Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30998 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14914/2015 proposto da:

C.G., A.A., A.M., nella

qualità di eredi di A.V., tutte elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA PREMUDA, 1/A, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO DIDDORO, rappresentate e difese dall’avvocato

LORENZO ROTONDI;

– ricorrenti –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25/B, presso studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5040/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/07/2014 R.G.N. 2652/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo di ricorso, rigettato il primo;

udito l’Avvocato LORENZO ROTONDI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.V., dipendente di Rete Ferroviaria Italiana dal 1961 al 1993, convenne la datrice di lavoro innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Napoli per ottenere – per quanto qui interessa – la condanna della società al risarcimento del danno morale, biologico temporaneo ed esistenziale derivato dal “mesotelioma pleurico” diagnosticato nel 2006 ed avente causa nella esposizione all’amianto.

2. Il Tribunale adito rigettò il ricorso con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Napoli, pubblicata in data 24 luglio 2014, resa nei confronti degli eredi dell’ A., nel frattempo deceduto in data 1 maggio 2011.

La Corte ha premesso che il primo giudice aveva evidenziato che il ricorrente aveva specificamente dichiarato di non agire per il danno biologico cd. differenziale, bensì esclusivamente per le voci di danno estranee alla copertura assicurativa INAIL ed identificate con il danno morale, il danno biologico temporaneo ed il danno esistenziale; inoltre il Tribunale – secondo i giudici d’appello – non aveva affatto escluso la risarcibilità “in astratto” di tali voci di danno, ma aveva rilevato “che, in concreto, alcune ipotesi di danno dedotte quali la sofferenza per le cure praticate, la impossibilità fisica di svolgere attività in precedenza svolte, il dolore fisico rientravano, in realtà, nel danno biologico; il danno biologico ‘temporaneò pure asserito dal lavoratore era, in realtà, escluso dalla stessa prospettazione attorea di una irreversibilità della patologia in atto, mentre il danno morale ed esistenziale era stato dedotto senza una specifica allegazione o con riferimento ad una condizione di esaurimento nervoso per la consapevolezza della malattia così da integrare un ulteriore pregiudizio di natura biologica”.

La Corte territoriale ha confermato tali assunti considerando che “le uniche conseguenze dannose complessivamente desumibili dagli scritti difensivi del lavoratore risultano riferite alle lesioni dell’integrità psico-fisica che… ridondano sotto il profilo del danno cd. biologico”, per cui “il ricorrente, dopo aver dichiarato di nàn agire per il risarcimento del danno biologico, non ha allegato pregiudizi diversi da quelli rientranti nell’area di tale tipo di danno”.

Quanto poi all’ulteriore profilo di danno richiesto dagli eredi del de cuius nel corso del giudizio e rappresentato dalla “perdita di vita” del dante causa, la Corte ha ritenuto costituire esso “un inammissibile mutamento ed ampliamento della domanda originaria”.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso C.G., A.A. e A.M., nella loro qualità di eredi di A.V., con 2 motivi, cui ha resistito Rete Ferroviaria Italiana con controricorso.

Entrambe le parti hanno comunicato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Parte ricorrente, riportando ampi stralci degli atti di causa, ha affermato che “la valutazione delle suddescritte dedotte circostanze, concernenti fatti precisi e specifici del caso concreto, invero immotivatamente omessa, avrebbe certamente portato, secondo un apprezzamento che la Corte di legittimità potrà sicuramente esprimere sul piano astratto in base a criteri di verosimiglianza, ad una decisione diversa e opposta a quella in concreto adottata dal giudice del merito”.

Si sostiene che “le risultanze processuali non considerate privano di basi la ratio decidendi della Corte di merito”.

2. Il motivo, con cui espressamente si evoca il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non può trovare accoglimento.

Come noto la disposizione richiamata, nella versione di testo introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, consente il ricorso per cassazione solo per “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” per le sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012.

