Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30979 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. II, 27/11/2019, (ud. 14/01/2019, dep. 27/11/2019), n.30979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18873/2015 R.G. proposto da:

P.M., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Pietro Guerini, con domicilio

eletto in Roma, via Lucrezio Caro 63, presso lo studio dell’Avv.

Alessandro Raffo;

– ricorrente –

contro

B.P., rappresentato e difeso dagli Avv. Silverio Vitali,

con domicilio eletto in Bergamo, via San Francesco d’Assisi 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 279/15

pubblicata il 4 marzo 2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio

2019 dal Consigliere dott. Milena Falaschi.

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Bergamo – Sezione distaccata di Clusone, con sentenza n. 143 del 22 novembre 2008, accertava le violazioni delle distanze legali da parte di P.M. rispetto alla proprietà di B.P., per avere disatteso le prescrizioni del Piano Regolatore di (OMISSIS), anche con aggravamento di una servitù di passo realizzato dalla medesima convenuta con l’ampliamento della scala di accesso alla sua unità abitativa, edificato abusivamente, e per l’effetto ordinava alla stessa di demolire il tettuccio, di eliminare le fessurazioni, di ripristinare il cemento tra le fughe del muro di pietra, di riposizionare il pluviale e parte del muro di sostegno; in accoglimento della riconvenzionale spiegata dalla P., ordinava all’attore di cessare l’occupazione di una parte della strada comune, compensando le spese di lite e quelle di c.t.u.;

– sul gravame interposto dal B., la Corte d’appello di Brescia, nella resistenza dell’appellata, che svolgeva anche appello incidentale, in parziale riforma della sentenza di prime cure, condannava l’appellata all’arretramento alla distanza di legge delle due vedute ottenute mediante la realizzazione di due porte finestre, oltre all’arretramento del sopralzo nei limiti di legge; confermava nel resto l’impugnata sentenza, con condanna della P. alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio;

– per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Brescia ricorre P.M. sulla base di otto motivi;

– B.P. è rimasto intimato.

Atteso che:

– con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), oltre ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e pertinente alla dedotta inesistenza dell’atto di appello per difetto di valida procura. La censura è infondata nel suo complesso.

Per orientamento consolidato di questa Corte, la procura speciale alla lite, conferita in primo grado, può ritenersi estesa anche al grado di appello, purchè, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 4, una volontà in tal senso sia desumibile dal contenuto della stessa procura (Cass. 12 marzo 2002 n. 3537; Cass. 25 febbraio 2014 n. 4421).

La Corte distrettuale adita ha chiarito che la procura rilasciata in primo grado doveva ritenersi conferita per l’intero giudizio, avendo utilizzato la dizione “in ogni sua fase e grado”, che esprime la volontà della parte di estendere il mandato all’appello e, quindi, implica il superamento della presunzione di conferimento solo per il primo grado del processo, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., u.c., Correttamente, dunque, è stata ricompresa nella procura la difesa per l’intero processo, alla luce della significativa locuzione utilizzata, “in ogni sua fase e grado”, che in modo inequivoco la estende anche al grado di appello;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) nonchè violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), oltre ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) con riguardo all’inesistenza della notificazione, eccepita in appello in via preliminare. In particolare, la ricorrente lamenta l’inesistenza della notifica in conseguenza dell’assenza di valida procura e, in subordine, qualora l’atto fosse ritenuto valido, lo considera improduttivo di effetti in quanto non ritualmente notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c. per essere intervenuta la notifica decorso l’anno dalla pronuncia.

Anche siffatta censura è infondata.

La sentenza della Corte d’appello, alle pagine 5 e 6, ha statuito la validità della procura e alla base di tale decisione vi è un iter argomentativo che poggia su due rationes, entrambe inerenti l’imprecisa ricostruzione fatta della vicenda processuale da parte della ricorrente. La P., infatti, alle pagine 7 e 8 del ricorso, asserisce la nullità dell’atto di citazione e da ciò fa discendere automaticamente la nullità della procura in esso inserita.

In realtà, come chiarito dalla Corte d’appello, nella vicenda in esame “si trattava di un’integrazione in ordine al petitum della domanda”, il che, a norma dell’art. 164 c.p.c., fa sì che il giudice ne debba disporre d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio, che una volta effettuata con le indicazioni mancanti, sana i vizi, con effetti sostanziali e processuali, della domanda.

La ricorrente, quindi, erroneamente ritiene non valutato dalla Corte, e prima ancora dal Tribunale, siffatto vizio, in quanto, una volta intervenuta la rinnovazione, contenente l’integrazione richiesta in ordine al petitum, a nulla rileva il rilascio di una nuova procura, poichè definitivamente sanato l’atto cui la procura accede. Quanto poi all’ulteriore profilo di inesistenza della notifica dell’appello per violazione dell’art. 330 c.p.c., comma 3, osserva il Collegio che la Corte di merito ha fatto corretta interpretazione ed applicazione della norma, essendo ormai pacifica la giurisprudenza nel senso che “nel decorso dell’anno, di cui all’art. 330 c.p.c., deve essere ricompreso il periodo feriale” (Cass., Sez. Un., 9 novembre 2011 n. 23299), con la conseguenza che non trova nella specie applicazione la norma invocata per essere la notificazione dell’impugnazione avvenuta nell’anno;

– con il terzo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), oltre a violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e ciò in merito alla nullità della sentenza di primo grado per difetto di valida procura dei presunti difensori dell’appellante B.P..

La censura è infondata alla luce delle considerazioni svolte con riferimento al secondo motivo.

A nulla valgono i richiami della ricorrente a pronunce di questa Corte, non pertinenti al caso di specie: anche a voler sostenere, infatti, il collegamento funzionale tra la procura e l’atto su cui risulta apposta, nella vicenda in esame non sarebbe necessario un suo rinnovato rilascio, per aver il B. integrato il petitum come richiesto dal giudice di prime cure;

– con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) relativamente alla ritenuta genericità ex art. 342 c.p.c. dell’eccezione di usucapione, sollevata dalla ricorrente già in sede di costituzione nel giudizio di primo grado e ribadita costantemente. Ad avviso della P. la corte bresciana avrebbe troppo sbrigativamente declinato ogni pronuncia sul merito della questione posta, rappresentata la motivazione a sostegno dal solo avverbio “indubbiamente”.

La censura è inammissibile sotto un duplice profilo.

Va osservato, in primo luogo, che laddove denuncia una violazione di legge, la doglianza non coglie la ratio decidendi.

E’ noto che la specificità dei motivi di appello deve essere commisurata alla specificità della motivazione che sorregge la decisione impugnata.

Nel caso in esame, premesso che trattandosi di questione che ove respinta dal primo giudice avrebbe dovuto essere fatta valere con appello incidentale, la P., anche senza prendere posizione sull’esattezza, in punto di fatto o di diritto, della motivazione esposta dal tribunale, si è limitata ad affermazioni del tutto generiche, circa la legittimità delle opere “realizzate da alcuni decenni dai precedenti proprietari”, giacchè ella si era limitata a ristrutturare parzialmente un edificio preesistente da lunga data, senza alcuna demolizione dei muri relativi (v. pag. 7 della comparsa di costituzione in appello, atto esaminabile in considerazione della natura del vizio lamentato); affermazioni per di più, e nonostante la loro genericità, inidonee a inficiare la decisione, la quale non risulterebbe avere effettuato alcun accertamento specifico sull’usucapione, istruito il giudizio attraverso consulenza tecnica di ufficio, non deducendosi la richiesta di diversi ed ulteriori mezzi istruttori.

Del resto la stessa eccezione risultava riprodotta in appello con le medesime generiche modalità del primo grado, laddove non vengono neanche indicate le opere in relazione alle quali sarebbe maturata l’usucapione, piuttosto ribadendosi in generale che buona parte delle opere erano state realizzate da alcuni decenni dai precedenti proprietari e non già dalla P. (v. pag. 2 della comparsa di risposta in primo grado).

Sul punto del vizio di motivazione, inoltre, occorre muovere dalla constatazione che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato, ormai, ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass., Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, nonchè, “ex multis”, Cass. 20 novembre 2015 n. 23828; Cass. 5 luglio 2017 n. 16502).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., 3 novembre 2016 n. 22232), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. 12 ottobre 2017 n. 23940), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. 25 giugno 2018, n. 16111), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. 13 agosto 2018 n. 20721).

Nessuna di tali evenienze ricorre nella specie, visto che la sentenza impugnata, per un verso, ha indicato – con esposizione tutt’altro che irriducibilmente contraddittoria o imperscrutabile – le ragioni che, a suo dire, non consentono di ricostruire la formulazione dell’accezione di usucapione, esprimendo, altresì, l’ulteriore convincimento dell’ammissibilità della domanda di demolizione totale del balcone, da non ritenere nuova, dovendo essere interpretata come domanda di arretramento alla distanza legale.

Dunque, il giudice del gravame ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte in tema di motivi di appello;

-con il quinto, il settimo e l’ottavo motivo – che per l’affinità argomentativa che li avvince consentono un esame congiunto – la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la corte distrettuale pronunciato in merito alla proposizione di tre domande nuove da parte del B., che a suo avviso sarebbero state formulate solo in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado (quella avente come oggetto la demolizione del fabbricato della P.) ovvero con l’atto di appello (quella di demolizione totale del balcone e di occlusione delle vedute).

Le censure sono parimenti inammissibili.

La Corte non ha, infatti, ignorato tamquam non esset il rilevo della ricorrente, ma ha correttamente interpretato la domanda di demolizione fino a mt 1,5, così come quella di demolizione tout court, come domande di arretramento alla distanza legale.

Ugualmente ha qualificato la domanda di chiusura delle vedute, laddove il B. parla di occlusione.

Dunque neanche con dette censure la ricorrente si confronta con le argomentazioni della sentenza impugnata;

– con il sesto motivo la ricorrente ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deducendo l’inesistenza del balcone sito al primo piano di cui è stata disposta la demolizione.

La censura non merita favorevole apprezzamento.

La Corte di merito, a pag. 8 della sentenza, ha accertato che “la CTU ha dato atto che il nuovo balcone è stato realizzato con la ristrutturazione iniziata il 24 gennaio 2000 (pag.4), e che esso è oggettivamente idoneo all’inspicere ed al prospicere in alienum”.

Nè risulta che parte ricorrente abbia formulato puntuali osservazioni al riguardo in sede di operazioni peritali.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna pronuncia sulle spese processuali in mancanza di difese svolte dall’intimato.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte di Cassazione, il 14 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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