Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31014 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 27/11/2019), n.31014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 187-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 42, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA COZZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALDO PAOLO ARGENIO;

– ricorrente –

contro

L.F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ORESTE GIUSEPPE ANTONIO DE FINIS;

– controricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 812/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 16/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

Che:

La Corte di appello di Bari con la sentenza n. 812/2017 aveva accolto l’appello di L.F.A. avverso la sentenza del tribunale di Foggia, e, per quel che in questa sede rileva, aveva dichiarato prescritto il credito contributivo vantato dall’Inps nei confronti della dante causa del L., D.S.M., relativamente alla cartella esattoriale n. (OMISSIS).

La corte territoriale aveva ritenuto doversi applicare il termine di prescrizione quinquennale del credito.

Avverso detta decisione proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, cui resistevano con controricorso l’Inps e L.F.A..

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1) Con unico motivo è dedotta la errata valutazione del termine di prescrizione successivamente alla notifica della cartella di pagamento-violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, in combinato disposto con l’art. 2946 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte territoriale erroneamente applicato il termine di prescrizione quinquennale del credito in applicazione della statuizione della Suprema corte a Sezioni Unite n. 23397/2016.

L’agenzia ricorrente deduce la errata decisione della Corte territoriale in punto di mancata applicazione del termine decennale di prescrizione in caso di cartella esattoriale divenuta definitiva perchè non impugnata. In particolare, pur considerando la decisione assunta dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 23397/2016, ritiene che la prescrizione decennale non sia derivante dalla applicazione del disposto dell’art. 2953 c.c., in quanto pacificamente la cartella non opposta non è paragonabile alla sentenza passata in giudicato, come enunciato dalla decisione richiamata, ma da specifiche disposizioni in materia tributaria quali il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17 e il D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 19 e 20, in materia di azione di riscossione nelle ipotesi di avvenuto “discarico” dei ruoli. Le disposizioni in esame, a dire del ricorrente, preliminarmente attribuiscono (art. 17) effetto novativo alle singole obbligazioni con la formazione della cartella esattoriale, che dunque portano ad escludere i singoli termini previsti per ciascun differente credito originativo delle cartelle e poi, (artt. 19 e 20), prevedendo un termine decennale per il riaffidamento all’agente della riscossione, da parte dell’ente creditore, dell’attività di recupero, individuerebbero, in generale, un termine decennale di prescrizione del credito complessivamente considerato dalla cartella costituita.

Le censure sono manifestamente infondate alla luce della decisione delle sezioni Unite n. 23397/2016 che espressamente si occupa di esaminare e confutare tale ipotesi interpretativa.

In particolare le Sezioni Unite hanno rilevato quanto segue:

