Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3100 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. III, 11/02/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28868/2006 proposto da:

S.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA APPIA NUOVA 866, presso lo studio dell’avvocato ALBANESE

PIERFRANCA, rappresentato e difeso dall’avvocato PELLEGRINO Giuseppe

con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AKRO CASA SPA IN LIQ.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 914/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 25/05/2005; depositata il

19/10/2005; R.G.N. 331/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/12/2009 dal Consigliere Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE PELLEGRINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per la inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 2 gennaio 2003 il Tribunale di Crema rigettava l’opposizione proposta da S.R. all’esecuzione immobiliare intrapresa nei suoi confronti da Akros Casa S.p.A. in forza di un mutuo ipotecario per la somma di L. 91.350.000.

Con sentenza in data 25 maggio – 19 ottobre 2005 la Corte d’Appello di Milano dichiarava la nullità del titolo nella parte in cui prevedeva l’applicazione di interessi moratori, rigettava per il resto l’opposizione dichiarando applicabile al rapporto l’interesse corrispettivo contrattuale salvo “revisione in funzione del valore assunto giornalmente dalla lira interbancaria” da verificare semestralmente.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: era nulla la clausola contrattuale che sostanzialmente prevedeva (al di là della formula lessicale impropria) il cumulo di interessi moratori sulla parte di credito scaduta imputata agli interessi corrispettivi; il semplice interesse corrispettivo, come fissato in contratto e nel collegato piano di ammortamento, non comportava anatocismo; la nuova normativa introdotta con la L. n. 108 del 1996, non era applicabile ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore; il richiamo ai contratti del consumatore era inammissibile perchè la relativa eccezione di nullità era stata sollevata solo con l’atto d’appello;

il titolo azionato risultava efficace; esulava dalla materia propria della causa di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., la verifica dell’entità numeraria del credito; la decadenza dal beneficio del termine era dovuta all’omesso pagamento di diversi ratei; il titolo azionato era certo, liquido ed esigibile;

l’affermata nullità parziale di esso non lo faceva venire meno nelle parti valide ed efficaci; il primo giudice aveva implicitamente convalidato il tasso d’ interesse previsto contrattualmente, comunque da modificare in forza dell’accoglimento del primo motivo d’appello;

non vi era stata lite temeraria da parte della Akros.

Avverso la suddetta sentenza lo S. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad undici motivi, illustrati con successiva memoria.

L’Akros Casa S.p.A. in liquidazione non ha espletato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte ritiene opportuno premettere alcuni principi di carattere generale alla luce dei quali le singole censure debbono essere esaminate.

Il vizio di omessa pronuncia deve essere fatto valere con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. Le censure che ne prescindono sono inammissibili.

Nel nostro sistema non è ammesso che il singolo motivo di ricorso proponga una serie di censure e di quesiti non strettamente collegati con la titolazione del motivo.

Ciascuna censura deve essere autosufficiente, individuabile e autonoma dalle altre.

Con il primo motivo il ricorrente, con riferimento al mancato accoglimento del motivo d’appello relativo agli interessi corrispettivi, lamenta contraddittorietà della motivazione e manifesta illogicità per travisamento del fatto; violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c..

La censura prospetta un errore in procedendo non ritualmente denunciato.

Il tema della violazione delle norme di diritto, non supportato da alcuna ragione, viene trattato solo per chiedere alla Corte di stabilire se il giudice debba indicare specificamente i punti in cui la domanda risulterebbe ambigua, a pena di vizio di extrapetizione.

Una censura siffatta non contiene la necessaria critica specifica della sentenza impugnata e, quindi, risulta astratta e generica.

Il travisamento del fatto in sè non può formare oggetto di ricorso per cassazione, il quale può, invece, censurare la motivazione sotto il profilo della insufficienza, contraddittorietà, illogicità.

Nella specie l’illogicità della motivazione viene eccepita con riferimento: 1) all’interpretazione delle difese svolte dall’appellante; 2) alla lettura della documentazione prodotta.

