Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30992 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 27/11/2019), n.30992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23150-2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER N.

44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANGAZZO, rappresentata

e difesa dall’avvocato MARIA MASI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VOLLA (NA), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI CONSOLI 11, presso lo

studio dell’avvocato ENRICO CALIFANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ERIK FURNO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3972/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/06/2018 R.G.N. 177/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PASQUALE FORNARO per delega Avvocato MARIA MASI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso L. n. 92 del 2014, ex art. 1, comma 47, al Tribunale di Nola, S.M., assunta dal Comune di Volla in data 15/12/2009 in qualità di assistente sociale (cat. D1) all’esito dell’approvazione della graduatoria finale della procedura concorsuale indetta con Det. Dirig. 22 dicembre 2008, n. 783 per la copertura di due posti di assistente sociale, impugnava l’atto di recesso comunicatole dal Comune in data 8/11/2014 (mentre la predetta era in malattia), giustificato dalla necessità per l’Ente di adeguarsi al decisum di cui al D.P.R. 28 marzo 2013 che aveva accolto il ricorso straordinario proposto dalla terza classificata in tale graduatoria, D.G.A. (ricorso notificato anche a S.M.) e riconosciuto in favore di quest’ultima l’attribuzione di ulteriori punti per i titoli posseduti assicurandole un punteggio totale (27,50) tale che, in sede di riformulazione della graduatoria, aveva determinato la retrocessione della S. (punti 27,00) in posizione non più utile.

2. Il Tribunale respingeva la domanda.

3. La decisione era confermata dalla Corte d’appello di Napoli, in sede di reclamo.

La Corte partenopea respingeva innanzitutto l’eccezione di inammissibilità del reclamo formulata dal Comune ritenendo che il cd rito Fornero fosse utilizzabile anche per l’impiego pubblico privatizzato.

Quanto al merito, escludeva che, nella fattispecie, potesse discutersi di illegittimità della procedura concorsuale e non già di nullità e condivideva la valutazione operata dal giudice di prime cure secondo cui il Comune non avesse esercitato alcun potere di autotutela bensì adottato un provvedimento necessitato in considerazione del D.P.R. cui aveva fatto seguito la sentenza del TAR Campania n. 3429 del 26/6/2015 che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla S. avverso la riformulazione della graduatoria.

Riteneva che, nel caso in esame, si fosse determinata una nullità iniziale del contratto di lavoro della S. per essere state violate le norme concorsuali soprattutto attinenti all’attribuzione dei punteggi e così l’art. 97 della Cost..

4. Avverso tale decisione S.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

5. Il Comune di Volla ha resistito con controricorso.

6. Non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360, nn. 3, 4 e 5 in relazione all’art. 2119 c.c. e art. 2110 c.c..

Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto il contratto nullo ab origine e rileva che dopo l’approvazione della graduatoria (che esaurisce l’ambito riservato al procedimento amministrativo) subentra una fase in cui i comportamenti dell’amministrazione vanno ricondotti all’ambito privatistico, espressione del potere negoziale della P.A. nella veste di datrice di lavoro, da valutarsi alla stregua dei principi civilistici in ordine all’inadempimento delle obbligazioni e anche secondo i parametri della correttezza e della buona fede.

Rileva che in tale fase successiva il potere amministrativo autoritativo si trasforma in potere privato da esercitarsi mediante atti di natura negoziale e richiama, al riguardo, Cass. 1 ottobre 2015, n. 19626.

Assume che, nella specie, non di atto ricognitivo della inefficacia del contratto si potesse trattare (ed evidenzia anche che avverso la decisione del TAR è pendente ricorso innanzi al Consiglio di Stato) ma di vero e proprio licenziamento che però doveva essere adottato nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 2110 c.c. che impedivano di licenziare la ricorrente durante il periodo di malattia.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Vanno, infatti, richiamate le ragioni già esposte da questa Corte in plurime decisioni (v. in particolare Cass. 25 giugno 2019, n. 17002; Cass. 7 maggio 2019, n. 11951) con le quali si è affermato che “nell’impiego pubblico contrattualizzato, poichè alla stipula del contratto di lavoro si può pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 1, lett. a) o, per le qualifiche meno elevate, nel rispetto delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato art. 35, comma 1, lett. b) e del D.P.R. n. 487 del 1994, artt. 23 e ss. la mancanza o l’illegittimità delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto, pertanto, da nullità, che l’amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio comportamento al rispetto delle norme inderogabili di legge, può fare unilateralmente valere, perchè anche nei rapporti di diritto privato il contraente può rifiutare l’esecuzione del contratto nei casi in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici”.

2.2. Il principio di diritto è stato affermato in continuità con un orientamento già espresso da questa Corte, la quale da tempo ha evidenziato che l’atto con il quale l’amministrazione revochi un’assunzione o un incarico a seguito dell’annullamento della procedura concorsuale o dell’inosservanza dell’ordine di graduatoria “equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perchè affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l’assenza di un vincolo contrattuale” (Cass. nn. 8328/2010, 19626/2015, 13800/2017, 7054/2018, 194/2019).

