Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3103 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 09/02/2021), n.3103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25993/13 R.G. proposto da:

A.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Mauro Stori e

Roberto Armandola, giusta procura a margine del ricorso, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Corso

Trieste, n. 150;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del

Friuli-Venezia Giulia n. 20/10/13 depositata in data 29 marzo 2013;

sul ricorso iscritto al n. 25996/13 R.G. proposto da:

FL.AN DI P.F. & C. S.A.S., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mauro Stori e

Roberto Armandola, giusta procura a margine del ricorso, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Corso

Trieste, n. 150;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del

Friuli-Venezia Giulia n. 18/10/13 depositata in data 29 marzo 2013 e

sul ricorso iscritto al n. 25997/2013 R.G. proposto da:

P.F., rappresentato e difeso dagli avv.ti Mauro Stori e

Roberto Armandola, giusta procura a margine del ricorso, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Corso

Trieste, n. 150;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del

Friuli-Venezia Giulia n. 19/10/13 depositata in data 29 marzo 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 novembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2006, l’Agenzia delle entrate procedeva al recupero a tassazione di maggior reddito imponibile nei confronti della società FL.AN di P.F. & C. s.a.s., ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30 e, con distinti atti impositivi, accertava un maggior reddito di partecipazione nei confronti dei soci A.A. e P.F., in base al disposto di cui all’art. 5 t.u.i.r..

In particolare, l’Amministrazione finanziaria con l’atto impositivo emesso nei confronti della società contestava l’iscrizione tra le rimanenze di magazzino del complesso immobiliare ubicato a Sacile, ravvisando la sua destinazione all’investimento durevole ed all’utilizzo personale, e, dunque, riclassificava tutte le unità immobiliari facenti parte del complesso immobiliare da rimanenze dell’attivo circolante (non rilevanti per la determinazione dei ricavi minimi presunti ai fini del superamento del test di operatività) ad immobilizzazioni materiali (rilevanti per la determinazione dei ricavi minimi presunti). A supporto di tale diversa riclassificazione motivava che gli immobili, originariamente destinati alla vendita, erano stati concessi in locazione e che i canoni percepiti avevano costituito l’unica fonte di reddito della società. Rilevava, pure, che la società non aveva svolto in modo esclusivo o prevalente l’attività di costruzione per la vendita, trattandosi di impresa ad oggetto “misto”, ossia avente ad oggetto sia la gestione di immobili tramite la concessione in locazione che la loro ristrutturazione e vendita.

2. La società contribuente ed i soci, con separati ricorsi, impugnavano gli avvisi di accertamento contestando la riclassificazione dei beni effettuata dall’Ufficio; deducevano, in primo luogo, che le unità immobiliari site a Sacile erano pur sempre rimaste destinate alla vendita, seppure temporaneamente locate, così come le unità abitative dell’altro complesso immobiliare di (OMISSIS), e, in via subordinata, che anche nel caso di riclassificazione tra le immobilizzazioni materiali dei soli immobili locati, e non delle unità non locate, che dovevano rimanere iscritte tra le rimanenze di magazzino, la società non poteva in ogni caso essere considerata non operativa, poichè i ricavi presunti sarebbero stati comunque inferiori ai ricavi dichiarati.

Con successiva memoria, la società ribadiva: a) l’impossibilità di praticare canoni di locazione superiori a quelli dichiarati; b) la censurabilità della contestazione dell’Amministrazione che aveva riclassificato tra le immobilizzazioni l’intero immobile di Sacile (sia le unità immobiliari locate sia le unità immobiliari sfitte), diversamente da quanto fatto per il complesso immobiliare di (OMISSIS), per il quale tutte le unità immobiliari sfitte erano state considerate tra le rimanenze; c) la provvisorietà della scelta della famiglia P. di occupare alcune unità immobiliari del complesso di (OMISSIS).

3. La Commissione tributaria provinciale di Pordenone, sulla base della stessa motivazione, respingeva i ricorsi con distinte sentenze (nn. 47/01/12, 48/01/12 e 50/01/12) avverso le quali le parti contribuenti proponevano separatamente appello.

La Commissione tributaria regionale, con le sentenze in questa sede impugnate ed in epigrafe indicate, confermava le sentenze di primo grado ritenendo legittima la pretesa fiscale.

