Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30996 del 27/12/2017


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Civile Sent. Sez. U Num. 30996 Anno 2017
Presidente: CANZIO GIOVANNI
Relatore: CIRILLO ETTORE

Data pubblicazione: 27/12/2017

SENTENZA
sul ricorso 21899-2016 proposto da:
STARA SALVATORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO
ALBERTELLI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE,
rappresentato e difeso da se medesimo;
– ricorrente contro

MI NISTERO DELLA GIUSTIZIA, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI
MINISTRI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI STATO, PRESIDENTE DEL

TAR

SARDEGNA, PRESIDENTE DELLA CORTE D’APPELLO DI

CAGLIARI, PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI CAGLIARI, SEGRETARIO
GENERALE DEL CONSIGLIO DI STATO, CONSIGLIO DI PRESIDENZA

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO;
– con troricorrenti nonché contro
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, SEGRETARIO GENERALE DEL
CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA,
PANUNZIO ROSA MARIA PIA, TURCO PAOLO, SCANO FRANCESCO,
DURANTE NICOLA, PUPILELLA ROBERTO, POLIDORI CARLO, SASSU
ALBERTO MANLIO;

intimati

avverso la sentenza n. 15358/2015 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, depositata il 22/07/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/12/2017 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO, che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto dei motivi;
udito l’Avvocato Salvatore Stara.
FATTI CAUSA
1. Con quattro separate sentenze (Cass., Sez. U., 22/07/2015, n.
15355, n. 15356, n. 15357, n. 15359), precedute da altrettante
ordinanze, le sezioni unite della Corte hanno dichiarato inammissibili i

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DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, in persona dei rispettivi legali

ricorsi coi quali l’avv. Salvatore Stara chiedeva la cassazione di
svariate pronunzie del Consiglio di Stato. Il ricorrente censurava per
eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giustizia tali decisioni,
laddove esse avevano rigettato la ricusazione di tutti i componenti del
collegio e disatteso la declaratoria di perenzione dei ricorsi. Infatti il

via definitiva, assumendo che l’art. 18 cod. proc. amm. non fosse
applicabile, laddove la ragione della ricusazione fosse la mera
adozione di atti processuali e l’istituto fosse utilizzato a fini
meramente dilatori, e inoltre, di non poter accogliere l’istanza di
perenzione, perché l’avvocato Stara aveva confermato il proprio
perdurante interesse alla definizione dei giudizi nel merito.
2. I quattro ricorsi per cassazione sono stati dichiarati inammissibili.
Le decisioni finali sono state precedute da ordinanze con le quali il
collegio in diversa composizione – premesso che il procedimento ex
artt. 51 e 54 cod. proc. civ. non richiedeva particolari termini a
difesa, rilevato che della trattazione era stata data regolare
comunicazione e, infine, disattese le q.l.c. avanzate dell’avv. Stara ha rigettato i suoi ricorsi per ricusazione. In particolare è stata
rilevata l’inammissibilità della ricusazione del presidente Rovelli e del
consigliere Giusti, dovendosi escludere che l’aver in passato respinto
richieste giudiziali dell’avv. Stara fosse di per se stesso sintomatico
della denunciata grave inimicizia e che la pendenza di giudizio di
responsabilità contro lo Stato ex lege 13/04/1988, n. 117, costituisse
lite pendente tra le parti, non essendo – e non potendo essere – il
magistrato il destinatario diretto dell’azione. Riguardo alla ricusazione
della cons. Amendola è stato osservato come nessuna inimicizia fosse
ricavabile da una frase estrapolata da una relazione ex art. 380-bis
cod. proc. civ., laddove era ivi presente un completo esame dei profili
difensivi addotti dall’avv. Stara.