2.3. In ordine al rapporto fra procedura concorsuale e contratto di impiego si è evidenziato che gli atti principali della procedura presentano una duplicità di natura giuridica, poichè il bando e la graduatoria finale, pur inserendosi nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, hanno anche la natura sostanziale, rispettivamente, di proposta al pubblico e di atto di individuazione del futuro contraente (Cass., Sez. Un., 16 aprile 2007, n. 8951; Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2010, n. 4648; Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2012, n. 16728). Da ciò si è tratta la conseguenza che la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, sicchè, sia l’assenza sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4 Carta fondamentale (Cass. n. 13884/2016).

2.4. il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 ha sempre previsto, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, che “in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni” e la norma, per come formulata, ha una portata generale che va oltre il più ristretto ambito di applicazione indicato dalla rubrica dell’articolo ed è idonea ad attrarre nella sfera della nullità anche il mancato rispetto delle procedure imposte per le assunzioni a tempo indeterminato dall’art. 35 cit. Decreto. Non a caso la disposizione ricalca esattamente la formulazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 8 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 22 che disciplinava tutte le forme di reclutamento del personale, anche le assunzioni a tempo indeterminato, e non a caso il legislatore, ogniqualvolta ha qualificato il vizio del rapporto di impiego derivato dalla violazione delle norme inderogabili che disciplinano forme e requisiti per l’assunzione, si è espresso per la nullità della nomina o del vincolo contrattuale (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 3; L. n. 448 del 2001, art. 19,L. n. 111 del 2011, art. 15), nullità che è stata ravvisata anche in presenza di operazioni concorsuali espletate in forza di norma di legge dichiarata poi incostituzionale (L. n. 111 del 2011, art. 16).

2.5. Quanto alla qualificazione del vizio assume, poi, specifico rilievo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, nell’individuare i casi in cui la violazione di norme inderogabili rende nullo il contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, pur ribadendo la tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto, hanno precisato che a quest’ultima tipologia vanno attratte non solo quelle disposizioni che si riferiscono alla struttura ed al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo” (Cass., Sez. Un., n. 26724/2007).

La regola che impone l’individuazione del contraente sulla base di una graduatoria formulata all’esito della procedura concorsuale nel rispetto dei criteri imposti dalla legge e dal bando, seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette necessariamente, per quanto sopra detto, sulla validità del negozio, perchè individua un requisito che deve imprescindibilmente sussistere in capo al contraente, di tal chè, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo il Costituente, deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici.

2.6. A fronte di detti plurimi argomenti, testuali e sistematici, si deve ritenere infondata la tesi, qui sostenuta dalla ricorrente, che qualifica la determinazione del Comune quale vero e proprio licenziamento laddove, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, si trattava piuttosto di un atto ricognitivo dell’inefficacia del contratto per nullità ab origine. Tale nullità era effetto diretto del D.P.R. 28 marzo 2013, intervenuto a seguito del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto da D.G.A., candidata risultata prima degli idonei non vincitori, che, nel contraddittorio instaurato anche nei confronti della S. (la quale, non costituendosi in quel giudizio, aveva comunque accettato che la controversia fosse decisa nella sede straordinaria) e sulla scorta del parere reso dalla Prima Sezione del Consiglio di Stato, aveva definitivamente statuito l’attribuzione in favore della D.G. di un punteggio più alto di quello attribuito nella originaria graduatoria, tale da stravolgere la stessa ed escludere che la S., con il punteggio attribuitole, potesse essere legittimamente collocata al secondo posto, quale idonea vincitrice.

2.7. Nè assume rilievo la pendenza del procedimento innanzi al Consiglio di Stato avverso la decisione del TAR che, come si evince dalla stessa sentenza qui impugnata, ha dichiarato inammissibile il ricorso della S. avverso la riformulazione della graduatoria, sul presupposto che vi fosse il giudicato costituito dal D.P.R. 28 marzo 2013 e che la ricorrente avrebbe dovuto far valere eventuali lagnanze in quella sede, atteso che la doverosità del comportamento del Comune va valutata in rapporto all’indicato D.P.R..

2.8. Si ricorda che questa Corte ha evidenziato che la decisione sul ricorso straordinario, la quale aveva fin dall’origine connotati di decisione di giustizia anche se non poteva parlarsi di funzione giurisdizionale, pienamente realizzata a seguito dell’intervento del legislatore ordinario che ne ha operato la revisione (si pensi alla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 3, al D.Lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163, art. 245 e soprattutto alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 69), depurando il procedimento da ciò che non era compatibile con la funzione giurisdizionale, nella parte in cui prende come contenuto il parere del Consiglio di Stato, rientra a pieno titolo nella garanzia costituzionale dell’art. 103 Cost., comma 1, che fa salvi, come giudici speciali, il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa (v. Cass., Sez. Un., 25 settembre 2012, n. 23464), ove si legge testualmente che: “In breve, il modificato quadro normativo ha indotto questa Corte a rivedere la propria giurisprudenza (…), affermando che il decreto presidenziale, divenuto definitivo, è assimilabile al giudicato amministrativo e quindi è suscettibile del giudizio di ottemperanza”).

3. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

5. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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