Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31038 del 28/12/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 5 Num. 31038 Anno 2017
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24566/2010 R.G. proposto da
Banca di credito cooperativo irpina società coop. a r.I., rappresentata
e difesa dagli AVV.ti Oreste Cantino e Guglielmo Cantillo, con domicilio
eletto presso il loro studio in Roma, via Lungotevere dei Melliní, n.
17;
– ricorrente contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi,
n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

Data pubblicazione: 28/12/2017

- controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale, sezione di
Napoli, n. 649/14/2010 depositata 1’8 febbraio 2010
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 ottobre 2017
dal Consigliere Emilio Iannello;
udito l’Avvocato dello Stato Paolo Gentili;

generale Immacolata Zeno, che ha concluso chiedendo il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. Con avvisi di accertamento notificati in data 23/11/1988
l’Ufficio II.DD. di Avellino recuperava a tassazione, a fini Irpeg e Ilor,
per gli anni 1984 e 1985 — oltre ad altri componenti di reddito non
più in discussione in questa sede — le variazioni in diminuzione del
reddito imponibile operate dalla Soc. Coop. a r.l. Cassa Rurale ed
Artigiana ai sensi dell’art. 12 legge 16 dicembre 1977, n. 904, che
tale beneficio prevede, a favore delle società cooperative e dei loro
consorzi, per «le somme destinate alle riserve indivisibili, a
condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto
qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo
scioglimento».
Riteneva, infatti, l’Ufficio che lo statuto della cooperativa non
prevedesse le condizioni a tal fine richieste dall’art. 26 d.lgs. C.P.S. 14
dicembre 1947, n. 1577, e in particolare quella, di cui al primo
comma, lett. b), che richiede sia espressamente previsto il divieto di
distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale.
Avverso tali avvisi la società cooperativa proponeva ricorsi che,
nella parte in cui afferivano ai recuperi predetti, erano accolti dalla
Commissione tributaria di primo grado di Avellino con sentenza
confermata in grado d’appello dalla Commissione tributaria di
secondo grado.
L’impugnazione successivamente proposta dall’Ufficio era però
2

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

accolta, con la sentenza in epigrafe, dalla C.T.C., sezione di Napoli,
che riteneva legittimo il recupero per il divisato contrasto tra la
succitata previsione dell’art. 26 d.lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947 e l’art.
36 dello statuto della cooperativa.
2. Avverso tale decisione la società contribuente propone ricorso
per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia
violazione dell’art. 12 legge n. 904 del 1977, in combinato disposto
con gli artt. 26 d.lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947 e 14 d.P.R. 29
settembre 1973, n. 601, in relazione all’art. 360, comma primo, num.
3, cod. proc. civ., per avere la C.T.C. omesso di rilevare — come
invece fatto dal giudice di merito in grado d’appello — il vizio
procedurale che inficiava di nullità l’atto di accertamento,
rappresentato dalla mancata acquisizione del parere, obbligatorio
anche se non vincolante, della Banca d’Italia, quale organo di
vigilanza, richiesto dall’art. 14, comma 3, d.P.R. n. 601 del 1973.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia poi violazione
dell’art. 26 d.lgs. CRS. n. 1577 del 1947; dell’art. 29, comma 5, d.l.
2 marzo 1989, n. 69, convertito dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, e
dell’art. 20 r.d. 26 agosto 1937, n. 1706 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento delle Casse rurali e artigiane), ai sensi dell’art. 360,
comma primo, num. 3, cod. proc. civ., in relazione all’affermazione —
posta a fondamento della decisione impugnata — secondo la quale «…
non può riconoscersi il suesposto beneficio tributario ad una società
cooperativa che prevede nello statuto, come nel caso di specie,
l’utilizzazione degli utili dopo la distribuzione dei medesimi ai soci
nella misura prevista nella lettera a) dell’art. 26 per finalità
mutualistiche, anziché la loro patrimonializzazione per futuri scopi
previsti nella lettera b) del citato art.».

3

entrate, depositando controricorso.

La ricorrente contesta la fondatezza dell’assunto nel quale sembra
risolversi tale affermazione, secondo cui l’art. 36 dello statuto (che
consente di destinare a finalità mutualistiche una parte residuale
dell’utile netto) sarebbe contrario a quanto prescritto dall’art. 26 lett.