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supremo collegio amministrativo aveva ritenuto di poter decidere in

3. Le quattro sentenze, consequenziali alle quattro ridette ordinanze,
premesso che non poteva essere accordata all’avv. Stara la
concessione di un termine al fine per valutare ed eventualmente
proporre altre ricusazione, hanno ritenuto l’inammissibilità radicale
dei ricorsi di per cassazione, perché proposti ciascuno con unico atto

3.1 Le sezioni unite hanno osservato che, in disparte talune
peculiarità del diverso contenzioso tributario, è jus receptum

il

principio dell’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto con
un unico atto contro una pluralità di sentenze, perché – salvo i casi
(a) delle sentenze (impugnate e) pronunciate fra le medesime parti e
nell’ambito di un unico procedimento ancorché in diversi gradi o fasi,
(b) della sentenza revocanda e della sentenza conclusiva del giudizio
di revocazione, (c) della sentenza di rinvio e della sentenza di rigetto
dell’istanza di revocazione, allorché le due impugnazioni siano rivolte
contro capi identici o almeno connessi delle due pronunzie – è
riservato solamente al giudice il potere di riunire i processi.
3.2 Hanno osservato, inoltre, che l’inammissibilità del ricorso
cumulativo opera anche per l’impugnazione cumulativa di pluralità di
sentenze emesse in procedimenti distinti, ma motivate con identiche
argomentazioni e che la sanzione processuale deve essere rilevata e
dichiarata anche d’ufficio e investire tutte le impugnazioni
contestualmente proposte, non essendo possibile discernere l’una
dall’altra al fine di riconoscerne o negarne l’idoneità ad integrare e ad
esaurire il contenuto dell’unico ricorso.
3.3 Infine, le sezioni unite hanno richiamato il costante orientamento
secondo cui la denuncia dell’asserito malgoverno da parte del
Consiglio di Stato di norme di diritto processuali (nella specie su
ricusazione e perenzione) restava all’interno del perimetro
dell’esercizio della giurisdizione, mancando quel superamento dei
limiti esterni che solo poteva giustificare il ricorso per cassazione; il

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avverso svariate e separate decisioni del Consiglio di Stato.

che non troverebbe eccezioni neppure nei casi d’irregolare
composizione del giudice amministrativo, laddove non si traducesse in
alterazioni strutturali dell’organo per numero e qualità dei membri.
4. Avverso le quattro decisioni delle sezioni unite l’avv. Stara propone
separati ricorsi, di cui quello in esame reca il n. 21899/2016 e

con controricorso per le sole parti specificate in epigrafe, mentre le
altre restano intimate. L’Avv. Stara deposita memorie e propone
ricusazioni nei confronti dei consiglieri Frasca e Scarano, rigettate con
ordinanza, da separato e diverso collegio (Cass., Sez.U., 26/07/2017,
n. 18398).

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Prendendo le mosse dall’esame dei singoli motivi di ricorso, si
osserva:
1.1 n primo motivo è avanzato ex art. 360, primo comma, n. 4) cod.
proc. civ. per denunciare l’asserita nullità della sentenza per pretesa
nullità (o illegittimità) della ordinanza di rigetto resa sulle ricusazioni:
A) In primo luogo il ricorrente denuncia ex art. 360, primo comma, n.
3) cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 111, secondo
comma, Cost. e della giurisprudenza di legittimità sulla natura
giurisdizionale del procedimento di ricusazione e, per l’effetto, del
termine di cui all’art. 372, secondo comma, cod. proc. civ. o
comunque di un «termine idoneo», in rapporto al termine per
proporre la ricusazione di cui all’art. 52 cod. proc. civ. e alla correlata
esigenza di vagliare e proporre motivi di ricusazione.
B) In secondo luogo denuncia ex art. 360, primo comma, n. 3) cod.
proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 53, terzo comma,
cod. proc. civ., a proposito dell’omessa audizione dei magistrati
ricusati.
C) In terzo luogo denuncia (a) ex art. 360, primo comma, n. 3) cod.
proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’artt. 3, 24, 111, secondo

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riguarda la sentenza n. 15358/2016. L’Avvocatura dello Stato resiste

comma, Cost. nonché dell’art. 24 della legge 01/03/1953, n. 87

(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale) e dei principi sanciti dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 308/1997; (b) ex art. 360, primo comma, n. 4) cod.
proc. civ. violazione e mancata applicazione degli artt. 112, 132 n.4),

della questione d’illegittimità costituzionale proposta.
D) Inoltre denuncia (a) ex art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc.
civ. violazione e falsa applicazione delle pronunce in materia della
Corte costituzionale e, in particolare, della sentenza n. 308/1997,
nonché degli artt. 51, 52, 53, 54, 115, 116 cod. proc. civ. «quanto
alla rilevanza-fondatezza degli addebiti in ricusazione e quanto ai
principi in materia di onere della prova»; (b) ex art. 360, primo
comma, n. 4) cod. proc. civ. violazione e mancata applicazione degli
artt. 112, 132 n.4), 277 cod. proc. civ..
E) Infine denuncia (a) ex art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ.
violazione e falsa applicazione delle pronunce in materia della Corte
costituzionale e, in particolare, della sentenza n. 308/1997, nonché
degli artt. 51, 52, 53, 54, 115, 116 cod. proc. civ. «quanto alla
rilevanza-fondatezza degli addebiti in ricusazione e quanto ai principi
in materia di onere della prova»; (b) ex art. 360, primo comma, n. 4)
cod. proc. civ. violazione e mancata applicazione degli artt. 112, 132
n.4), 277 cod. proc. civ., con riferimento specifico ai riscontri
individualizzanti le posizioni del presidente Rovelli e dei consiglieri
Giusti e Amendola.
1.2 n secondo motivo è avanzato ex art. 360, primo comma, n. 4)
cod. proc. civ., per denunciare l’asserita nullità della sentenza per
errata composizione del collegio, rispetto a quello predeterminato con
violazione delle disposizioni di specie e dello stesso provvedimento
determinativo adottato. Assume il ricorrente che il collegio originario
(Rovelli, Salmè, Rordorf, Ragonesi, Nobile, Mammone, Amendola, Di

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277 cod. proc. civ., riguardo all’inadeguata motivazione del diniego

Blasi, Virgilio), a seguito dell’astensione accolta del cons. Di Blasi,
avrebbe dovuto essere integrato dal più anziano cons. Petitti e non
dal cons. Giusti.
1.3 D terzo motivo è avanzato in revocazione ex artt. 391-bis e 395,
primo comma, n. 4) cod. proc. civ. e sent. C. Cost. n. 17/1985 e n.

mancata o errata lettura degli atti di causa, da travisamento o
mistificazione dei fatti reali, da mancata pronuncia sulle difese
decisive del ricorrente», riguardo alla ritenuta inammissibilità dei
ricorsi proposto con unico atto avverso plurime decisioni nonostante
evidenze circa l’identità del contesto di riferimento.
1.4 D quarto motivo è avanzato in revocazione ex artt. 391-bis e 395,
primo comma, n. 4) cod. proc. civ. e sent. C. Cost. n. 17/1985 e n.
36/1991, «per errore di fatto sotto vari profili dati da errata o
mancata o errata lettura degli atti di causa, da travisamento o
mistificazione dei fatti reali, da mancata pronuncia sulle difese
decisive del ricorrente», riguardo alla ritenuta infondatezza dei vizi di
eccesso di potere giurisdizionale per le questioni sul procedimento di
ricusazione e la istanza di perenzione avanzate nel presupposto
processo amministrativo.
1.5 D quinto motivo è avanzato in revocazione, censurando l’operato
delle sezioni unite, laddove hanno omesso di pronunciare sulla
richiesta di enunciazione di principio di diritto ex art. 363 cod. proc.
civ. sulla questione relativa alla legittimità o meno della questione di
merito sulla ricusazione a cura di collegio del Consiglio di Stato
composto anche dai consiglieri ricusati.
1.6 Indi il ricorrente ha rassegnato le seguenti richieste finali: «Si
chiede e conclude perché la Corte intestata voglia: a) In via
rescindente, revocare la qui impugnata pronuncia della stessa Corte
intestata; b) In via rescissoria accogliere il ricorso 14/05/2013; c)

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36/1991, «per errore di fatto sotto vari profili dati da errata o

Con ogni pronuncia consequenziale anche in ordine alle spese, da
porsi a carico dell’amministrazione cui fa capo il Consiglio di Stato».
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1 Premesso che in calce al ricorso, denominato «in revocazione»
ma intestato anche «per la nullità e la revocazione», il ricorrente

parli di revocazione solo nelle rubriche del terzo, quarto e quinto
motivo), egli sostiene in memoria che i primi due mezzi contengano
impugnazioni «per nullità».
La distinzione posta dal ricorrente resta priva di sostanziali ricadute
processuali, atteso che gli unici mezzi d’impugnazione contro le
sentenze delle Corte di cassazione sono la revocazione nel caso
previsto dagli artt. 391-bis e 395 n. 4) cod. proc. civ. e, se pronuncia
anche nel merito ex art. 384, la revocazione e l’opposizione di terzo
nei casi previsti dagli artt. 391-ter, 395 n. 1-2-3-6), 405 cod. proc.
civ..
2.1 Non vale invocare, riguardo al primo motivo, il noto principio di
diritto secondo cui: «il principio di imparzialità è sufficientemente
garantito dalla possibilità per la parte, che abbia visto rigettata la
propria istanza di ricusazione, di chiedere al giudice di appello un
riesame di tale pronuncia impugnando la sentenza conclusiva resa dal
giudice invano ricusato» (Cass., Sez.U., 20/11/2003, n. 17636; conf.
Cass., Sez.U., 11/12/2003, n. 18953). Esso, infatti, ha una portata
limitata alla sola ricusazione del giudice di merito, non essendo
giammai applicabile alla ricusazione del giudice di legittimità per la
peculiare posizione ordinamentale del giudice di ultima istanza, che
deroga alle regole ordinarie (conf. Cass. pen., ud. 06/11/2008 – dep.
12/12/2008, n. 46032, Grimaldi).

Ad eguali conclusioni si deve

giungere anche per il secondo motivo calibrato sempre su asserito
error in procedendo.

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rassegna unicamente conclusioni in termini di revocazione (ancorché

2.2

Le

ridette

conclusioni

non

mutano

nonostante

la

costituzionalizzazione del principio del c.d. giusto processo di cui alla
legge cost. 23/11/1999, n. 2, in relazione all’art. 6 CEDU, poiché, per
la Corte EDU, il diritto al giusto processo non è assoluto e consente a
limitazioni riguardo ai requisiti di ricevibilità e ammissibilità (Corte

quale esigenza di stabilità e affidamento (Corte EDU, 09/02/2016,
Gelebi vs Turchia) sulle decisioni finali dell’autorità giudiziaria (Corte
EDU, 18/01/2012,

Penias et Ortmair vs Austria).

E’ escluso un

sindacato generale di derivazione convenzionale (art. 6 CEDU) sugli
errori di fatto o di diritto che si pretendono essere stati commessi,
fatti salvi solo quelli che nessun giudice ragionevole avrebbe potuto
commettere per effetto di una procedura grossolanamente arbitraria
(Corte EDU, Grande Sezione, 05/02/2015, Bochan vs Ucraina; conf., ,
Corte EDU, 21/03/2000, Dulaurans vs Francia).
2.3 Inoltre, secondo la Corte EDU, il diritto di accedere al giudice di
ultima istanza non è assoluto e, sulle condizioni di ricevibilità dei
ricorsi gli Stati, hanno un sicuro margine di apprezzamento, potendo
prevedere restrizioni a seconda del ruolo svolto dai vari organi
giurisdizionali e dell’insieme delle regole che governano il processo
(Corte EDU, 15/09/2016, Trevisanato vs Italia).
3. Le conclusioni non mutano anche riportando tutto il ricorso alle sue
conclusioni unicamente revocatorie. L’art. 391-bis cod. proc. civ.
stabilisce che «Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è
affetta […] da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), la
parte interessata può chiederne […] la revocazione». Quest’ultima
disposizione prescrive che «Le sentenze pronunciate in grado
d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione
[…] se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti
o documenti della causa» e precisa che «Vi é questo errore quando la
decisione é fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità é

