Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30971 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 29/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32583/2018 proposto da:

M.W., elettivamente domiciliato in Forlì, viale Matteotti

n. 115, presso lo studio dell’avv. Rosaria Tassinari, che lo

rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, nella persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1364/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 22/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/10/2019 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- M.W., di origine pakistana (Punjab), ha presentato ricorso avverso la decisione resa dal Tribunale di Bologna (data deposito: 13 aprile 2016) che, in via di conferma della decisione della Commissione territoriale di Bologna – sezione distaccata di Forlì, aveva escluso la sussistenza degli estremi per il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria), come pure della protezione umanitaria.

Con sentenza depositata il 22 maggio 2018, la Corte di Appello di Bologna ha respinto il ricorso così presentato.

La Corte territoriale ha ritenuto, in particolare, che il racconto compiuto dal richiedente – di là dalle contraddizioni in cui cadeva non faceva emergere situazioni riconducibili a vicende persecutorie considerate rilevanti dalla legge, trattandosi di fatwa operata dall’iman del villaggio, “privato cittadino nei confronti del quale lo Stato ben può fornire protezione”. Ha altresì rilevato, sulla scorta di più report che “le aree di conflitto, in Pakistan, sono limitate alle regioni del Fata, del Khiber Pakthunkwa e del Balochistan, con esclusione quindi del Punjab”. Ha inoltre soggiunto che il richiedente non aveva indicato elementi specifici di vulnerabilità in relazione alla richiesta di protezione umanitaria.

2.- Avverso questo provvedimento ricorre M.W., articolando tre motivi di cassazione.

Il Ministero non ha svolto difese nel presente giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.- Il ricorso censura la decisione della Corte di Appello di Bologna: (i) col primo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la sentenza “applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato così come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non avere valutato la credibilità del richiedente alla luce di parametri stabiliti” dall’art. 3, comma 5 D.Lgs. citato; (ii) col secondo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere la Corte felsinea “riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come meglio definita dalla Corte di Giustizia nella sentenza C-465/07”; (iii) col terzo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Corte territoriale “esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale e internazionale a fornire la protezione in capo a persone che fuggono da Paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita e incolumità”.

4.- Il ricorso non merita di essere accolto.

Va invero rilevato, in proposito, che il primo motivo di ricorso non si confronta con la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Nel contesto motivazionale della sentenza assume, infatti, rilievo in sè stesso assorbente la constatazione che le ragioni dell’espatrio indicate dal richiedente (al di là delle contraddizioni del racconto svolto) non integrano gli estremi richiesti dalla legge per il riconoscimento del diritto di rifugio.

Del pari il secondo motivo non si confronta con i contenuti della decisione impugnata. Che ha per l’appunto verificato, sulla scorta di report attendibili e aggiornati (EASO 2016; Amnesty International 2017),la situazione economica e politica della regione del Punjab, non rilevandone la sussistenza della situazione di conflitto richiesta dalla norma dell’art. 14, lett. c).

Quanto infine al tema della protezione umanitaria, il ricorso si limita a indicare che il richiedente svolge attività lavorativa continuativa dal giugno 2017, senza indicare le specifiche ragioni per cui il rimpatrio dello stesso verrebbe a comportare la pure evocata situazione di “privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani”

5.- Non ha luogo a provvedersi sulle spese del presente giudizio, in mancanza di costituzione dell’intimato Ministero.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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