Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31006 del 28/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/12/2017, (ud. 10/10/2017, dep.28/12/2017),  n. 31006

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Consiglio notarile dei Distretti Riuniti di Vicenza e Bassano con atto di reclamo impugnava innanzi la Corte di Appello di Venezia, la sentenza n. 253 del 2014 con la quale la Commissione Regionale del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto aveva dichiarato l’insussistenza delle contestazioni rivolte dall’Ordine Notarile dei Distretti Riuniti di Vicenza e Bassano del Grappa al notaio D.M.M.. Una prima contestazione riguardava la violazione dell’art. 31, lett. f) del Codice Deontologico sanzionato dall’art. 147, lett. b) della Legge Notarile per aver svolto ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali, con richiesta di applicazione della sospensione di gironi 40 dall’esercizio della professione. Una seconda contestazione riguardava la violazione dell’art. 26, comma 2, della Legge Notarile per quanto disposto dall’art. 10 del Codice Deontologico per aver aperto un ufficio secondario, al di fuori del distretto di appartenenza con richiesta in corso di giudizio avanti la Commissione.

Si è costituito il Notaio D.M.M.. E’ intervenuta in causa la Procura generale, chiedendo l’accoglimento del reclamo.

La Corte di Appello di Venezia, con ordinanza depositata il 16 giugno 2016, non notificata, nel contraddittorio delle parti, rigettava l’appello, condannava il reclamante al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, non vi era prova delle illeceità delle contestazioni rivolte al Notaio D.M.. La cassazione di questa ordinanza è stata chiesta dal Consiglio notarile dei Distretti Riuniti di Vicenza e Bassano con ricorso affidato a due motivi. Il Notaio D.M.M. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso il Consiglio notarile dei Distretti Riuniti di Vicenza e Bassano lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: violazione degli artt. 10 e 31 dei principi deontologici e correlativamente dell’art. 147, lett. b) della Legge Notarile. Violazione dell’art. 2697 c.c.. Violazione dei principi di cui all’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, art. 1363 c.c.. Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Secondo il ricorrente: a) la Corte distrettuale avrebbe escluso la riconducibilità all’art. 31 Principi Deontologici, delle prestazioni svolte dal Notaio D.M. presso le sedi notarili dei Notai T. e M. sulla base di inammissibili giudizio di probabilità e verosimiglianza. In particolare, la Corte di Venezia avrebbe compiuto una serie di valutazioni soggettive ed ipotetiche in relazione ai fatti da accertare e, per altro, avrebbe invertito l’onere della prova, ritenendo che la dimostrazione della illiceità del comportamento del Notaio D.M. sarebbe toccato alla Coredil. Piuttosto, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che avrebbe dovuto dare la prova il Notaio D.M. che la sua presenza presso gli studi notarili T. e M. fosse riconducibile all’esigenza di cui all’art. 20 dei Principi Deontologici, ossia quella di sostituire i colleghi che, per necessità dovuta a malattia o altro impedimento, non potevano ricevere determinati atti.

b) La Corte non avrebbe tenuto conto che la giustificazione addotta dal Notaio D.M. di aver effettuato prestazioni presso le sedi notarili dei notai T. e M. per ragioni di soccorso ai colleghi con il richiamo all’art. 20 dei Principi Deontologici non trovava giustificazione, considerato contemporaneamente, che il Notaio T. e M. stipulavano atti.

c) La Corte, a sua volta, non ha considerato che l’art. 31 Codice Deontologico non distingue uffici notarili ed uffici estranei al notariato e, pertanto, priva di rilevanza sarebbe la considerazione della Corte distrettuale, secondo la quale la presenza nello studio di un collega sia volta a favorire le parti, perchè, comunque, anche lo studio di altro notaio è terzo rispetto alle parti dell’atto o, comunque, rispetto alla sede ordinaria dell’esercizio delle proprie funzioni.

d) La Corte distrettuale non avrebbe potuto avvedersi, come sostiene il ricorrente, che, relativamente a 56 atti, oggetto del giudizio, il notaio si era completamente affidato per la designazione e per il luogo di stipula non alle parti, bensì, ad un intermediario. Il caso in esame rientrava totalmente nella specie sanzionata per violazione del dovere di imparzialità “(…) quando il notaio (art. 31, lett. a) si serve dell’opera di un terzo (procacciatore) che induca persone a sceglierlo (…)”.

e) La Corte di Venezia avrebbe applicato erroneamente l’art. 31 dei principi deontologici perchè avrebbe valutato la ripetitività delle condotte, parcellizzando le sedi improprie in cui sono state svolte le funzioni notarili e, così, calcolando in relazione a ciascuna di esse la frequenza delle relative stipule. Al contrario, la Corte avrebbe dovuto valutare complessivamente con riferimento alla totalità degli atti sia per il tenore testuale della norma che attribuisce tout cour rilevo al dato della frequenza dell’esercizio delle funzioni presso terzi sia per la ratio perseguita da tale norma che è, evidentemente, quella di prevenire la compromissione dell’imparzialità del Notaio, in conseguenza, dell’esercizio delle funzioni, in sedi nella disponibilità di soggetti diversi dal Notaio.

In definitiva, la Corte di Venezia, secondo il ricorrente, avrebbe omesso di considerare la portata del principio stabilito nel primo comma dell’art. 31 del Codice Deontologico che connota il dovere di imparzialità come un obbligo generale del notaio di astenersi da qualsiasi comportamento che possa influire sulla sua designazione, il che avrebbe comportato una valutazione complessiva dei comportamenti del notaio e non, invece, una valutazione parcellizzata dei vari interventi dello stesso notaio. In questo senso la Corte distrettuale avrebbe violato non solo l’art. 31 del Codice Deontologico ma anche i principi interpretativi di cui agli artt. 1362, e 1363 c.c..

1.1.- Il motivo è fondato.

Va qui chiarito che la normativa di cui all’art. 31 dei Principi di deontologia professionale dei notai (comunicato in G.U. n. 177 del 30 luglio 2008) e correlativamente la normativa di cui all’art. 147 lett. b) della legge notarile (L. n. 89 del 1913) intendono garantire la tutela anticipata dell’imparzialità e della trasparenza della attività notarile. Come afferma chiaramente l’art. 1 dei Principi deontologici appena richiamati: “Il notaio deve conformare la propria condotta professionale ai principi della indipendenza e della imparzialità evitando ogni influenza di carattere personale sul suo operare ed ogni interferenza tra professione ed affari. Ugualmente egli deve nella vita privata evitare situazioni che possano pregiudicare il rispetto dei suddetti principi”.

A garanzia di tale principio fondamentale l’art. 31, lett. f) specifica che, nell’ambito del generale dovere di imparzialità, il notaio deve astenersi, tra l’altro, “(….) di svolgere ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali (…)”. Epperò, se sufficientemente chiaro e immediatamente decifrabile è il riferimento a terzi, organizzazioni o studi professionali, per quanto, appare certo che, quella espressione intende identificare una sede diversa da quella propria del notaio, dalla sede che il notaio ha avuto assegnata nell’ambito di un distretto. Non immediatamente decifrabile è, invece, l’espressione “ricorrenti prestazioni” perchè per quanto quell’espressione possa evocare il senso di ripetute o continue prestazioni, non appare, immediatamente, chiaro se anche prestazioni effettuate in un ampio arco di tempo possano essere ritenute ricorrenti. Piuttosto, a chiarire l’espressione è la circostanza indicata dalla legge notarile e dai Principi di Deontologia professionale dei Notai e, cioè, che il notaio svolge le sue funzioni in una sede ben determinata, sicchè “ricorrenti prestazioni presso terzi” non può che indicare la circostanza che il Notaio, sistematicamente e/o preferibilmente, svolge le sue funzioni fuori della propria sede istituzionale. Con l’ulteriore specificazione che per stabilire se un notaio svolge sistematicamente, ovvero, preferibilmente la propria attività fuori dalla propria sede istituzionale sarà necessario determinare la totalità degli atti rogati in un arco di tempo ragionevole (che può essere quello di un anno solare) e verificare se il numero degli atti rogati fuori sede rispetto alla totalità degli atti rogati dallo stesso notaio, sia una percentuale irrisoria o sostanzialmente trascurabile. Il notaio incorrerà nel divieto di non svolgere “ricorrenti prestazioni” presso terzi o organizzazioni o studi professionali, nel caso in cui, un consistente numero di atti, rilevante come percentuale sulla totalità degli atti rogati dallo stesso notaio, relativamente ad un ragionevole arco di tempo (comunque non inferiore all’anno solare) risultano rogati fuori dalla propria sede istituzionale.

1.2.- Ora, la Corte di Venezia ha mancato di valutare, e, dunque, di applicare correttamente la norma di cui all’art. 31 dei Principi di deontologia professionale dei Notai, se l’attività di cui si dice, svolta dal Notaio D.M. presso “terzi (soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali), nell’arco di tempo considerato e rapportata all’intera attività svolta dallo stesso, integrava complessivamente, gli estremi di una attività notarile sistematicamente e/o prevalentemente, svolta al di fuori dello studio professionale istituzionale. In particolare, non sembra che la Corte di Venezia abbia verificato se i 141 atti (compresi gli atti rogati presso altri studi notarili) rogati dal Notaio D.M. fuori dal proprio studio, in un arco di tempo di 18 mesi, rapportati all’intera attività svolta dallo stesso Notaio, nello stesso arco di tempo, integrassero gli estremi di una attività notarile prevalentemente svolta presso terzi o organizzazioni e studi professionali.

1.3.- Tenendo conto che, anche, la pratica cd. “condominiale, non andava considerata, come la Corte distrettuale erroneamente ha ritenuto, come un unico atto in quanto era pacifico che il notaio non aveva avuto nessun contatto con i clienti condomini e l’amministratore si era comportato come un procacciatore (“collettore”) di clientela agevolmente condizionandone la scelta.

1.4.- E, comunque, a parte le superiori considerazioni va qui rilevato che la Corte distrettuale non ha, neppure applicato, correttamente i principi in materia di onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., perchè se è vero che trattandosi di procedimento accusatorio la prova dell’addebito contestato va posta a carico dell’organo che l’ha promosso, è altrettanto vero che la prova di una circostanza esimente spetta all’incolpato. Nella specie, posto che il notaio deve prestare la propria attività solo presso la sede di appartenenza se la svolge eccezionalmente in altre sedi deve provare non solo l’occasionalità ma anche il perchè ha ritenuto di svolgere la propria attività fuori dalla propria sede istituzionale. Insomma, il D.M. era tenuto a dimostrare la dedotta esigenza di venire in soccorso dei colleghi.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: violazione dell’art. 26, comma 2 della Legge Notarile e dell’art. 10 dei principi deontologici (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione degli artt. 2697,1362 e 1363 c.c.. Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe escluso anche l’addebito disciplinare contestato al notaio D.M. e relativo all’apertura di un ufficio secondario (nella specie di più uffici secondari) al di fuori del Distretto notarile di appartenenza in violazione della normativa di cui della L. n. 89 del 1913, art. 26, comma 2, nonchè dell’art. 10 dei Principi di deontologia professionale dei Notai, ritenendo che mancasse, nel caso in esame, il presupposto essenziale per identificare una sede secondaria, cioè, un apparato organizzativo stabile distinto e riferibile al notaio perchè secondo l’art. 10 dei Principi Deontologici citato equipara ad un ufficio secondario la ricorrente presenza del notaio presso studi di altri professionisti od organizzazioni estranei al Notariato. Secondo il ricorrente l’equiparazione operata dall’art. 10 dei Principi Deontologici tra la presenza presso studi di altri professionisti od organizzazioni estranee al Notariato ed una sede secondaria in senso fisico organizzativo opera a prescindere dalla sussistenza di un elemento organizzativo specificatamente riferibile al Notaio ospitato essendo appunto sufficiente che venga comprovata la mera presenza di quest’ultimo presso studi terzi. Nel caso in esame la presenza del notaio D.M. presso studi terzi era certamente provata in ragione di atti ricevuti risultanti dal repertorio.

2.1. – Il motivo è fondato.

Secondo la norma di cui all’art. 10 dei Principi di Deontologia professionale dei notai: “E’ vietata l’apertura di ufficio secondario in più di un Comune sede notarile. Equivale all’ufficio secondario la ricorrente presenza del notaio presso studi di altri professionisti od organizzazioni estranee al Notariato. Ai fini del presente divieto non è considerato sede notarile il Comune mono sede, limitatamente al periodo di vacanza della sede stessa”. Anche in questo caso, come già la norma di cui all’art. 31 che abbiamo già esaminato, l’art. 10 dei Principi di Deontologia professionale dei Notai, nel porre il divieto per il Notaio ad aprire un ufficio secondario in più Comuni della sede notarile fa riferimento ad una “ricorrente” presenza del notaio preso studi di altri professionisti od organizzazioni estranei al Notariato. Anche in questo caso, l’espressione ricorrente fa riferimento ad una attività notarile svolta tendenzialmente o sistematicamente fuori della sede istituzionale del notaio. Anche in questo caso, perciò, per comprendere se il Notaio abbia violato il divieto di apertura di un ufficio secondario di cui all’art. 10 citata è necessario considerare se normalmente, tendenzialmente, sistematicamente, il Notaio di che trattasi svolge la sua funzione fuori del studio istituzionale e a tal fine sarà necessario determinare la totalità degli atti rogati in un arco di tempo ragionevole (che può essere quello di un anno solare) e verificare se la maggiore quantità degli atti rogati siano stati rogati nella sede istituzionale ovvero in sede diversa. Il notaio incorrerà nel divieto di aprire un ufficio secondario di cui all’art. 10 più colte citato nel caso in cui, la maggior parte degli atti, relativamente ad un ragionevole arco di tempo (comunque non inferiore all’anno solare) risultano rogati presso studi di altri professionisti od organizzazioni estranei al Notariato.

2.2.- Anche in questo caso, la Corte di Venezia ha mancato di valutare, e, dunque, di applicare correttamente la norma di cui all’art. 10 dei Principi di deontologia professionale dei Notai, se l’attività di cui si dice, svolta dal Notaio D.M. presso “terzi (soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali), nell’arco di tempo considerato e rapportata all’intera attività svolta dallo stesso, integrava complessivamente, gli estremi di una attività notarile sistematicamente e/o prevalentemente, svolta presso studi di altri professionisti o presso organizzazioni estranei al Notariato.

Anche in questo caso, non sembra che la Corte di Venezia abbia verificato se i 141 atti (compresi gli atti rogati presso altri studi notarili) rogati dal Notaio D.M. fuori dal proprio studio, in un arco di tempo di 18 mesi, rapportati all’intera attività svolta dallo stesso Notaio, nello stesso arco di tempo, integrassero gli estremi di una attività notarile svolta, in modo considerevole, presso terzi o organizzazioni e studi professionali.

In definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia. Alla stessa Corte è demandato il compito di predisporre il regolamento delle spese, anche del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2017

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