“Da ultimo, deve essere escluso – per plurime ragioni – che, per la soluzione della presente questione, si possa fare riferimento alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, nel testo introdotto dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 683, – che ha sostituito integralmente il suddetto art. 20 – il quale è stato richiamato dall’INPS nella propria memoria. Il suddetto art. 20, va letto all’interno del D.Lgs. n. 112 del 1999 (e non all’interno della L. n. 190 del 2014) che è il decreto attuativo della legge di delega n. 337 del 1998 dedicato ai rapporti tra ente impositore ed agente della riscossione, che contiene un complessivo riordino della disciplina della riscossione mediante ruoli, basato su una profonda revisione dei rapporti tra ente impositore e agente della riscossione. Tale revisione risulta principalmente riferita al Servizio nazionale della riscossione mediante ruolo organizzato dal Ministero delle finanze e articolato in ambiti territoriali affidati a concessionari di pubbliche funzioni (vedi art. 2 e ss. del D.Lgs. n. 112 cit.). Infatti, se in base al decreto, art. 3 – come regola generale – la concessione del servizio nazionale della riscossione viene affidata con decreto del Ministero delle finanze (comma 4), tuttavia “per le province ed i comuni restano ferme le disposizioni contenute nel D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 52 e 53 e, per gli enti previdenziali, quelle contenute nel Capo III del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241”. Nel suindicato Capo III del D.Lgs. n. 241 cit. – intitolato “Disposizioni in materia di riscossione” – è dettata una specifica disciplina in materia di riscossione, applicabile a tutti gli enti previdenziali a decorrere dal 1999 (vedi art. 28) che, ovviamente, non prevede il “discarico per inesigibilità” (introdotto nel nostro sistema dal D.Lgs. n. 112 cit., artt. 19 e 20) contenendo una diversa normativa per sanzionare eventuali ritardi e/o scorrettezze del concessionario (art. 26). Peraltro, dalla complessiva lettura del D.Lgs. n. 112 del 1999 e dai minimi riferimenti espressi in esso contenuti alla riscossione dei contributi effettuata dagli Enti previdenziali (vedi lo stesso D.Lgs. n. 112 cit., art. 22, comma 1 e art. 61), si trae conferma del fatto che si tratta di un decreto principalmente rivolto alla riscossione dei tributi. A questo può aggiungersi che, in ogni caso, l’art. 20, comma 6, richiamato dall’INPS, è inutilizzabile nella specie anche perchè pur nell’ambito della riscossione fiscale – si tratta di una norma che non ha alcuna attinenza ai rapporti tra contribuente ed Ente impositore, riguardando – in modo emblematico – i rapporti tra ente impositore ed agente della riscossione come risulta evidente ove si consideri che il Capo II del D.Lgs. n. 112 cit. contiene i “Principi generali dei diritti e degli obblighi del concessionario” e la Sezione I di tale Capo (artt. da 17 a 21) disciplina i “Diritti del concessionario”, regolando il “Discarico per inesigibilità” all’art. 19 e la “Procedura di discarico per inesigibilità e reiscrizione nei ruoli” all’art. 20. Può anzi dirsi che tali ultimi due articoli contengano la disciplina più “qualificante” del riordino della riscossione – fiscale – effettuato dal D.Lgs. n. 112 cit., sulla premessa dell’avvenuta eliminazione – ad opera del D.Lgs. n. 37 del 1999, art. 2, emanato in attuazione della stessa legge di delega n. 337 del 1998, art. 1, lett. c), – del preesistente “obbligo del non riscosso come riscosso”, in base al quale a carico dell’esattore prima e del concessionario poi gravava l’onere di versare alle prescritte scadenze all’ente impositore l’ammontare pro rata dei crediti iscritti a ruolo, anche se non pagati dal debitore (D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 32, comma 3).

L’abolizione di tale obbligo, infatti, ha portato ad un incisivo mutamento dei rapporti tra l’ente impositore e l’agente della riscossione, nel senso che a decorrere dal 1999 quest’ultimo non è dunque più tenuto a riversare all’ente impositore le somme eventualmente corrispondenti ai ruoli trasmessi, ma deve versare soltanto ciò che effettivamente riesce a riscuotere, tempo per tempo. Di conseguenza tale riforma è stata accompagnata dalla introduzione – per le riscossioni non andate a buon fine – di una procedura diretta a consentire all’agente della riscossione di porre termine alle attività di riscossione effettuate in favore dell’ente impositore. Tale procedimento, ha assunto il nome di “procedura di discarico per inesigibilità” ed è quella disciplinata dagli artt. 19 e seguenti del menzionato D.Lgs. n. 112 del 1999. In base all’art. 19 – al di là delle ipotesi in cui opera il discarico automatico, che sono proprio quelle per le quali l’art. 61 del decreto stabilisce espressamente l’applicabilità della relativa disciplina (di cui all’art. 60, commi da 1 a 3) “ai ruoli degli enti previdenziali” – l’agente della riscossione o il concessionario per poter ottenere il discarico delle “quote iscritte a ruolo” indicate nella comunicazione di inesigibilità inviata all’ente creditore, è tenuto a fornire a tale ente la prova della correttezza del proprio operato. Nel successivo art. 20 il legislatore ha introdotto una procedura con la quale l’ente creditore può svolgere il proprio controllo sull’operato dell’agente della riscossione nel recupero della quota.

