Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31029 del 28/12/2017


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 31029 Anno 2017
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 3019-2010 proposto da:
REDMONT DENNIS FOSTER, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA CARLO CONTI ROSSINI 95, presso lo studio
dell’avvocato ORESTE MICHELE FASANO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE
RUFFINI giusta delega a margine;
– ricorrente –

2017
1379

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;
– intimato nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro

Data pubblicazione: 28/12/2017

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto di costituzione –

avverso la decisione n. 3251/2009 della COMM.
TRIBUTARIA CENTRALE di ROMA, depositata il 18/06/2009;

udienza del 14/09/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
LOCATELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato RUFFINI che ha
chiesto l’accoglimento.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

N.R.G.3019/2010
FATTI DI CAUSA
L’Ufficio distrettuale delle imposte di Roma emetteva nei confronti del
cittadino statunitense Redmont Dennis, esercente la professione di
giornalista, più avvisi di accertamento relativi ad Irpef ed ilor dovuta per
gli ann ì 19{31,1982,1983 e 1984, ritenendo che lo stesso fosse soggetto
passivo di imposta

in

guanto residente fiscalmente nel territorio

Redmont Dennis proponeva distinti ricorsi alla Commissione tributaria
di primo grado di Roma che, previa riunione, li rigettava con decisione
del 31.10.1990.
Il contribuente proponeva appello alla Commissione tributaria di
secondo grado di Roma che lo accoglieva con decision+.503 del 1992.
L’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Roma proponeva ricorso
alla Commissione tributaria centrale che lo accoglieva con decisione del
18.6.2009, confermando gli avvisi di accertamento impugnati. La
Commissione centrale riteneva la sussistenza di “plurimi elementi di
prova induttivi” circa il fatto che il ricorrente avesse dimorato in Italia per
più di sei mesi negli anni di riferimento, in quanto la sede ove svolgeva il
proprio lavoro si trovava a Roma , la moglie aveva dichiarato la residenza
in Roma, i figli erano iscritti in un istituto scolastico romano, e nella
dichiarazione dei redditi presentata negli USA aveva dichiarato di essere
residente in Italia e di voler pagare le imposte in Italia.
Contro la decisione della Commissione tributaria centrale Redmont
Dennis propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
L’Agenzia delle Entrate deposita atto di costituzione al solo fine di
essere informata della data dell’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
1.Primo motivo:”violazione e falsa applicazione delle disposizioni che
regolano le presunzioni semplici, ossia degli artt.38 comma 3 e 41
comma 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n.602, nonché dell’art.2729 cod.civ.
in relazione al presupposto di cui all’art.2 comma 2 d.P.R. n.597 del 1973
(error in iudicando ex art.360 comma 1 n.3 cod.proc.civ.) “, nella parte in
cui la Commissione tributaria centrale ha ritenuto utilizzabili le

nazionale.

presunzioni semplici non qualificate di cui all’art.41 comma 2 d.P.R. 29
settembre 1973 n.600 non solo per la determinazione d’ufficio del reddito
complessivo in caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente,
ma anche per ritenere il ricorrente soggetto passivo dell’imposta in Italia.
Il motivo è infondato. La Commissione tributaria centrale ha
affermato, correttamente, che l’omessa presentazione della dichiarazione
dei redditi legittima l’ente impositore all’accertamento d’ufficio del reddito

non qualificate a norma dell’art.41 comma 2 d.P.R. 29 settembre 1973
n.600; ha invece ritenuto, agli effetti dell’art.2 comma 2 d.P.R. 22
dicembre 1986 n.917, che il ricorrente avesse dimorato in Italia per più
di sei mesi all’anno sulla base di plurime “prove induttive”, in conformità
al criterio generale di rilevanza della prova di tipo presuntivo prevista
dall’art.2729 cod.civ. , senza teorizzare, come sostenuto dal ricorrente,
che l’accertamento della soggettività fiscale in Italia potesse essere
affermata sulla base di presunzioni prive dei requisiti di gravità precisione
e concordanza.
2.Secondo motivo:”nullità della sentenza e del procedimento per
avere la Commissione tributaria centrale rilevato d’ufficio una questione
di diritto (l’applicabilità al caso di specie dell’art.41 comma 2 d.P.R. 29
settembre 1973 n.600) senza avere preventivamente applicato il
contraddittorio tra le parti in violazione dell’art.111 comma 2 e 24 comma
Cost. (error in procedendo ex art.360 comma 1 n.4 cod.proc.civ. )”.
Il motivo è infondato. L’individuazione della norma applicabile al
caso concreto rientra nella competenza propria del giudice ( iura novit
curia), alla quale è estranea la regola della rilevabilità d’ufficio o su
istanza di parte, attinente al regime processuale delle eccezioni. Sul
punto il contraddittorio tra le parti è stato pienamente assicurato, atteso
che l’applicabilità delle presunzioni cosiddette “supersemplici” era ben
nota al contribuente sulla scorta degli avvisi di accertamento notificati,
pacificamente emessi d’ufficio e quindi soggetti alla disciplina probatoria
stabilità dall’art.41 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600.
3. Terzo motivo:”violazione di legge per inosservanza delle
disposizioni che regolano l’onere della prova ossia dell’art.2697 cod.civ.
in relazione al presupposto di cui all’art.2 comma 2 d.P.R. 597del 1973

