Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31036 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 27/11/2019), n.31036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8831-2018 proposto da:

ATAC – AZIENDA PER LA MOBILITA’ DI ROMA CAPITALE SPA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, V. PRENESTINA 45, presso lo studio dell’avvocato MARINA DI

LUCCIO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.A.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3942/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 12 – 18 settembre 2017 numero 3942 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto l’opposizione proposta dalla società ATAC S.p.A. (in prosieguo, anche: la società) avverso il decreto ingiuntivo notificato dal dipendente D.A.M., cessato dal servizio, per il pagamento della somma di Euro 4.770,90, a titolo di ferie e permessi non goduti;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale rilevava che la società aveva dedotto il pagamento al D.A. della indennità, come da busta paga di luglio 2000.

Il prospetto paga era privo della sottoscrizione del lavoratore e, pertanto, non costituiva prova del pagamento.

Il mancato pagamento dell’indennità era confermato dal rilievo che la società nel luglio 2005 aveva riscontrato la richiesta del lavoratore deducendo la avvenuta conciliazione della questione in sede sindacale e che in causa aveva prodotto la transazione. Tale transazione si riferiva, invece, ad altro dipendente omonimo.

Il mancato godimento dei giorni di ferie era provato dal prospetto INAIL con scheda presenze del mese di luglio 2000 (dal quale risultava che egli doveva fruire di 93,12 giorni di congedo) e dalla busta paga del luglio 2000.

Quanto all’eccezione di prescrizione, il termine era decennale, dovendo tenersi conto a tal fine del carattere risarcitorio della indennità.

In ordine, infine, ai giorni di permesso, il lavoratore aveva prodotto prospetto di TRAMBUS S.p.A, dal quale si evinceva che al personale di movimento spettavano 28 giorni di ferie e cinque giornate di permesso annue;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso ATAC spa, articolato in un unico motivo, cui l’intimato non ha opposto difese;

che la proposta del relatore è stata comunicata alla parte -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo ATAC S.p.A. ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2220,26972946 e 2948 c.c. nonchè della L. n. 54 del 1977, art. 2.

Ha esposto che il signor D.A.M. era definitivamente cessato dal servizio in data 31 luglio 2000, anteriormente alla costituzione della società TRAMBUS S.p.A.(Delib. Consiglio comunale di Roma 19 ottobre 2000, n. 173).

Tra le voci indicate nel cedolino paga del mese di luglio 2000 vi erano gli importi dell’indennità per ferie non godute nell’anno in corso e negli anni precedenti.

Il lavoratore sosteneva di non aver percepito l’indennità per ferie non godute, pur non contestando di avere incassato l’importo indicato nella busta paga.

Tanto premesso, la società ha censurato la sentenza per non avere ritenuto raggiunta la prova del pagamento.

Ha assunto che la motivazione aveva omesso l’esame dei seguenti punti decisivi:

– la corrispondenza in ordine alla avvenuta transazione si riferiva ad altro dipendente omonimo, ancora in servizio.

– il D.A. non aveva assolto al proprio onere probatorio in ordine al mancato godimento delle ferie ed alla sua imputabilità al datore di lavoro: non poteva essere attribuita valenza probatoria ai cedolini INAIL nè era stata documentata una richiesta di congedi non accolta.

– era stato richiesto il deferimento del giuramento decisorio (pagina 7 del ricorso in appello).

– il D.A., come dal documento 7 prodotto con il ricorso per decreto ingiuntivo, affermava di non essere stato pagato in base all’accordo conciliativo, che, in realtà, non era a lui riferibile ma non smentiva di aver percepito l’importo netto indicato nel cedolino paga di luglio 2000.

Era dunque violato l’art. 116 c.p.c., per non essere stata valutata la prova documentale. La prova del pagamento era raggiunta per presunzioni, non essendo sostenibile che dell’intero importo indicato in busta paga l’azienda non avesse corrisposto soltanto quanto dovuto per ferie non godute; d’altra parte lo stesso lavoratore aveva notificato il ricorso per decreto ingiuntivo solo a distanza di circa 10 anni.