Rilevava, in particolare, che il complesso immobiliare di (OMISSIS), con quattro unità non locate su un totale di tredici unità, non era stato destinato alla vendita, ma ad investimento durevole da allocare tra le immobilizzazioni, in funzione della destinazione economica, e concorreva alla determinazione dei ricavi presunti e del reddito minimo presunto; riteneva, di conseguenza, non corretta la valorizzazione di tali beni operata dalla società e, quindi, elusiva l’operazione contabile di classificazione di detti beni tra le rimanenze, come tali non rientranti tra gli asset indicati alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, ai fini del test di operatività.

4. Con separati ricorsi la società contribuente ed i soci hanno chiesto la cassazione delle sentenze di appello, affidandosi a cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con distinti controricorsi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, va disposta, in conformità all’istanza formulata, la riunione dei ricorsi contraddistinti dai nn. 25996/13 R.G. e 25997/13 R.G. a quello iscritto al n. 25993/13 R.G., di iscrizione più risalente, atteso che, pur avendo tali ricorsi ad oggetto l’impugnazione di diverse sentenze, essi scaturiscono dal medesimo accertamento svolto a carico della società di persone FL.AN. di P.F. & C. s.a.s. e dei soci, P.F. e A.A., in relazione all’anno d’imposta 2006.

Sussistono, infatti, tra i giudizi ragioni di connessione determinate dal titolo, essendo comune il fatto (produzione di reddito) assunto dalle norme tributarie a presupposto delle rispettive obbligazioni tributarie della società (ai fini Irap) e dei singoli soci (ai fini Irpef), trovando fondamento la comunanza delle cause nella disposizione dell’art. 5 t.u.i.r., comma 1, che prevede la diretta imputabilità, pro quota, a ciascun socio indipendentemente dalla effettiva percezione ed in relazione alla misura della partecipazione agli utili – dei redditi prodotti dalla società di persone, con la conseguenza che l’accertamento concernente l’esatta determinazione del reddito societario viene immediatamente a spiegare efficacia sulla base imponibile relativa ai rapporti tributari di cui sono titolari i singoli soci.

2. Passando all’esame dei ricorsi, va precisato che i motivi articolati dalla società e dai soci sono identici.

3. Con il primo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, falsa applicazione delle norme codicistiche che presiedono alla redazione del bilancio, nella parte in cui i giudici regionali, aderendo alla tesi proposta dall’Ufficio, hanno assunto che se in un complesso immobiliare prevalgono numericamente le unità immobiliari locate su quelle sfitte, tutto il complesso immobiliare è strumentale e va ricondotto alle immobilizzazioni materiali; sostengono che, al contrario, il giudizio circa la destinazione economica del bene, ai fini della sua iscrizione tra le immobilizzazioni ovvero tra il circolante, debba essere svolto con riferimento alle singole unità abitative identificate catastalmente.

4. Con il secondo motivo i contribuenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, nella parte in cui la Commissione regionale assume che, anche laddove si volessero classificare quali beni “merce” gli immobili non locati, comunque la società non potrebbe essere considerata operativa, poichè tra i ricavi dichiarati figurano, oltre ai canoni di locazione provenienti da “immobilizzazioni” destinate ad investimento (complesso immobiliare di (OMISSIS)), che concorrono alla determinazione dei ricavi presunti, anche i corrispettivi di vendita provenienti da rimanenze degli immobili invenduti (complesso residenziale di (OMISSIS)) che non concorrono alla determinazione dei ricavi presunti e del reddito minimo presunto ai sensi della L. n. 724 del 1994, ex art. 30;

I ricorrenti, al riguardo, rilevano che ai fini del calcolo dei ricavi effettivi, l’art. 30, comma 1, fa riferimento a “l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico…”, ossia ai dati indicati nel bilancio d’esercizio, con la conseguenza che nel calcolo devono essere tenuti in considerazione anche ricavi derivanti da beni non iscritti nelle immobilizzazioni assunte a riferimento per la stima dei redditi presunti.

5. Con il terzo motivo deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed omessa motivazione circa un punto decisivo per il giudizio, per non avere i giudici di appello preso posizione su quanto addotto sia in primo che in secondo grado in relazione alle specifiche cause che avevano di fatto impedito la vendita di alcune unità immobiliari.