Le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Ciò. posto il motivo in esame risulta irrispettoso di tali enunciati, in quanto parte ricorrente non individua realmente un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti emersa nel processo e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, con connotato di decisività (nel senso che ove esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia non con criterio di verosimiglianza o di mera possibilità bensì con prognosi di elevata probabilità); piuttosto si duole che i giudici del merito non abbiano ravvisato negli atti processuali proposti quegli elementi di fatto dai quali dedurre che il dante causa nell’atto introduttivo del giudizio aveva allegato pregiudizi diversi da quelli rientranti nell’area del danno biologico.

Quindi non si tratta di fatti storici decisivi acquisiti al processo nel contraddittorio delle parti, quanto piuttosto di diverso convincimento rispetto a quello, peraltro concordemente espresso dai giudici di entrambi i gradi del giudizio, in ordine alle allegazioni che sorreggevano la domanda giudiziale, per cui si tratta di interpretazione della stessa e dei suoi confini che è competenza di merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005), eventualmente sindacabile in sede di legittimità non certo ai sensi del prospettato art. 360 c.p.c., n. 5, bensì quale error in procedendo a mente del n. 4 dello stesso articolo del codice di rito.

E’ nota la giurisprudenza di questa Corte che giudica inammissibile il motivo di ricorso con il quale si denuncia ciò che è un errore di attività del giudice sotto il diverso profilo del vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5), (tra le altre Cass. n. 12952 del 2007; Cass. n. 7268 del 2012; Cass. n. 21099 del 2013; Cass. n. 13482 del 2014).

3. Con il secondo mezzo si denuncia “violazione o falsa applicazione della norma di cui all’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, per avere la Corte napoletana dichiarato inammissibili le pretese relative al “danno da perdita della vita, diverso dal danno alla salute e trasmissibile iure hereditatis” richiesto in grado d’appello con le note depositate all’udienza del 12 marzo 2014 inevitabilmente dopo la morte di A.V. – sulla base dei principi di diritto affermati da Cass. n. 1361 del 2014.

4. Anche tale motivo non può essere accolto.

Invero le Sezioni unite di questa Corte (cent. n. 15350 del 2015) hanno escluso la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, esprimendo un contrario avviso rispetto a quello maturato da Cass. n. 1361 del 2014, precedente espressamente posto da parte ricorrente a fondamento del mezzo di censura in esame.

Pertanto, anche a ritenere che la Corte distrettuale sia incorsa in un error in procedendo, non ritenendo ammissibile la domanda relativa a detto danno in grado d’appello, comunque il vizio sarebbe privo della necessaria decisività, requisito indispensabile per procedere alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio non potrebbe in ogni caso riconoscere nel merito tale posta risarcitoria legata al cd. danno tanatologico che, non prevedendo la possibilità di alcun risarcimento secondo le Sezioni unite citate, non è trasmissibile agli eredi.

Nè dal contenuto delle note autorizzate depositate innanzi alla Corte territoriale riportato nello scrutinato motivo risulta, ad avviso del Collegio, che i ricorrenti abbiano specificamente fatto valere in appello, con dette note oggetto della declaratoria di inammissibilità qui impugnata, elementi di fatto diversi dalla perdita della vita in sè del dante causa, in relazione al lasso di tempo intercorso tra l’evento lesivo e la morte. quali la componente di danno biologico cd. “terminale” (Cass. n. 26727 del 2018; Cass. n. 21060 del 2016; Cass. n. 23183 del 2014; Cass. n. 22218 del 2014), che peraltro rientrerebbe nell’ambito del danno biologico estraneo all’oggetto del giudizio proposto, ovvero di danno morale consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita (Cass. n. 13537 del 2014; Cass. n. 7126 del 2013; Cass. n. 2564 del 2012).

3. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Sussistono le condizioni per compensare integralmente le spese del giudizio di legittimità in quanto il ricorso per cassazione è stato depositato prima dell’intervento delle Sezioni unite che ha diversamente risolto la questione affrontata dal precedente n. 1361 del 2014 sulla cui base gli eredi dell’ A. hanno adito la Corte.

Occorre tuttavia dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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