Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31021 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 27/11/2019), n.31021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23728-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NOMENTANA 91, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BEATRICE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO AMODIO;

– ricorrente –

contro

P.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO, 212, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO BRASCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. MONICA MOSCATELLI;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario

della Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps (SCCI SPA),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE

DE ROSE, LELIO MARITATO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 413/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

Che:

la Corte d’appello di Reggio Calabria confermava la decisione di primo grado che aveva accolto l’opposizione a intimazione di pagamento notificata dall’agente per la riscossione l’8/3/2016 sulla base di numerose cartelle esattoriali aventi ad oggetto crediti INPS per contributi e sanzioni dovuti da P.I.;

a fondamento della decisione la Corte territoriale, richiamando il dictum di Cass. S.U. n. 23397 del 18 novembre 2016, rilevò la prescrizione dei crediti portati dalle cartelle;

in ordine a una delle cartelle, notificata il 27/2/2006, in parte riguardante anche contributi e somme aggiuntive per il 1995, epoca in cui il termine prescrizionale per la riscossione dei contributi era fissato dalla legge in 10 anni, rilevava che doveva ritenersi maturata la prescrizione quinquennale, operante essendo ridotto, ai sensi della L. n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 9, il termine decennale a 5 anni a decorrere dal 1 gennaio 1996, salvo il caso di atto interruttivo compiuto dall’Inps, nella specie non ravvisabile;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Agenzia delle Entrate – riscossione, subentrata a Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., sulla base di due motivi;

P.I. resiste con controricorso, mentre l’Inps si è costituito con procura in calce al ricorso notificato;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20 e degli art. 2934 e 2946 c.c., rilevando l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto quinquennale e non decennale il termine di prescrizione successivo alla notificazione delle cartelle senza considerare l’effetto novativo conseguente alla notifica delle cartelle di pagamento che comporterebbe l’applicabilità del termine lungo decennale;

la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè sui punti contestati la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l’esame dei motivi non offre elementi nuovi rispetto all’elaborazione giurisprudenziale consolidata (ex plurimis Cass. n. 26013 del 29/12/2015, Cass. n. 10327 del 26/04/2017);

soccorre, infatti, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);

con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, della L. n. 153 del 1969, art. 41, del D.L. n. 463 del 1983, art. 2, comma 19, conv. in L. n. 638 del 1983 e della L.n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto soggetti a prescrizione quinquennale anche i crediti previdenziali inerenti l’anno 1995, rispetto ai quali non vi era stata la tempestiva impugnazione della cartella di pagamento;

Il motivo è privo di fondamento in base al principio enunciato da questa Corte secondo il quale “In tema di prescrizione del diritto degli enti previdenziali ai contributi dovuti dai lavoratori e dai datori di lavoro, ai sensi della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, commi 9 e 10, il termine di prescrizione dei contributi relativi a periodi precedenti l’entrata in vigore della legge (17 agosto 1995) resta decennale nel caso di atti interruttivi compiuti dall’INPS anteriormente al 31 dicembre 1995, i quali – tenuto conto dell’intento del legislatore di realizzare un “effetto annuncio” idoneo ad evitare la prescrizione dei vecchi crediti – valgono a sottrarre a prescrizione i contributi maturati nel decennio precedente l’atto interruttivo e a far decorrere, dalla data di questo, un nuovo termine decennale di prescrizione” (Cass. n. 13831 del 06/07/2015);

Nella specie, infatti, non è dimostrato che sia intervenuto un atto interruttivo precedentemente al 31 dicembre 1995, sicchè il termine di prescrizione quinquennale risulta decorso nel periodo intercorrente tra le due intimazioni di pagamento, intervenute, secondo la prospettazione di parte ricorrente, il 3/1/2011 e l’8/3/2016;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore di P.I., mentre alcun provvedimento in ordine alle spese va emesso nei confronti dell’Inps, in mancanza di svolgimento di sostanziale attività difensiva da parte dell’ente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e e condanna la ricorrente al pagamento in favore di P.I. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti dell’Inps.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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