Il ricorrente si duole che la Corte territoriale, dopo avere accertato in base alla clausola 6 delle condizioni generali di contratto, la capitalizzazione mensile degli interessi di mora, abbia poi negato l’applicazione dello stesso regime anatocistico agli interessi corrispettivi.

Ma anzichè dimostrare le ragioni d’erroneità della decisione impugnata, si limita a riprodurre testualmente parte del proprio motivo d’appello, cosicchè la censura risulta aspecifica.

In realtà la Corte d’Appello ha dichiarato nulla la clausola sopra menzionata ritenendo che essa implicasse il cumulo degli interessi moratori sulla parte di credito scaduta imputata agli interessi corrispettivi. Viceversa ha ritenuto legittima, non comportando anatocismo, la previsione dell’interesse corrispettivo stabilito dal contratto e dal collegato piano di ammortamento. Ciò determina l’irrilevanza della censura.

Ragioni di completezza inducono comunque a rilevare che questa Corte (Cass. n. 11041 del 1994) ha già stabilito la compatibilità del contratto di mutuo con la capitalizzazione degli interessi.

La lettura della documentazione in atti non è consentita al giudice di legittimità e, d’altra parte, il ricorrente allorchè voglia farne derivare un vizio della sentenza impugnata, ha l’onere – nella specie non assolto – previsto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riferirne le parti pertinenti.

La censura si sviluppa anche attraverso l’enunciazione di calcoli aritmetici indubbiamente semplici ma ugualmente non pertinenti al giudizio di legittimità. E’ appena il caso di ribadire che l’interpretazione della clausole contrattuali è riservato al giudice del merito e che il sindacato di legittimità riguarda la sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione, ipotesi che, però, implica l’indicazione in modo specifico, dei criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, del modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo, all’uopo, sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante.

Il motivo attiene al capo della sentenza impugnata inerente al sopravvenuto carattere usurario degli interessi; il ricorrente ipotizza violazione dell’art. 1815 c.c. e L. n. 24 del 2001, art. 1, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo d’impugnazione.

Anche questa censura, prospettata sotto il profilo dell’omessa pronuncia (in realtà viene rilevato un error in iudicando), è priva del necessario riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, e si articola in una serie di considerazioni che danno sostanza alla tesi del ricorrente ma non contengono specifiche ragioni di critica alla sentenza impugnata. Questa ha fatto leva sulla considerazione che il contratto de quo è stato stipulato prima dell’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, la cui applicazione ai rapporti in corso è stata esclusa dalla legge d’interpretazione autentica n. 24 del 2001, secondo cui rileva solo il momento della promessa e non quello del pagamento; inoltre ha fatto esplicito riferimento alla sentenza n. 4380 del 2003 di questa Corte secondo cui i criteri fissati dalla L. n. 108 del 1996 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della legge stessa.

Il ricorrente trascura del tutto queste questioni attestandosi sulle proprie tesi, motivatamente disattese dalla Corte territoriale. Ciò rende superflua qualsiasi disamina del carattere usurario o meno del tasso praticato, del resto riservato al giudice del merito, così come a tale giudice spettano, in via esclusiva, accertamento e valutazione del comportamento delle parti contraenti, per cui risultano irrilevanti le argomentazioni con cui lo S. censura la condotta della mutuante.

Il terzo motivo riguarda il capo inerente alla verifica dell’adeguamento degli interessi corrispettivi all’andamento della c.d. “lira interbancaria tre mesi lettera”. Al riguardo il ricorrente ipotizza manifesta illogicità della motivazione per travisamento del fatto; violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 474, 615, 512 e 112 c.p.c..

Ribadito che il travisamento del fatto non è denunciabile nel giudizio di legittimità, osserva la Corte che la censura riguarda la valutazione di una prova documentale, che è attività incontestabilmente riservata al giudice di merito; la lettura degli atti attraverso i quali si è pervenuti alla determinazione del parametro convenzionalmente pattuito (la lira interbancaria) segue percorsi che sono censurabili ove si dimostri l’erroneità dei criteri seguiti o la manifesta illogicità della motivazione. La mera riproposizione delle proprie tesi già valutate e motivatamente respinte dal giudice d’appello preclude qualsiasi intervento della Corte regolatrice.