b) d.lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947.
Rileva che la previsione statutaria regola la distribuzione dei

pertinente è quello alla lett. a) della predetta disposizione, la cui
previsione deve intendersi però nel caso di specie pienamente
rispettata, ad essa conformandosi pienamente la norma statutaria, la
quale anzi implica un’accentuazione delle finalità mutualistiche,
riducendo ulteriormente gli spazi per eventuali attività lucrative.
Rimarca inoltre che la norma statutaria costituisce la pedissequa,
testuale, riproduzione dell’art. 20, comma 1, del Testo unico delle
leggi sull’ordinamento delle Casse rurali e artigiane, nella versione
applicabile ratione temporis, risultando pertanto radicalmente escluso
l’asserito contrasto con l’art. 26 d.lgs. C.P.S. cit., alla luce della norma
di cui all’art. 29, comma 5, d.l. n. 69 del 1989, la quale dispone che
«gli enti cooperativi i cui statuti prevedono l’osservanza dei requisiti
stabiliti dall’articolo 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio
dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 , e successive modificazioni, e
la destinabilità degli utili residui a fini di mutualità e beneficenza
conformemente a specifiche disposizioni di legge, godono delle
agevolazioni fiscali previste dalle leggi vigenti, secondo il disposto di
cui al primo comma dell’articolo 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.
601. La presente disposizione deve intendersi interpretazione
autentica del predetto articolo 14 e delle altre disposizioni tributarie
che subordinano il godimento di agevolazioni alla sussistenza dei
requisiti della mutualità di cui all’articolo 26 del decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 , e
successive modificazioni».
4

dividendi e non delle riserve; che pertanto l’unico riferimento

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce inoltre violazione degli
artt. 1362 ss. cod. civ. e, in genere, dei canoni legali di ermeneutica,
in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per
avere la C.T.C. attribuito all’art. 36 dello statuto della banca un
contenuto che non trova fondamento nel testo della disposizione ed è
smentito dalle altre previsioni statutarie (quali in particolare l’art. 11

pone il divieto di distribuzione di riserve tra i soci durante la vita
sociale e l’art. 37 che contiene la prescrizioni di cui alla lett. c della
medesima disposizione).
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in subordine,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma primo, num.
5, cod. proc. civ., per avere la C.T.C. offerto una giustificazione del
tutto inidonea e apodittica dell’espresso convincimento, in contrasto
con quanto affermato dai precedenti giudici.
5. Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento degli
altri.
Non v’è, invero, motivo di discostarsi dal principio ormai
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema
di agevolazioni tributarie in favore delle società cooperative, la
conformità degli statuti ai principi legislativi in materia di mutualità
comporta una presunzione di spettanza delle agevolazioni o esenzioni
tributarie, sicché il procedimento di verifica dei «presupposti di
applicabilità» di cui all’art. 14 d.P.R. n. 601 del 1973, che prevede
come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza,
attiene ai soli casi in cui detta presunzione legale non operi, salva la
facoltà dell’amministrazione di disconoscere le agevolazioni, per ogni
singolo periodo d’imposta, sulla base di dati concreti, atti a
dimostrare che la veste mutualistica funge da copertura ad una
normale attività imprenditoriale. In tale ottica, il parere preventivo
5

che, in conformità a quanto prescritto dalla lett. b del citato art. 26,

degli organi di vigilanza riguarda i soli requisiti soggettivi della società
cooperativa, mentre l’ordinario potere di accertamento degli uffici
finanziari ha ad oggetto la natura e le modalità di svolgimento
dell’attività produttiva della cooperativa stessa (v.

ex multís Cass.

10544/2006; Cass. 1797/2005; 13280/2005; in argomento, di
recente anche Cass. 10/12/2015, n. 4300, e Cass. 24/2/2012, n.

tributarie per la cooperazione, il procedimento di verifica dei
“presupposti di applicabilità” di cui al D.Lgs. 29 settembre 1973, n.
601, art. 14, comma 3, che prevede come obbligatorio il preventivo
parere degli organi di vigilanza, attiene ai soli requisiti soggettivi
dell’ente, ma non riguarda le condizioni, stabilite dal precedente art.
10, relative alla natura e alle modalità di svolgimento della sua
attività produttiva, di modo che, sotto questo profilo, nessun limite
incontra l’ordinario potere di accertamento spettante
all’amministrazione finanziaria, la cui attività, al riguardo, va ritenuta
legittima, indipendentemente dall’esistenza o meno del suddetto
parere»).
Nel caso di specie è pacifico in causa che a fondamento del
mancato riconoscimento del diritto alle agevolazioni fiscali è posto
soltanto un rilievo di carattere formale, riguardante per l’appunto il
possesso delle condizioni soggettive per goderne, quali rilevabili dallo
statuto della cooperativa, la cui verifica pertanto non avrebbe potuto
prescindere dall’acquisizione del preventivo parere del competente
organo di vigilanza, ossia della Banca d’Italia.
6. La sentenza va pertanto cassata e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito,
ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso
introduttivo.
Avuto riguardo allo svolgimento del processo, si ravvisano i
presupposti per l’integrale compensazione delle spese dei vari gradi

6

2849/2012, secondo la cui massima, «in tema di agevolazioni

del giudizio di merito.
Il regolamento delle spese relative al presente giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo, segue il criterio della
soccombenza.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti;

introduttivo.
Compensa integralmente le spese del giudizio di merito.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della
ricorrente, delle spese processuali liquidate in euro 7.000 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed
agli accessori di legge.
Così deciso il 12/10/2017

cassa la sentenza; decidendo nel merito, accoglie il ricorso

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA