Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31039 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 27/11/2019), n.31039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11985-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso l’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato STEFANO LEDDA;

– ricorrente –

contro

O.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V. GUIDO ALFANI

29, presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO PANETTA, rappresentato

e difeso dall’avvocato MASSIMO FAUGNO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 833/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 19.10.2017 n. 833 la Corte d’Appello di L’AQUILA confermava la sentenza del Tribunale di TERAMO, che aveva accolto la opposizione proposta da O.F. avverso il decreto ingiuntivo notificatogli dal datore di lavoro POSTE ITALIANE per la restituzione della somme lorde corrisposte in esecuzione di una sentenza di primo grado (resa in altro giudizio tra le stesse parti) riformata in appello, condannando il lavoratore a restituire il solo importo netto percepito;

che, a fondamento della decisione, la Corte territoriale aderiva al principio di diritto secondo cui il datore di lavoro può chiedere al lavoratore la restituzione della retribuzione versata in eccesso nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso POSTE ITALIANE spa, articolato in due motivi, cui ha opposto difese O.F. con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che POSTE ITALIANE spa ha dedotto:

con il primo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, degli artt. 12 e 14 preleggi, dell’art. 2033 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 23 e 64.

Ha evidenziato che nella fattispecie di causa non si trattava della ipotesi di retribuzioni indebite corrisposte per errore – cui erano riferibili la previsione di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e la giurisprudenza di legittimità citata nella sentenza impugnata – ma del doveroso e corretto adempimento della sentenza di condanna resa in primo grado; in tale ipotesi era il contribuente sostituito l’unico soggetto legittimato a presentare all’erario l’istanza di rimborso della tassazione corrisposta sulle somme pagate, non più dovute all’esito della riforma.

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 -violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 10, comma 1, lett. d bis, dell’art. 111 Cost., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 23, dell’art. 53 Cost., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21.

Ha dedotto che il contribuente avrebbe potuto dedurre l’importo restituito dal reddito dell’anno in cui era avvenuta la restituzione, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d bis, meccanismo successivamente rafforzato dalla L. n. 147 del 2013; ha ribadito che, comunque, il lavoratore era l’unico soggetto legittimato a proporre l’istanza di rimborso, come dalle circolari ministeriali.

che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;

che i due motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati alla luce degli orientamenti di questa Corte (per un caso analogo vedi Cass. 5 aprile 2019 n. 9735; sez. lav. 25/07/2018 n. 19735) secondo cui ” in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo”.

In tali arresti, cui si intende assicurare continuità, si è evidenziato che l’azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza, trattandosi di prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti; non può dunque modificarsi il principio, peraltro più aderente alla peculiarità del rapporto di lavoro subordinato, per cui il solvens non può ripetere dall’accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, affermato, tra le altre, da Cass. n. 1464/12 e n. 23093/14; resta, dunque, esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

Tale conclusione prescinde dai rimedi esperibili dal lavoratore-contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Il principio invocato dalla parte ricorrente – secondo cui il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito imponibile e non il sostituto che esegue la ritenuta onde è al medesimo debitore principale che compete il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso – riguarda i rapporti tra sostituto d’imposta, sostituito e fisco (cfr. in tal senso Cass. n. 239/06) ma non comporta che al lavoratore sostituito possa essere richiesto quanto versato dal sostituto ad un terzo (l’amministrazione finanziaria).

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione al difensore;

che, trattandosi di ricorso proposto in data successiva al 30 gennaio 2013,sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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