In proposito il Collegio ribadisce l’orientamento, assolutamente costante, di cui alla recente Cass. 17057 del 2007, che ha affermato che la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma – ricorrendone le condizioni – di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Le denunciate violazioni di legge sono ricollegate all’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui l’opposizione ex art. 615 c.p.c., riguarda il diritto di procedere ad esecuzione forzata, mentre la verifica dell’entità numeraria del credito, ossia della correttezza del conteggio effettuato dal creditore, rientra nei compiti del giudice dell’esecuzione.

L’art. 615 c.p.c., consente al debitore di contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata; proprio l’art. 512 c.p.c., citato dal ricorrente specifica che, ove in sede di distribuzione della somma ricavata sorga controversi tra creditore e debitore circa l’ammontare del credito, il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini dell’art. 617 c.p.c., cioè con opposizione agli atti esecutivi.

Le ulteriori considerazioni riguardanti provvedimenti ordinatori della Corte d’Appello e la C.T.U. non sono stati ritualmente dedotti e, quindi, non possono essere oggetto di verifica.

Il quarto motivo riguarda la verifica della legittimità della dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine; vengono denunciate violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e artt. 1186, 1455, 1460 c.c., nonchè manifesta illogicità della motivazione per travisamento del fatto.

Anche in questo motivo manca il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4; a proposito del travisamento del fatto vale quanto già detto in precedenza.

La Corte territoriale ha risolto agevolmente la questione premettendo che il relativo motivo era ai limiti dell’inammissibilità per violazione dell’art. 342 c.p.c., ed ha ancorato la decadenza dal beneficio del termine ai ripetuti (e sostanzialmente ritenuti ingiustificati) omessi pagamenti dei ratei. In tal modo ha dimostrato che ricorreva l’ipotesi regolata dall’art. 1186 c.c..

L’affermazione che egli, malgrado tali omissioni, fosse ancora in credito si rivela apodittica e non documentata; la Corte bresciana, che non aveva poteri istruttori, ha deciso in base allo stato degli atti.

Il quinto motivo censura il capo inerente alla verifica della certezza, liquidità ed esigibilità del credito; il ricorrente vi ravvisa violazione degli artt. 116 e 474 c.p.c., art. 2697 c.c., nonchè manifesta illogicità della motivazione per travisamento del fatto.

Trascurata quest’ultima censura per le vedute ragioni, è agevole rilevare che la sentenza ha spiegato che, una volta purgato della clausola relativa agli interessi moratori, il titolo era, oltre che certo, liquido per effetto della piana applicazione degli interessi corrispettivi sul capitale secondo le chiare previsioni contrattuali, restando solo da determinarne l’ammontare esatto al momento dell’assegnazione del ricavato; inoltre esso era esigibile per effetto della decadenza dello S. dal beneficio del termine.

Quest’ultima affermazioni della sentenza impugnata non trova argomentazioni di contrasto nel motivo in esame.

Quanto alla prima, è sufficiente ribadire che (Cass. n. 9693 del 2009) sussiste valido titolo esecutivo per la realizzazione del credito anche quando, nonostante l’omessa indicazione del preciso ammontare complessivo della somma oggetto dell’obbligazione, la somma stessa sia quantificabile per mezzo di un mero calcolo matematico, semprechè, dovendo il titolo esecutivo essere determinato e delimitato, in relazione all’esigenza di certezza e liquidità del diritto di credito che ne costituisce l’oggetto, i dati per acquisire tale necessaria certezza possano essere tratti dal contenuto del titolo medesimo. A ciò è appena il caso di aggiungere che (Cass. n. 25365 del 2006) la liquidità del credito – e cioè la determinazione del suo ammontare in una quantità definita, o la sua determinabilità mediante meri calcoli aritmetici in base ad elementi o criteri prestabiliti dal titolo o dalla legge – è una caratteristica oggettiva sulla quale non incide l’eventuale contestazione da parte del debitore, che attiene all’accertamento del credito stesso, non alla sua consistenza; pertanto un credito fornito di tale caratteristica produce interessi di pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282 cod. civ., ancorchè sia contestato dal debitore.