Come precisato dalla giurisprudenza, la procedura di discarico per inesigibilità di quote di imposta, di cui agli artt. 19 e 20 del D.Lgs. n. 112 del 1999, ha carattere meramente amministrativo e riguarda esclusivamente il rapporto giuridico di dare-avere intercorrente tra il concessionario e l’ente creditore, al fine di accertare se sussista o meno il diritto al rimborso (vedi: Cass. SU 29 ottobre 2014, n. 22951; Corte Conti Calabria Sez. giurisdiz. 7 marzo 2011, n. 150; Corte Conti Sicilia Sez. giurisdiz., 4 ottobre 2010, n. 2041). Nell’ambito di tale procedura, all’art. 20, comma 6, è stata prevista una “norma generale di salvaguardia per l’ente creditore”, stabilendosi che qualora tale ente, nell’esercizio della propria attività istituzionale individui – successivamente al discarico – l’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili agli stessi debitori, può, “a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale”, sulla base di valutazioni di economicità e delle esigenze operative, riaffidare in riscossione le somme, comunicando all’agente della riscossione i nuovi beni da sottoporre a esecuzione, ovvero le azioni cautelari o esecutive da intraprendere. In questo caso, l’azione dell’agente della riscossione deve essere preceduta dalla notifica dell’avviso di intimazione previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 50.

La norma è chiaramente applicabile soltanto alla riscossione fiscale per molteplici ragioni:

a) essa risponde alla medesima logica del precedente art. 19, comma 4, secondo cui “fino al discarico di cui al comma 3”, resta salvo, in ogni momento, il potere dell’ufficio creditore di comunicare al concessionario l’esistenza di nuovi beni da sottoporre ad esecuzione e di segnalare azioni cautelari ed esecutive nonchè conservative ed ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore da intraprendere al fine di riscuotere le somme iscritte a ruolo. A tal fine l’ufficio dell’Agenzia delle entrate si avvale anche del potere di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7) e 51, comma 2, n. 7), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (norme che prevedono iniziative di ufficio in materia di accertamento e riscossione, rispettivamente, in materia delle imposte sui redditi e di IVA);

b) fa – utilizzando una espressione ellittica – riferimento al temine di prescrizione decennale, che è quello che si applica ordinariamente all’esercizio del potere di riscossione fiscale (vedi, da ultimo, Cass. 30 giugno 2016, n. 13418 cit.), benchè, come si è detto, la Corte costituzionale abbia considerato spesso iniqua per il contribuente l’applicazione di un termine così lungo di prescrizione e abbia anche affermato l’irragionevolezza del trasferimento sul contribuente di termini decadenziali o prescrizionali fissati per attività interne dell’Amministrazione (vedi Corte Cost. ord. n. 352 del 2004 e sent. n. 280 del 2005, già citate);

c) nel suo complessivo contenuto risulta incompatibile con il principio di “ordine pubblico” della irrinunciabilità della prescrizione dei contributivi assicurativi in materia di previdenza e assistenza obbligatoria di cui si è detto (vedi: Cass., Sez. lav., 15 ottobre 2014, n. 21830; Id.

24 marzo 2005, n. 6340; Id. 16 agosto 2001, n. 11140; Id. 5 ottobre 1998, n. 9865; Id. 6 dicembre 1995, n. 12538; Id. 19 gennaio 1968, n. 131, tutte citate sopra al punto 18.6).

In sintesi, il suddetto riferimento alla prescrizione decennale, nell’art. 20 comma 6 cit., risulta effettuato sempre in ambito sostanziale e senza alcun possibile riferimento all’art. 2953 c.c., visto che pacificamente viene richiamato con riguardo alla attività amministrativa di riscossione – per la quale, in ambito fiscale, vale, come regola generale, il termine ordinario della prescrizione – nell’ambito di una procedura (di discarico per inesigibilità) del pari di natura pacificamente amministrativa”.

che, per tutto quanto sopra considerato, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile trattandosi di ricorso vertente su questioni sulle quali esiste un orientamento consolidato della Corte rispetto al quale non sussistono ragioni per discostarsi (Cass. n. 7155/2017; conf. Cass. n. 4366/2018);

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo; che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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