Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3101 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/02/2017, (ud. 22/12/2016, dep.06/02/2017),  n. 3101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 699-2016 proposto da:

E.S. SPA, (OMISSIS), in persona del Responsabile Contenzioso

Esattoriale (ora EQUITALIA RISCOSSIONE SPA), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 39, presso lo studio dell’avvocato

PASQUALE VARI, che la rappresenta e difende giusta mandato in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, (OMISSIS), in persona del Commissario, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato GUGLIELMO FRIGENTI, che lo rappresenta e difende,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 15013/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 09/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE

STEFANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- La Equitalia Sud spa ricorre a questa Corte, sulla base di un motivo, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale, accolto l’appello di C.M. avverso la sentenza del giudice di pace di Roma del 13.6.12, infine anch’essa, oltre a Roma Capitale, è stata condannata al pagamento delle spese di lite del doppio grado di un’opposizione a cartella esattoriale. Degli intimati solo Roma Capitale notifica controricorso, invocando il rigetto del ricorso.

2.- E’ stata formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197; la ricorrente ha depositato memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

3.- La ricorrente si duole – contestata la sufficienza della “relazione” depositata dal relatore – della ritenuta sua legittimazione passiva di una condanna alle spese nelle opposizioni avverso cartella esattoriale per comportamenti illegittimi non riferibili all’agente di riscossione, lamentando violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 97 c.p.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 12, 24, 25 e 59.

4.- Preliminarmente rilevato che il nuovo rito camerale in Cassazione non prevede più alcuna relazione (tanto meno sufficiente o dotata di altri requisiti), ma solo una proposta e per di più senza alcuna specificazione, sicchè non ha pregio la doglianza sull’insufficienza della prima come formulata nella memoria dalla ricorrente, va osservato che in punto di legittimazione in proprio alla condanna alle spese nelle opposizioni alle cartelle esattoriali anche se fondate su motivi non inerenti a condotte dell’agente di riscossione è intervenuta la recente presa di posizione di questa Corte con sentenza 11 luglio 2016, n. 14125, alla cui ampia motivazione, benchè nella sola parte conclusiva, che prescinde dalla premessa sulla qualificazione della domanda come mera opposizione ad esecuzione e non come c.d. opposizione recuperatoria (ciò che integra la questione rimessa alle SS.UU. con ord. 21957/16), è sufficiente qui fare integrale richiamo nel senso di ritenere legittima la condanna alle spese in proprio, così assorbita ogni doglianza sul punto dell’odierna ricorrente: e tanto in applicazione del principio non della soccombenza, ma della causalità.

5.- Infatti, l’unico ed immancabile soggetto nei cui confronti è necessario dispiegare la contestazione è proprio quello che, in virtù della configurazione dell’attuale sistema, fondato sulla scissione istituzionalizzata tra titolarità del credito e titolarità del potere di azione esecutiva, a quest’ultima ha dato in concreto luogo o ha in concreto minacciato di dare luogo: vale a dire l’agente della riscossione.

6.- Pertanto, sia pure per un dovere istituzionale, è questo il solo soggetto che fa sorgere l’onere di contestazione in capo al debitore ed è quindi giocoforza che sia esso a sopportarne le conseguenze in dipendenza della sua veste, per il caso di fondatezza delle contestazioni all’azione esecutiva da esso stesso (benchè, ripetesi, doverosamente) posta in essere.

7.- Poichè, poi, l’agente di riscossione ha un vero e proprio onere di chiamare in causa l’ente “creditore interessato” (D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39) onde evitare di subire le conseguenze negative della lite, egli ha sì la facoltà di chiedere di essere manlevato dal chiamato, quando evidentemente la contestazione ritenuta fondata non riguardi atti commessi dal medesimo agente, ma appunto vizi di procedimento o di merito ascrivibili esclusivamente all’altro, ma bene risponde delle spese di lite imposte dalla sua – benchè doverosa in ragione della condotta dell’ente creditore – stessa condotta, in forza non già o non solo (come avverrebbe se la contestazione ritenuta fondata riguardasse fatti o atti ad esso ascrivibili) del principio di soccombenza, ma allora e quanto meno del principio di causalità.

8.- Al fine di non aggravare ulteriormente senza alcun motivo la posizione del debitore di pretesa esattoriale, già assoggettato ad un regime di particolare sfavore – rispetto all’esecuzione ordinaria – in nome delle esigenze di maggiore effettività del recupero connesse alle qualità oggettive o funzionali del credito, non può allora farglisi carico della ripartizione, tutta interna al rapporto tra ente creditore interessato ed agente della riscossione, dell’imputabilità dell’ingiustizia od iniquità dell’azione esecutiva al primo o al secondo, nemmeno ai fini del riparto delle spese della lite che egli è stato costretto ad intentare per fare valere l’illegittimità dell’azione esecutiva stessa.

9.- Se resta salva, beninteso ed appunto, l’azione di manleva che l’agente della riscossione può proporre nei confronti dell’ente creditore interessato e che viene a configurarsi come onere processuale in senso tecnico, non è conforme a diritto escludere aprioristicamente la responsabilità anche dell’agente della riscossione per le spese della controversia cui il debitore sia stato costretto per l’illegittimità dell’esecuzione esattoriale, minacciata od intrapresa, poi rivelatasi fondata per vizi di quella ascrivibili anche solo all’ente creditore interessato.

10.- In questi limiti recepita la motivazione del detto precedente (Cass. 14125 del 2016), può allora concludersi nel senso che la vittoriosa contestazione del debitore che non riguardava regolarità o validità degli atti di esecuzione non può fondare l’esclusione, anche solo quale ragione di compensazione, dell’agente della riscossione dalla condanna alle spese in favore del debitore vittorioso.

11.- E, se è vero che la restaurata piena legittimità di una condanna alle spese non elide la facoltà del giudice della contestazione della pretesa di applicare il relativo regime anche quanto alla compensazione, è pur vero che una specifica considerazione dei relativi presupposti, che siano peraltro diversi ed ulteriori dal mero riferimento dell’oggetto a vizi non ascrivibili di per sè all’agente di riscossione, deve essere operata in modo espresso: ciò che invece, con tutta evidenza, è mancato nella specie.

12.- Pertanto, le conclusioni cui giunge il precedente suddetto vanno condivise, tanto da fondare la presente decisione di manifesta infondatezza del ricorso e da escludere la necessità di investire le Sezioni Unite della relativa questione.

13.- Ne discende quindi il rigetto del ricorso; ma la novità della questione consente di compensare le spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra ricorrente e controricorrente, pur dovendosi dare atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– compensa le spese del giudizio di legittimità;

– ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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