6. Con il quarto motivo deducono parimenti omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed omessa motivazione circa un fatto decisivo, lamentando che la sentenza non sarebbe adeguatamente motivata in merito alla riconducibilità delle unità immobiliari del complesso immobiliare di (OMISSIS) a “investimento durevole”.

7. Con il quinto motivo deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, falsa applicazione della nozione giuridica di abuso, nella parte in cui i giudici di appello hanno censurato come elusiva l’operazione contabile con la quale sono state considerate immobilizzazioni le sole unità locate, posto che il mantenimento tra le rimanenze, quali immobili merce destinati alla vendita, delle unità immobiliari mai affittate del complesso immobiliare di (OMISSIS) risulta del tutto coerente con le regole che presiedono alla redazione del bilancio, come interpretate dai principi contabili nazionali approvati dall’OIC.

8. Il primo motivo è fondato.

8.1. Occorre rammentare, in via preliminare, che in base alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, sono considerate non operative le società il cui conto economico presenta un ammontare complessivo di ricavi, incrementi delle rimanenze e proventi ordinari inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti a taluni asset patrimoniali, e precisamente: a) il 2 per cento al valore dei beni indicati nell’art. 85 t.u.i.r., comma 1, lett. c), d) ed e) e delle quote di partecipazione in società di persone commerciali, aumentato del valore dei crediti; b) il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e dai beni indicati nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8-bis, comma 1, lett. a), anche in locazione finanziaria; c) il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni materiali e immateriali, anche in locazione finanziaria.

8.2. Con specifico riferimento agli immobili, l’art. 30, comma 1, lett. b), si riferisce a terreni e fabbricati (nonchè alle navi destinate all’esercizio di attività commerciali o alla pesca o alle operazioni di salvataggio o di assistenza in mare) e gli stessi rilevano ai fini del calcolo dei ricavi minimi presunti solo ed esclusivamente se iscritti in bilancio fra le immobilizzazioni materiali, in quanto utilizzati come strumenti di produzione o destinati all’investimento durevole, mentre non assumono rilevanza a tali fini gli immobili cd. merce, ossia quelli che, in quanto destinati alla vendita, sono iscritti nell’attivo circolante fra le rimanenze.

8.3. Gli immobili iscritti in magazzino (cd. immobili merce), non essendo compresi tra gli asset indicati nell’art. 30, comma 1, non rientrano nel test di operatività, a condizione che la classificazione fra gli immobili merce sia improntata a corretti principi contabili (in tal senso, Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 25/E del 4 maggio 2007, paragrafo 3.2.2.).

Ciò impone di ritenere che la classificazione dell’immobile fra i beni del circolante, anzichè fra le immobilizzazioni, deve essere motivata dalla effettiva destinazione alla vendita, dovendosi includere nel test di operatività gli immobili che, sebbene iscritti fra le rimanenze, risultino oggetto di locazione a terzi da lungo tempo.

In sede di verifica dello stato di operatività della società, ai sensi della L. n. 724 del 1994, cit. art. 30, i beni immobili assumono, dunque, rilevanza solo se iscritti in bilancio fra le immobilizzazioni materiali, in quanto utilizzati come strumenti di produzione o destinati all’investimento durevole.

8.4. Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, sul piano fiscale assume rilievo la distinzione – elaborata in dottrina e seguita nella prassi – tra “immobili strumentali” (destinati, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 43, comma 2, alla produzione propria o di terzi), “immobili merce” (destinati al mercato della compravendita) e “immobili patrimonio” (destinati al mercato locativo, ai sensi degli artt. 37 e 90 t.u.i.r.) (Cass., sez. 5, 23/07/2019, n. 19815, in motivazione; Cass., sez. 5, 20/02/2020, n. 4417).

Gli immobili strumentali si distinguono a loro volta in immobili strumentali per destinazione, tra i quali sono inclusi esclusivamente gli immobili che abbiano come unica destinazione quella di essere direttamente impiegati nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali, ed immobili strumentali per natura, per i quali non rileva l’utilizzazione o meno del bene per l’esercizio dell’impresa, stante il carattere oggettivo della strumentalità.

