Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30997 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15737-2017 proposto da:

SAIPEM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO N. 31, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRA GIORDANO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO;

– ricorrente –

contro

A.D., B.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE, 71, presso lo studio dell’avvocato LAURA DEL

BUONO, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE MARCELLO

MAGARELLI;

– controricorrente –

e contro

A.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2561/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 15/12/2016 r.g.n. 1282/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ALESSANDRA GIORDANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bari, con sentenza resa pubblica il 15.12.2016 in parziale accoglimento dell’appello proposto da B.C., A.A. e A.D. o quali eredi di A.G. e in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la Saipem s.p.a. al pagamento, in favore degli appellanti, delle retribuzioni dovute al loro dante causa per il periodo dal 28.11.2006 fino alla data di cessazione del rapporto, oltre accessori di legge, interpretando il relativo capo di domanda come volto ad ottenere una pronuncia di condanna generica alla corresponsione delle somme oggetto del diritto azionato.

Avverso tale decisione la Saipem s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria cui hanno resistito con controricorso gli eredi di A.G..

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.

La causa, chiamata in sede di adunanza camerale, è stata rinviata per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la Saipem s.p.a. censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 112 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 437 e 278 c.p.c..

Si duole che la Corte d’appello abbia accolto una pretesa domanda di condanna generica, in realtà mai formulata da controparte nel ricorso introduttivo di primo grado, con la quale l’ A. aveva proposto una domanda di condanna specifica priva della concreta quantificazione delle somme richieste.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione del R.D. 23 settembre 1937, n. 1918 conv. in L. 24 aprile 1938, n. 83, art. 1, comma 2 e art. 5, comma 1.

Si criticano gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito laddove ha ritenuto che, in costanza di malattia del lavoratore, la mancata erogazione delle relative prestazioni indennitarie da parte dell’Istituto Previdenziale ed Assistenziale competente (Ipsema) facesse sorgere l’obbligo retributivo a carico del datore di lavoro. Si deduce per contro che l’istituto assicurativo assume in via esclusiva detto obbligo, che si traduce nella erogazione del trattamento di malattia, in caso di alterazione dello stato di salute che comporti un’inabilità al lavoro, come desumibile dal compendio normativo cui si è fatto richiamo.

3. Ragioni di logica priorità inducono ad esaminare la questione pregiudiziale di rito sollevata in sede di controricorso, inerente al difetto, in capo al Dott. G.D. – indicato in atti come direttore delle risorse umane – dei poteri di rappresentanza sostanziale e processuale della società Saipem.

4. L’eccezione non è fondata.

Occorre premettere che, secondo i dicta di questa Corte ai quali si intende dare continuità, non può essere attribuita la rappresentanza processuale quando non risulti conferita al medesimo soggetto anche la rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, sicchè la procura che conferisca il potere di decidere, a nome della società, le modalità di definizione dei rapporti controversi – se transigere, sottoporre la questione al giudice o agli arbitri, o resistere – non può essere interpretata quale conferimento di rappresentanza di ordine meramente processuale, atteso che l’anzidetto potere di scegliere ed attuare la migliore soluzione dei rapporti stessi rivela tipiche caratteristiche sostanziali e negoziali, comprendendo in sè, e precedendo logicamente, quello di costituirsi in giudizio (vedi Cass. 22/06/2005 n. 13347, Cass. 20/12/2006 n. 27284, Cass. 20/11/2009 n. 24546).

Nella specie, dalla documentazione versata in atti, s’impone l’evidenza che il Dott. G.D. ha validamente esercitato in giudizio le sue attribuzioni – essendogli stati conferiti tutti i poteri, quali quelli suindicati di conciliare e transigere ogni e qualsiasi controversia di lavoro, rappresentare la società nel contenzioso extragiudiziale con potere di transigere le singole controversie, rinunciare e accettare rinunce all’azione in giudizio…- che consentono di desumere che egli fosse titolare anche di un potere di rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio.

5. Esposte tali premesse, deve ritenersi che il primo motivo di ricorso non sia meritevole di accoglimento.

Ed invero, secondo un consolidato orientamento espresso da questa Corte, anche nel processo del lavoro, l’interpretazione della domanda rientra nella valutazione del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove motivata in modo sufficiente e non contraddittorio (vedi Cass. 24/7/2012 n. 12944); pur ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel “thema decidendum” – il dedotto errore del giudice attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, sicchè detto errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione” (vedi Cass. 13/8/2018 n. 20718, Cass. 5/2/2014 n. 2630, Cass. 31/7/2006 n. 17451).

Orbene, nello specifico la Corte distrettuale ha proceduto ad una interpretazione del ricorso introduttivo del giudizio, pervenendo al convincimento che il ricorrente avesse proposto una domanda di condanna generica, non avendo svolto alcuna conclusione in ordine alla entità delle reclamate retribuzioni con asserzione che non appare suscettibile di emendamento in questa sede di legittimità.

Detta statuizione appare del tutto congrua sotto il profilo logico e corretta sul versante giuridico, giacchè, una domanda di condanna senza specificazione del quantum altro non è che una domanda di condanna appunto – in via generica, consentita dall’ordinamento che predispone, nel caso di impossibilità di provare il quantum debeatur, anche la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. o ex art. 432 c.p.c..

E’ infatti ammissibile (con riguardo alle azioni di risarcimento del danno sia in materia contrattuale che extracontrattuale) la domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso – espresso o tacito – del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall’ordinamento ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell’attore (vedi Cass. 21/3/2016 n. 5551).

E tale possibilità è ammessa anche nel rito del lavoro (non essendo limitata alle ipotesi di sentenza non definitiva con rinvio della liquidazione del “quantum” alla prosecuzione del giudizio), ben potendo la domanda essere limitata fin dall’inizio all’accertamento delran”, con conseguente pronuncia di condanna generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte interessata di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione del “quantum” (vedi Cass. 26/2/2014 n. 4587).

In tale prospettiva la pronuncia impugnata che ha interpretato “la pretesa” azionata – priva di alcuna specifica deduzione in ordine alla entità delle reclamate retribuzioni – “nei termini di una domanda di condanna generica”, si sottrae alle censure svolte.

6. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

La società ha invero modulato le proprie difese in primo grado, sul rilievo che dal novembre 2006 il lavoratore sarebbe stato assente per malattia, con ogni conseguente onere economico a carico dell’Ente previdenziale Ipsema.

Non risulta, tuttavia, che la spiegata eccezione inerente al perdurare dello stato di malattia – quale fatto impeditivo degli effetti del rapporto sul quale la pretesa si fonda – sia stata riproposta in grado di appello, non avendo la ricorrente riportato, per il principio di specificità che governa il ricorso per cassazione ed in violazione dei dettami di cui all’art. 366 c.p.c. nn. 3-4-6, il tenore della memoria recante la allegazione della circostanza, in funzione impeditiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda.

Il potere di allegazione che compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile, non è inoltre, disgiunto dalla necessità che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile (vedi in motivazione Cass. 20/5/2010 n. 12353, Cass. 29/10/2018 n. 27405).

E, nello specifico, per quanto sinora detto, non risulta che la società abbia ritualmente allegato in appello, e comunque dimostrato l’effettiva ricorrenza e la correlativa durata dello stato di malattia in cui versava il dipendente in relazione all’intero periodo dedotto in lite, presupposto fattuale e giuridico per la configurazione della titolarità nel lato passivo dell’obbligazione alla prestazione previdenziale, in capo all’IPSEMA.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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