2

imponibile e delle imposte dovute anche mediante l’utilizzo di presunzioni

(error in iudicando ex art.360 comma 1 n.3 cod.proc.civ. )”, nella parte in
cui ha ritenuto che il contribuente fosse gravato dell’onere di fornire la
prova che egli non aveva dimorato per oltre sei mesi in Italia.
Il motivo è infondato. La Commissione tributaria centrale non ha
operato alcuna inversione dell’onere della prova, ma ha applicato
correttamente l’art.2697 cod.civ.: dopo avere ritenuto che l’Ufficio
finanziario avesse fornito prove presuntive plurime della esistenza del

della dimora protratta per più di sei mesi ai sensi dell’art.2 comma 2
d.P.R. 597 del 1973, ha giudicato inidonee o infondate le prove contrarie
opposto dal contribuente.
4.Quarto motivo: “insufficiente motivazione circa un fatto controverso
e decisivo per il giudizio con riferimento ai presupposto di cui all’art.2
comma 2 d.P.R. n.597 del 1973 (vizio di motivazione ex art.360 comma
1 n.5 cod.proc.civ. )”.
Il motivo è infondato. La sentenza contiene una ampia esposizione
delle ragioni per cui la Commissione tributaria centrale , con valutazione
non sindacabile nel merito, ha ritenuto che il contribuente avesse
dimorato in Italia per più di sei mesi all’anno. Le contrarie osservazioni
del ricorrente non individuano vizi di legittimità della motivazione ma
introducono divergenti valutazioni in fatto, non ammesse nel giudizio di
legittimità.
5.Quinto motivo: “nullità della sentenza e del procedimento per
violazione dell’art.112 cod.proc.civ., ossia per omessa pronuncia sulla
eccezione del contribuente in ordine alla applicabilità nel caso di specie
della esenzione di cui all’art.10 della Convenzione bilaterale sulle doppie
imposizioni tra Italia e Stati Uniti del 30 marzo 1955 (error in
procedendo ex art.360 comma 1 n.4 cod.proc.civ. )”.
6.Sesto motivo: “violazione di legge per inosservanza dell’art.10 della
Convenzione bilaterale sulle doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti del
30 marzo 1955 (error in iudicando ex art.360 comma 1 n.3
cod.proc.civ.).”
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La
Commissione tributaria centrale ha rilevato che non sussiste un problema
di doppia imposizione in quanto il contribuente, nella dichiarazione

3

presupposto della residenza fiscale nel territorio dello Stato sotto il profilo

presentata negli Stati Uniti, ha affermato di essere residente in Italia e di
voler versare le imposte nel paese di residenza, né ha mai provato di
avere versato imposte negli Stati Uniti negli anni oggetto di
accertamento. La sentenza impugnata afferma che il contribuente
derivava i propri emolumenti dall’esercizio della attività di giornalista per
conto della Associated Press, circostanza non controversa. Ne risulta che
i giudici di merito hanno implicitamente escluso che contribuente fosse un

irrilevanza, nel caso in esame, dell’arti° lett.a) della citata
Convenzione tra Italia e Stati Uniti che esenta dalle imposte applicate in
Italia esclusivamente ” salari, stipendi e simili retribuzioni pagati dagli
Stati Uniti o da una loro suddivisione politica o territoriale, ad una
persona che non sia un cittadino italiano o che non abbia la residenza
permanente in Italia”.
Spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta iil ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese in
favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in euro seimila oltre eventuali
spese prenotaste a debito.
Così deciso il 14.9.2017.

Estensore

Presidente

Giuseppe Locatelli

Aureliq Cappabianca

soggetto stipendiato dal Governo degli Stati Uniti, con conseguente

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