Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31013 del 30/11/2018

Cassazione civile sez. III, 30/11/2018, (ud. 08/11/2018, dep. 30/11/2018), n.31013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10436/2017 R.G. proposto da:

D.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Riccardo Pelliccia,

con domicilio eletto in Roma, via Giovanni Vitelleschi, 26, presso

lo studio dell’Avv. Salvatore Spataro;

– ricorrente –

contro

SAVAS SPA, in persona del rappresentante legale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Gatteschi e dall’Avv.

Marcello Catacchini, con domicilio ex lege in Roma presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– resistente –

avverso la sentenza n. 231/17 della Corte d’Appello di Firenze,

depositata l’8/02/2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’08/11/2018

dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.M. era terzo beneficiario di un contratto intercorso tra Savas e Ina, rispettivamente, stipulante e promittente, avente ad oggetto una parte del trattamento di fine mandato, spettante agli ex amministratori della prima.

In primo grado, egli, nella veste di ex amministratore della Savas s.p.a, agiva nei confronti di quest’ultima facendo valere la sua posizione di terzo beneficiario del contratto e lamentando di avere ricevuto solo il trattamento di fine mandato, ma non anche i frutti maturati sugli accantonamenti. Savas spa eccepiva di aver stipulato la polizza al duplice scopo di mettere al riparo una parte del trattamento di fine mandato dal rischio di impresa e di trarre un vantaggio economico, gli interessi maturati sulle somme anticipatamente accantonate. Pertanto, contestava il diritto di D.M. di percepire gli accessori sulla somma spettantegli a titolo di trattamento di fine mandato.

Il Tribunale adito, quello di Arezzo, con ordinanza del 7/12/2005 ex art. 702 ter c.p.c., rigettava la domanda dell’odierno ricorrente, negando che egli avesse legittimazione attiva nei confronti di Savas s.p.a. ed aggiungeva che, anche ipotizzando che Savas avesse percepito e trattenuto illecitamente delle somme non sue, la clausola di beneficio non comprendeva altro oltre alle somme strettamente occorrenti per il pagamento del trattamento di fine mandato.

D.M. esponeva, in appello, di avere ricevuto da Ina non solo il trattamento di fine mandato, ma anche i frutti maturati sugli accantonamenti e di avere subito da parte di Savas una decurtazione dal trattamento di fine mandato della somma corrispondente ai frutti. Per questa ragione, pur essendo egli beneficiario del contratto tra Savas e Ina, asseriva di non avere azione nei confronti di quest’ultima, ma solo nei confronti di Savas S.p.a..

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 291/2017, pubblicata l’8/02/2017, rigettava il gravame, ritenendo che D.M. non avesse impugnato la statuizione relativa al difetto di legittimazione attiva nei confronti di SAVAS S.P.A. e gli, contestava di avere presentato in appello documenti nuovi atti a fondare nei confronti di Savas una domanda avente lo stesso petitum,ma diversa causa petendi; nella sostanza riteneva che l’appellante non agisse più in quanto terzo ex art. 1411 c.c., ma per indebito trattenimento da parte di SAVAS di somme non sue.

Formulando tre motivi di ricorso, illustrati da memoria, D.M. ricorre per la cassazione della decisione della Corte d’Appello di Firenze.

Resiste con controricorso Savas S.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare il ricorso va dichiarato inammissibile.

La tecnica utilizzata per redigere il ricorso – il quale si diffonde in commenti inappropriati, discutibili e, per ammissione dello stesso ricorrente, enfatici, insiste con eccessiva ripetitività sulle stesse premesse in facto, si avvale della tecnica del “copia-incolla” di ampi stralci degli atti processuali, dimostrando l’assenza di qualsivoglia tentativo di selezione e di rielaborazione dei loro contenuti – contravviene ai principi di chiarezza e sinteticità degli atti processuali e rende non solo difficoltosa, ma a tratti finanche impossibile la individuazione della materia del contendere.

Il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali espone il ricorso alla declaratoria d’inammissibilità, perchè pregiudica l’intelligibilità delle questioni, rende oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata. Ciò ridonda nella violazione delle prescrizioni di cui dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto esiste un rapporto di complementarità tra il requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” di cui art. 366 c.p.c., n. 3 e quello – che lo segue nel modello legale del ricorso – della “esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione” (dell’art. 366 c.p.c., n. 4), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte di questa Corte, i motivi di ricorso di seguito formulati. In altri termini, secondo il “modello legale” apprestato dall’art. 366 c.p.c., la Corte di cassazione, prima di esaminare i motivi, dev’essere posta in grado, attraverso una riassuntiva e chiara esposizione dei fatti, di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti (ex multis, cfr. da ultimo Cass. 30/10/2018n. 27725).

2. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

4. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 225 del 2018, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2018

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