Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30986 del 30/11/2018

Cassazione civile sez. III, 30/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 30/11/2018), n.30986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3292-2017 proposto da:

MYTHOS COFFEE BREAK DI C.E., in persona della sua titolare

C.E., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANLUCA

SANSONETTI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

OREGON SRL UNIPERSONALE, in persona del legale rappresentante pro

tempore S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato CESARE ROMANO

CARELLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO BESSI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1714/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso depositato il 31 ottobre 2013 la Oregon Srl adiva il Tribunale di Pistoia per ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto di affitto di ramo di azienda e, segnatamente, il reparto Bar e Pasticceria, ubicato presso il centro sportivo “(OMISSIS)”, stipulato il 13 novembre 2012 con C.E., titolare dell’impresa individuale Mythos Coffee Break. Nella stessa data era stato concluso un secondo contratto, in cui Oregon era cessionaria del ramo di azienda, che originariamente faceva capo a Costa San Giorgio srl ed un terzo contratto, tra Mythos Coffee Break di C.E. e Mythos Caffè srl, di subaffitto di ramo di azienda, con il consenso della concedente l’affitto ((OMISSIS)). La ricorrente aggiungeva che il primo contratto conteneva una clausola risolutiva espressa, di cui la Oregon intendeva avvalersi e per l’effetto chiedeva la condanna della convenuta Mythos Coffee Break di C.E. al rilascio del ramo di azienda, oltre al pagamento della somma di Euro 19.700 circa, a titolo di indennità di occupazione relativa al mese di ottobre 2013 e il rimborso delle spese di utenza del medesimo mese e ciò sino all’effettiva immissione nel possesso dell’azienda in capo alla concedente. Si costituiva C.E., nella qualità in atti, eccependo la litispendenza con altro giudizio promosso davanti al Tribunale di Firenze e contestando la fondatezza delle domande;

il Tribunale, con sentenza del 17 aprile 2015 rigettava le domande;

avverso tale decisione proponeva appello la Oregon Srl e resisteva in giudizio l’impresa individuale Mythos Coffee Break. Con sentenza del 13 gennaio 2017 la Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento dell’appello proposto dichiarava la risoluzione del contratto di subaffitto di ramo di azienda del 13 novembre 2012 stipulato tra Mythos Caffè e Mythos Coffee Break, in forza della dichiarazione della Oregon Srl, contenuta nella raccomandata del 5 giugno 2013, di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa. Conseguentemente condannava la C., quale titolare della impresa individuale Mythos Coffee Break, al rilascio immediato del ramo di azienda, oltre al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Mythos Coffee Break di C.E., affidandosi a cinque motivi. Resiste in giudizio con controricorso Oregon Srl Unipersonale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1454 e 1421 c.c. e art. 101 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, riguardo alla forma della procura al compimento di attività negoziale contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale secondo cui non sarebbe necessaria l’osservanza di una forma, la giurisprudenza di legittimità adotta un orientamento rigoroso per cui la procura rilasciata dal cliente al proprio avvocato, con cui si chiede di intimare alla controparte l’adempimento di un contratto deve essere rilasciata per iscritto e ciò deve risultare dalla stessa lettera di diffida. Sotto altro profilo, non ricorre la violazione dell’art. 101 c.p.c. poichè la giurisprudenza di legittimità richiede che il giudice chiamato a decidere sull’impugnazione di un contratto a seguito di azione di risoluzione (come nel caso di specie), una volta provocato il contraddittorio, deve rilevare ogni forma di nullità, dichiarandola incidentalmente in motivazione, così come ha correttamente effettuato il Tribunale. I contraddittorio è stato provocato dalla Oregon in appello. Nel merito, l’inadempimento non sussisteva avendo la ricorrente già provveduto a pagare due canoni arretrati;

con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 1456 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.c., n. 3 la Corte avrebbe errato nell’affermare l’inadempimento della ricorrente; l’inerzia, invece, era dipesa dall’incertezza sull’individuazione del legittimo creditore, dipendente dall’esistenza di diversi atti sottoscritti – quasi contestualmente – e dall’ulteriore profilo di opacità determinato dall’atto di pignoramento;

con il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 1456 e 1460 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere l’inadempienza di Oregon riguardo alla mancata esibizione delle fatture relative ai consumi. La circostanza sarebbe emersa nei verbali di udienza del 5 dicembre 2014, con ciò rendendo giustificato l’eventuale inadempimento della odierna ricorrente;