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EDU, 03/07/2012, Radeva vs Bulgaria), tenuto conto della securitè

incontrastabilmente esclusa, oppure quando é supposta l’inesistenza
di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno
quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul
quale la sentenza ebbe a pronunciare».
3.1 La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto

applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove
l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza
o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di
spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio
che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che
contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli
estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme
medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si
concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile
all’ipotesi della violazione.
3.2 Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la
sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata
valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze
processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio
sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato,
costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass.,
14/04/2017, n. 9673, § 4-5).
3.4 Così, ad esempio, è stato escluso l’errore revocatorio per:
l’inesatta considerazione degli effetti di una specifica riforma
normativa (Cass., 03/06/2002, n. 8023); l’inapplicabilità dello jus

superveniens (Cass., Sez.U., 23/01/2009, n. 1666); l’applicazione di
una normativa piuttosto che di un’altra (Cass., 29/03/2006, n.
7127); l’erronea comprensione del contenuto giuridico-concettuale
delle difese (Cass., 22/03/2005, n. 6198) e l’inesatta qualificazione
dei fatti ivi esposti (Cass., 10/06/2009, n. 13367); l’omesso rilievo

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tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa

del litisconsorzio necessario (Cass., 05/04/2001, n. 5055); l’inesatta
applicazione dell’art. 149 cod. proc. civ. (Cass., 30/11/2005, n.
26074); l’erronea presupposizione del giudicato (Cass. Sez.U.,
17/11/2005, n. 23242); l’omessa rilevazione officiosa di vizi (Cass.,
10/11/2005, n. 21830); la violazione del diritto comunitario (Cass.,

ricorso (Cass., 15/11/2013, n. 25654).
3.5 In sintesi estrema la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art. 395
n. 4) non prevede come causa di revocazione della sentenza di
cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di
giudizio o di valutazione. Né, con riguardo al sistema delle
impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri
vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in
cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed
provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi
giurisdizionali ordinari e speciali, e che non appare irrazionale la
scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una
propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di
giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei
limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass., 16/09/2011, n.
18897).
3.6 Inoltre, quanto all’effettività della tutela giudiziaria, anche la
Corte di giustizia dell’UE riconosce la necessità che le decisioni
giurisdizionali, divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di
ricorso disponibili (o dopo la scadenza dei termini previsti per questi
ricorsi), non possano più essere rimesse in discussione e ciò al fine di
garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia
l’ordinata amministrazione della giustizia (Cass. Sez.U., 28/05/2013,
n. 13181; cfr. Corte giust., 03/09/2009, in causa C-2/08, Olimpiclub;
Corte giust., 30/09/2003, in causa C-224/01, Kobler; Corte giust.,
16/03/2006, in causa C-234/04,

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Kapferer).

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10/11/2005, n. 21830); il mancato rilievo di nullità della notifica del

3.7 Gli approdi nomofilattici sopra ricostruiti trovano riscontro univoco
nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 17/1986, n.
36/1991, n. 207/2009), laddove essa segue il percorso evolutivo del
contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai
soli casi di «sviste» o di «puri equivoci» e nega rilievo a pretesi errori

previsto dell’art. 395, n. 4), cod. proc. civ., anche rispetto la svolta
normativa in direzione di un più ampio controllo (legge 26/11/1990,
n. 353; d.lgs. 02/02/2006, n. 40). In particolare, l’invocata sentenza
additiva della Corte costituzionale n. 207/2009 si è limitata ad
estendere alle ordinanze pronunciate dalla Corte di cassazione il
rimedio della revocazione per errore di fatto, ma non ha alterato
l’ambito di operatività dell’istituto della revocazione per errore di
fatto, anzi ribadendo trattarsi di un errore di tipo percettivo (Cass. n.
9673/2017, cit.).
4. Dunque l’interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure
quella costituzionalmente e convenzionalmente orientata, degli artt.
391-bis e 395 n. 4) portano a non ammettere la revocazione delle
decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori
giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla
mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia,
rispondendo la «non ulteriore impugnabilità in generale» all’esigenza,
tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e
della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia
all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass., 29/04/2016, n.
8472). Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione,
prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta
l’inammissibilità di ogni censura non compresa (Cass., 07/05/2014,
n.9865), ivi compresa ogni ipotetica actio nullitatis.
4.1 Ne deriva l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso anche