8.5. Tanto premesso in linea generale, nel caso di specie, la Commissione regionale, nel confermare gli avvisi di accertamento impugnati, ha ritenuto che la società contribuente dovesse sottoporsi al regime di tassazione delle società non operative, in quanto non esercitava effettivamente attività commerciale, ma era stata piuttosto costituita per gestire un patrimonio nell’interesse dei soci, emergendo dalla tabella inserita nell’atto impositivo, che, sebbene fosse stata costituita nel 1995, dal 1998 al 2007 aveva sempre dichiarato ricavi da locazione e solo nel 2006 aveva dichiarato ricavi da vendita per Euro 280.000,00.

A tale conclusione i giudici di appello sono pervenuti accertando, in fatto, che, sebbene il complesso residenziale sito in (OMISSIS), di proprietà della società ricorrente, fosse stato effettivamente destinato alla vendita, l’altro complesso residenziale ubicato in (OMISSIS) era stato, invece, destinato all’investimento durevole, considerato che: a) gli immobili di cui ai sub. 15 16 e 17, che coprivano il 40 per cento della superficie totale del complesso, erano stati oggetto di locazione, con contratto registrato il 26 luglio 2006, da parte della società, a P.F., coniuge del legale rappresentante della stessa società ( A.A.), e che i coniugi ed i loro figli già risiedevano presso le stesse unità abitative locate dal 26 maggio 2003; b) l’unità abitativa sub 18 era stata parimenti concessa in locazione con contratto registrato il 1 luglio 2006 a soggetti risultanti dipendenti del P. con la qualifica di “lavoratori domestici”; c) l’unità commerciale sub. 21 era stata locata nel 1998 ad un istituto di credito con contratto della durata di anni sei, rinnovabili per altri sei anni, salvo disdetta.

L’utilizzo delle unità abitative del secondo complesso residenziale a fini personali/gestionali ha condotto i giudici regionali ad affermare che l’intero immobile, con quattro unità sfitte a disposizione su un totale di tredici unità, dovesse essere interamente allocato in bilancio tra le “immobilizzazioni materiali”, che concorrevano alla determinazione dei ricavi presunti e dei ricavi minimi presunti di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, anzichè tra le rimanenze dell’attivo circolante, come operato dalla società.

Il ragionamento seguito dalla Commissione regionale non si pone in linea con le norme codicistiche che presiedono alla redazione del bilancio.

Infatti, è ben vero che si deve avere riguardo alla destinazione economica dell’unità immobiliare ai fini della sua iscrizione in bilancio tra gli investimenti durevoli (e dunque tra le immobilizzazioni) ovvero tra i beni del circolante (e dunque tra le rimanenze); tuttavia, la riscontrata durata pluriennale e cumulativa di contratti di locazione stipulati dalla società aventi ad oggetto il maggior numero delle unità abitative che componevano il complesso immobiliare di (OMISSIS) non consente di considerare l’intero complesso immobiliare come bene strumentale, dovendosi necessariamente tenere distinte le unità abitative oggetto di locazione, correttamente incluse dai giudici regionali tra le immobilizzazioni materiali, da quelle non locate.

L’analisi della situazione di fatto svolta dai giudici di secondo grado ha fatto emergere che l’attività svolta dalla società ricorrente dall’anno 1998 al 2006 è consistita prevalentemente nella locazione di gran parte delle unità costituenti il complesso commerciale e nel loro utilizzo per scopi personali dei soci o dei loro familiari, piuttosto che in un’attività di compravendita immobiliare, che è stata effettuata solo nell’anno 2006; tuttavia, la allocazione dell’intero complesso immobiliare di (OMISSIS) nello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni materiali, e non tra le rimanenze, ai fini della determinazione dei ricavi presunti, non risulta rispettosa del principio contabile OIC n. 16, che definisce le immobilizzazioni materiali beni di uso durevole, impiegati normalmente come strumenti di produzione del reddito della gestione tipica o caratteristica, come tali non destinati nè alla vendita, nè alla trasformazione per l’ottenimento dei prodotti dell’impresa.

Nel caso di complesso immobiliare costituito da più unità, ciascuna di esse ha una propria autonomia, in quanto distintamente identificabile al catasto; pertanto, deve escludersi che gli immobili rimasti sfitti possano essere, al pari di quelli oggetto di locazione, allocati in bilancio quali immobilizzazioni, trattandosi di immobili merce da classificare contabilmente quali rimanenze a disposizione della società ai fini della vendita.

