accertamento, sono inammissibili per plurimi profili.

Anzitutto, essi sono inammissibili per mancanza di congruenza con la ragione della decisione, poichè non aggrediscono la statuizione contenuta in sentenza che “deve quindi ritenersi passato in giudicato il capo della sentenza relativo alla inattendibilità della contabilità e alla legittimità dell’accertamento induttivo”.

3.1.- Essi poi sono inammissibili là dove aggrediscono il ragionamento presuntivo.

Ciò in base al principio di diritto secondo cui spetta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, a meno che non risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi (tra le ultime, Cass., ord. 5 maggio 2017, n. 10973).

Il che non è accaduto nel caso in esame, in cui la Commissione tributaria regionale ha valorizzato più elementi, tra i quali ha riconosciuto con motivazione logica e coerente quello dell’ubicazione degli immobili in questione.

4.- le considerazioni che precedono fanno giustizia dell’ultimo motivo di ricorso, col quale, dietro la schermo del vizio di omesso esame di fatto decisivo, si propone una rilettura delle risultanze processuali.

Rilettura peraltro sollecitata mediante indicazione di elementi prova di autosufficienza, in quanto non è allegato che tali elementi siano stati compiutamente allegati nella fase d’appello.

5.- Il ricorso va quindi respinto e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società a pagare le spese sostenute

dalla parte costituita, che liquida in Euro 7800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2018

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