sub

specie di revocazione. Le prime tre censure del primo motivo, il

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di valutazione, così recependo il ristretto ambito dell’errore di fatto

secondo motivo e il quinto motivo sono rivolti a criticare la sentenza
solo per pretesi errores in procedendo, asseritamente commessi dalle
sezioni unite sia con la sentenza impugnata per revocazione, sia con
la presupposta ordinanza di rigetto delle ricusazioni, laddove (a) si è
omessa l’audizione dei giudici ricusati, (b) non si è concesso un

inadeguata la q.l.c., (d) si sarebbe proceduto alla decisione finale con
collegio erroneamente composto, (e) non si è fatto luogo alla
enunciazione del principio di diritto ex art. 363 cod. proc. civ..
4.2 Inoltre è appena il caso di ricordare, riguardo al secondo motivo,
che quella dedotta non è neppure un’alterazione qualitativa o
quantitativa del collegio giudicante (Cass. Sez.U., 26/07/2011, n.
16246) e che la sostituzione di giudici di pari funzioni del medesimo
ufficio giudiziario, anche se per ipotesi disposta al di fuori del sistema
tabellare, è processualmente irrilevante (Cass., 14/12/2007, n.
26327; conf. Cass. pen., ud. 01/08/2013 – dep. 29/08/2013, n.
35729, Agrama e altri), valendo anche in materia civile il principio
generale dell’ordinamento processuale dettato dall’art. 33, secondo
comma, cod. proc. pen. («Non si considerano attinenti alla capacità
del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici
giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla
assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici»); mentre,
riguardo al quinto motivo, l’enunciazione del principio di diritto anche
in caso d’inammissibilità del ricorso è rimesso alla discrezionalità
officiosa del giudice di legittimità.
5. Le ultime censure del primo motivo, nonché il quarto e il quinto
motivo, sono rivolti a contestare la sentenza non solo per pretesi
errores in procedendo, ma anche per errores in iudicando correlati
all’apprezzamento delle ragioni di ricusazione di tre consiglieri della
Corte, del procedimento di ricusazione e dell’istanza di perenzione nel
giudizio al Consiglio di Stato, nonché del contenuto intrinsecamente e

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termine a difesa al ricusante, (c) si sarebbe motivato in maniera

geneticamente unitario delle sentenze del Consiglio di Stato
impugnate con unico ricorso per ciò stesso dichiarato inammissibile.
5.1 Ciascuna doglianza involge, oltre a inammissibili profili
processuali, non tanto la rilettura del materiale di causa quanto – e
soprattutto – un’attività di giudizio e di rivalutazione, di per se stessa

ulteriori controlli, stante la necessità di un limite invalicabile
all’indeterminato sviluppo d’istanze e gradi processuali, a tutela del
diritto anche delle controparti di vedere espressa una parola
definitiva, nonostante la non corrispondenza di questa agli auspici o
alle prospettazioni unilaterali della parte ricorrente, in violazione dei
consolidati principi in tema di revocazione delle decisioni di
legittimità, sopra riassunti.
6. Una volta dichiarata l’inammissibilità del ricorso in esame, le spese
del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo a
favore delle sole parti controricorrenti.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in complessivi Euro =5000,00= per compensi,
oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso arti. 13.
Così deciso in Roma il 05/12/2017
Il Consigliere estensor
Ettore Cirillo

sidente
anzio

tale da essere sottratta, per non irrazionale scelta legislativa, ad

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