La società ricorrente ha altresì dedotto la violazione delle norme sulla prescrizione, assumendo essere applicabile il termine quinquennale e che, pur a voler applicare il termine decennale, sarebbe stata comunque prescritta le indennità per le ferie non godute fino all’anno 1999.

L’azienda non era tenuta a conservare i documenti del pagamento dopo il decorso di dieci anni, ai sensi dell’art. 2220 c.c..

Da ultimo, la società ha dedotto l’omessa pronuncia sulla domanda subordinata con la quale si sosteneva che erano stati conteggiati sei giorni di riposo annui in eccesso, in quanto:

– quattro giornate aggiuntive di permesso retribuito erano state previste dall’accordo aziendale 7 marzo 1969, che era divenuto inapplicabile a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 54 del 1977: le quattro giornate erano state introdotte in sostituzione delle riduzioni di orario non più consentite da tale legge;

– le due ulteriori giornate di riposo erano previste dagli accordi interconfederali 27 luglio e 14 novembre 1978 “a compensazione ed in luogo” delle festività nazionali e religiose nonchè delle solennità civili soppresse. Successivamente agli accordi interconfederali, tuttavia, il legislatore aveva reintrodotto alcune festività, determinando così il venir meno del presupposto essenziale delle due giornate di permesso.

Su tale domanda subordinata la Corte territoriale aveva promesso di pronunciarsi, limitandosi a rilevare che il documento di TRAMBUS S.p.A. prevedeva cinque giornate di permesso: tale generico documento non era riferibile alla controparte, che non era mai stata dipendente di TRAMBUS spa.

che ritiene il Collegio si debba dichiarare la inammissibilità del ricorso;

che, invero, la censura contesta, sotto molteplici profili, il convincimento espresso dal giudice del merito in ordine:

– al numero dei giorni di ferie e di permessi spettanti al D.A. ed al loro mancato godimento al momento della cessazione dal servizio;

– al mancato pagamento della relativa indennità sostitutiva.

La Corte di merito ha sul punto compiuto una verifica di merito,

basata sui prospetti INAIL e sui documenti aziendali. Parte ricorrente contesta il valore probatorio di tali documenti ovvero la loro riferibilità a se stessa (prospetto TRAMBUS spa) o alla controparte (transazione); lamenta, quanto al pagamento, il mancato utilizzo delle presunzioni.

Le censure, investendo un accertamento di fatto, avrebbero potuto essere veicolate a questo giudice di legittimità soltanto con la deduzione di un vizio di motivazione, la cui deducibilità, tuttavia, è in limine preclusa dal disposto dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, per il giudizio conforme in fatto espresso nei due gradi di merito.

Resta del tutto estranea alle ragioni decisione, invece, la applicazione degli accordi aziendali ed interconfedarali richiamati in ricorso nè è pertinente la censura di omessa pronuncia su tale domanda: la sentenza impugnata ha preso in esame la questione del numero di giorni annui di permesso spettanti, decidendola sulla base di un documento diverso rispetto a tali accordi.

Va altresì rilevata la mancanza di specificità della censura di mancata ammissione del giuramento decisorio, in quanto in ricorso non se ne riporta la formula, onde consentire a questa Corte di valutare la sua decisività.

Da ultimo, la statuizione di applicabilità del termine decennale di prescrizione è conforme alla giurisprudenza di questo giudice di legittimità (Cass. sez. lav. 29 gennaio 2016 n. 1756) secondo cui -premessa la natura mista, risarcitoria e retributiva, della indennità per ferie e riposi non goduti – ai fini della prescrizione deve ritenersi prevalente la natura risarcitoria mentre la natura retributiva assume importanza allorquando debba valutarsene la incidenza su ogni aspetto di natura retributiva (come il calcolo del TFR o degli accessori) o contributiva. Il ricorso si limita ad assumere la applicabilità del termine breve, senza esporre alcun argomento per porre in discussione il richiamato principio sicchè la inammissibilità deve essere sul punto dichiarata ex art. 360 bis c.p.c., n. 1; inoltre la società assume essere decorso anche il termine decennale, chiedendo in via diretta a questa Corte, senza censurare alcuna statuizione della sentenza, un non-consentito accertamento di merito;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.

che non vi è luogo a provvedere sulle spese per la mancata costituzione dell’intimato;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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