Il sesto motivo attiene al capo in cui si devolve l’accertamento del saldo creditorio effettivamente esistente al giudice dell’esecuzione, in violazione degli artt. 474, 512, 112 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c..

Lo stesso ricorrente effettua esplicito riferimento al terzo motivo, di cui quello in esame costituisce duplicazione e completamento sotto il profilo del mancato espletamento di attività istruttorie.

In risposta al terzo motivo sono state indicate le ragioni che confortano la statuizione adottata dalla Corte territoriale. Qui occorre aggiungere che nulla impedisce l’esecuzione di attività istruttoria in sede di opposizione all’esecuzione, ma occorre che tale attività sia funzionale alle contestazioni del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e che, comunque, il calcolo finale doveva essere ancorato al momento dell’assegnazione della somma ricavata, quindi non poteva essere effettuato dalla sentenza impugnata.

Con il settimo motivo lo S. contesta la validità del pignoramento denunciando violazione degli artt. 474 e 159 c.p.c. e manifesta illogicità per travisamento del fatto. Questa censura è strettamente connessa a quella concernente la liquidità del titolo, con particolare riferimento all’accertamento del tasso d’interesse contrattualmente dovuto. La Corte territoriale, sulla base dei documenti versati, lo ha individuato nell’1,26471% nominale mensile, per cui viene meno ogni possibile censura al riguardo.

L’ottavo motivo concerne proprio questo accertamento attraverso la denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c., e di manifesta contraddittorietà della motivazione; inoltre il ricorrente lamenta gli stessi vizi circa l’accertamento negativo del compimento di qualsivoglia ulteriore pagamento del mutuatario dopo la notificazione dell’atto di precetto.

La censura implica esame del contratto e dei documenti versati in atti e, quindi, esula dal sindacato di legittimità.

Il nono motivo attiene alla temerarietà della lite e si sostanzia nella denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., e di manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente non spiega l’addotta violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il riferimento della Corte territoriale all’accoglimento soltanto parziale dell’opposizione (è stato ritenuto fondato e, per giunta parzialmente, solo il primo motivo a fronte della molti motivi addotti) dimostra l’innegabile razionalità della decisione.

Il decimo motivo prefigura violazione dell’art. 91 c.p.c., e manifesta illogicità della motivazione addotta a giustificazione della disposta compensazione parziale delle spese di lite.

La censura è generica e presuppone l’accoglimento delle precedenti.

La Corte territoriale ha correttamente osservato che occorreva fare riferimento all’esito complessivo della lite.

Con il decimo motivo lo S. censura, sotto il profilo della violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., la parte dispositiva assumendo che nulla era stato chiesto a titolo di interessi corrispettivi. La censura è inammissibile per l’omesso riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, ed è infondata.

Premesso che il dispositivo non contiene statuizioni autonome avulse dalla motivazione, si osserva che il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione – che da luogo a vizio di nullità della sentenza da far valere mediante impugnazione – presuppone che non vi sia alcuna coerenza tra i due atti, sicchè va escluso quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione e si possa escludere che il contrasto sia l’esito di un ripensamento sopravvenuto (Cass. n. 27880 del 2008).

Nel dispositivo la sentenza dichiara la nullità del titolo esecutivo stragiudiziale nella parte in cui prevedeva l’applicazione di interessi moratori e poi dichiara applicabile al rapporto l’interesse corrispettivo contrattuale, in perfetta aderenza a quanto stabilito in motivazione con l’accoglimento parziale del primo motivo d’appello.

Pertanto il ricorso va rigettato con assorbimento delle questioni argomentate con riferimento ai successivi aspetti rescissori. Nulla spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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