Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31034 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 27/11/2019), n.31034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8246-2018 proposto da:

B.F., in proprio e nella qualità di esercente la

potestà sul figlio minore P.G., in proprio e nella

qualità di eredi del sig. P.C., elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIOVANNI PRINCIPE;

– ricorrenti-

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo

studio dell’avvocato LUCIANA ROMEO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato EMILIA FAVATA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 521/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 04/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 23 maggio – 4 settembre 2017 n. 521 la Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da B.F., P.G. e P.F., in proprio e quali eredi di P.C., per il conseguimento dei ratei della rendita per malattia professionale spettanti al de cuius tra il momento di diagnosi della malattia e quello del decesso nonchè per il pagamento della rendita ai superstiti;

che la Corte territoriale riteneva la improponibilità della domanda proposta iure successionis per mancanza della necessaria denuncia della malattia da parte del dante causa ed, in ogni caso, la prescrizione triennale della azione ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex art. 112, decorrente del 17 maggio 2006, momento in cui il P., nel corso di una visita presso l’AUSL di Messina, aveva avuto informazione della possibile riconducibilità della malattia (“astrocitoma”) alle mansioni lavorative;

Quanto alla domanda di rendita ai superstiti, il c.t.u. nominato in grado d’appello aveva confermato l’insussistenza del nesso causale tra la neoplasia cerebrale da cui era affetto il de cuius e le mansioni svolte, nonostante il contatto con sostanze chimiche tossiche, incluso l’amianto e fattori fisici esogeni, quale il rumore.

Il c.t.u. aveva risposto dettagliatamente ai rilievi critici degli appellanti ed evidenziato anche che per il dicloroetano non vi era un nesso di causalità con la patologia.

Del tutto inidoneo a dimostrare le carenze della consulenza d’ufficio era il precedente della Corte dei Conti del Lazio dell’anno 2003, invocato e neppure allegato, relativo ad attività eterogenea rispetto a quella del P.;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso B.F., in proprio e quale esercente la potestà e sul figlio minore P.G., articolato in due motivi, cui l’INAIL ha opposto difese con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, censurando la sentenza in punto di individuazione del dies a quo della prescrizione dell’azione proposta iure hereditario.

Ha assunto che la conoscenza e la percezione della riconducibilità della malattia alle mansioni lavorative si era avuta soltanto dopo la morte del lavoratore quando il consulente di parte, esaminati le cartelle cliniche ed i certificati in possesso degli eredi, aveva concluso (relazione dell’1 aprile 2008) che la patologia era riconducibile alle mansioni svolte;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo del giudizio.

La censura afferisce al rigetto della richiesta della rendita ai superstiti.

La ricorrente ha dedotto che la esposizione al dicloroetano è causa di neoplasie al sistema nervoso ed ha assunto essere notorio che il dicloroetano era utilizzato nelle vernici fino agli inizi degli anni novanta.

Ha assunto che il consulente d’ufficio non aveva risposto esaurientemente ai rilievi critici mossi; egli non aveva valutato la incidenza causale dei fattori di rischio, quali la esposizione all’amianto, la inalazione di vernici, solventi ed idrocarburi, la esposizione a rumori assordanti;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare inammissibile il ricorso;

che, invero, il primo motivo contesta l’accertamento compiuto in sentenza in ordine al momento di conoscibilità da parte del lavoratore dell’origine professionale della malattia, costituente dies a quo della prescrizione triennale. Trattasi dell’accertamento di un fatto storico, censurabile in sede di legittimità unicamente con la deduzione di un vizio di motivazione. E’ dunque in limine ostativo il rilievo che il giudizio conforme sul punto reso nei due gradi di merito preclude la deducibilità in questa sede del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5. Inoltre non risulta attinta dalla censura l’ulteriore ed autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui la azione instaurata nella qualità ereditaria era improponibile per la mancata denuncia della malattia da parte del de cuius.

Il secondo motivo parimenti coglie un accertamento di fatto – la verifica in concreto del nesso di causalità tra le mansioni lavorative e la malattia- contestabile in questa sede non già con la denuncia di errori di diritto ma nei limiti di deducibilità del vizio di motivazione; opera, dunque, anche in relazione a tale censura la preclusione derivante, ex art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, dal giudizio conforme sulla quaestio facti reso nei gradi di merito;

che, pertanto, in conformità alla proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese, sussistendo le condizioni di cui all’art. 152 c.p.c., disp. att., per quanto accertato dalla sentenza d’appello;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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