con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 1456 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunziarsi sull’eccezione dell’odierna ricorrente secondo cui Oregon aveva rinunciato implicitamente alla risoluzione, avendo emesso fatture nonostante l’inadempimento presunto e avendo incaricato una terza persona, B.M., di curare i propri interessi relativi ai rapporti con gli affittuari. Si tratterebbe di comportamenti di implicita rinuncia alla intenzione di avvalersi della clausola risolutiva;

con l’ultimo motivo lamenta la violazione delle medesime disposizioni oggetto della censura precedente oltre che dell’art. 1375 c.c. perchè la Corte non avrebbe valutato se sussisteva il presupposto della buona fede in capo al soggetto che richiedeva l’applicazione della clausola risolutiva espressa e ciò al fine di evitare l’ipotesi di abuso del diritto;

il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità poichè i rilievi si riferiscono ad una disposizione di legge che non è stata applicata dalla Corte territoriale. L’art. 1454 c.c. richiamato dalla ricorrente, si riferisce alla differente ipotesi della diffida, mentre nel caso di specie la norma di riferimento è l’art. 1456 c.c., comma 2, in materia di clausola risolutiva espressa. Pertanto non è pertinente l’orientamento giurisprudenziale richiamato in tema di forma della procura;

sotto altro profilo la decisione della Corte si fonda sul perfezionamento della ratifica, che ha efficacia sanate rispetto ad eventuali vizi del rapporto di rappresentanza e rispetto a tale ratifica vige un principio di libertà delle forme, che non è contrastato dalla ricorrente che si occupa, invece, del profilo relativo alla forma della procura. Pertanto, l’operato del legale è stato ratificato dal rappresentato, il quale ha comunque fatto propri gli effetti del negozio concluso in suo nome con effetto retroattivo;

i rilievi relativi alla violazione dell’art. 101 c.p.c. sono inammissibili per difetto di decisività poichè la statuizione della Corte d’Appello prescinde da tale violazione nella quale sarebbe incorso il Tribunale. La questione è trattata solo incidentalmente. Pertanto, risultano inconferenti le considerazioni relative al potere officioso di rilevare eventuali ipotesi di nullità;

il secondo motivo è inammissibile perchè ha ad oggetto accertamenti in fatto demandati solo al giudice di merito e rispetto ai quali sussiste una adeguata motivazione della Corte territoriale. Parte ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, ipotetiche violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così strutturando il giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità;

per il terzo motivo ricorrono le medesime considerazioni poichè l’apparente violazione di legge, nasconde, in realtà, l’omessa valutazione di un dato probatorio relativo alla circostanza che il proprietario concedente, a sua volta, fosse inadempiente alle proprie obbligazioni, per non avere fornito copia delle fatture relative ai consumi delle utenze. Si tratta di una valutazione di merito non demandabile alla Corte di legittimità. In ogni caso il profilo è espressamente preso in esame dalla Corte d’Appello, la quale rileva che contrariamente a quanto sostenuto dall’odierna ricorrente, non sussiste una pregressa condotta inadempiente di Oregon. Mancherebbe – rileva la Corte – la prova dell’esistenza di richieste non ottemperate di esibizione di bollette pagate per varie utenze, anteriori alla raccomandata del 9 luglio 2013, e ciò anche sulla base delle risultanze della prova testimoniale. Sotto tale profilo la censura difetta, altresì di autosufficienza, non avendo la ricorrente trascritto il contenuto degli atti dai quali emergerebbe la inadempienza di Oregon. Risulta assolutamente inidoneo, a tal fine, il generico riferimento al verbale di udienza del 5 dicembre 2014 ed il rinvio al documento 19 del fascicolo di legittimità che riguarda, invece, la richiesta di trasmissione alla Corte di Cassazione del fascicolo di ufficio;

il quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi e sono inammissibili, poichè prospettano questioni nuove di cui la decisione di appello non si occupa. In tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione. (Sez. 3 -, Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017, Rv. 646645 – 01). Nel caso di specie parte ricorrente non ha allegato di avere posto la questione relativa ai presupposti fattuali della dedotta rinuncia implicita ad avvalersi della clausola e alla sussistenza del profilo della buona fede. Peraltro entrambi i profili avrebbero dovuto essere fatti valere ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2018

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