La Commissione regionale, considerando quali immobilizzazioni la totalità delle unità immobiliari facenti parte del complesso immobiliare di (OMISSIS) e valorizzando in sede di determinazione dei ricavi presunti e del reddito minimo presunto anche gli immobili merce, non oggetto di locazione e destinati alla vendita, è incorsa nel denunciato vizio.

L’accoglimento del mezzo in esame consente di ritenere assorbito il quarto ed il quinto motivo di ricorso.

9. Anche il secondo motivo è fondato.

9.1. La Commissione regionale ha ritenuto che l’operazione contabile suggerita dai contribuenti di considerare quali immobilizzazioni gli immobili locati e quali immobili merce in rimanenza quelli sfitti non consente in ogni caso di superare il test di operatività, posto che tra i ricavi dichiarati “figurano oltre che i canoni di locazione provenienti da “immobilizzazioni” destinate ad investimento (complesso (OMISSIS)), che concorrono alla determinazione dei ricavi presunti e del reddito minimo presunto, anche i corrispettivi di vendita provenienti da “rimanenze” degli immobili invenduti (complesso residenziale di (OMISSIS)), che non concorrono alla determinazione dei ricavi presunti e del reddito minimo presunto, L. n. 724 del 1994, ex art. 30″.

9.2. La L. n. 724 del 1994, art. 30, nel dettare specifiche regole per individuare le società non operative, prevede, al comma 1, che ai fini del calcolo dei ricavi effettivi deve farsi riferimento a “l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico…”.

La Agenzia delle entrate, nella circolare n. 25/E del 4 maggio 2007, ha precisato, al paragrafo 3.4, che “per verificare se una società possa considerarsi non operativa occorre mettere a raffronto, su un arco temporale triennale, l’effettivo ammontare dei ricavi, dell’incremento delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, con quello risultante dalla somma degli importi ottenuti dall’applicazione delle previste percentuali al valore dei beni rientranti nei comparti indicati nei precedenti paragrafi. I ricavi, gli incrementi di rimanenze e i proventi (esclusi quelli straordinari) da considerare per l’applicazione della disciplina in esame sono quelli desumibili dal conto economico”.

Ha, in particolare, spiegato che per i soggetti tenuti alla redazione del bilancio, occorre tenere conto: per i ricavi, della somma degli importi risultanti dalle voci Al e A5 dello schema di conto economico previsto dall’art. 2425 c.c. (ossia “ricavi delle vendite e delle prestazioni”, “altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio”); per gli incrementi di rimanenze, della somma delle variazioni positive delle voci A2, A3 e B11 (ossia “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”, “variazioni dei lavori in corso su ordinazione”, “variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie di consumo e merci”). L’ammontare delle predette voci va assunto così come risulta dal conto economico anche quando il relativo importo deriva dalla somma algebrica di sottovoci con opposto segno algebrico.

Risulta, pertanto, evidente che nel calcolo dei ricavi effettivi, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., debbano essere presi in considerazione anche i ricavi provenienti dai beni non iscritti nelle immobilizzazioni assunte a riferimento per la stima dei redditi presunti.

La Commissione regionale non ha dunque fatto corretta applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30.

10. Il terzo motivo è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802).

La censura formulata dalla ricorrente non riguarda l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ma la valutazione di deduzioni difensive svolte nel giudizio di merito concernenti le cause che avrebbero di fatto impedito la vendita di alcune unità immobiliari, sicchè essa esula dal dedotto vizio di motivazione.

11. In conclusione, vanno accolti il primo ed il secondo motivo dei ricorsi, assorbiti il quarto ed il quinto motivo e dichiarato inammissibile il terzo motivo; le sentenze devono essere cassate con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

riuniti al presente ricorso i ricorsi iscritti ai nn. 25996/13 e 25997/13 R.G., accoglie il primo ed il secondo motivo dei ricorsi; dichiara assorbito il quarto ed il quinto motivo dei ricorsi; dichiara inammissibile il terzo motivo dei ricorsi; cassa le sentenze impugnate e rinvia le cause alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dei giudizi di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

 

 

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