Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30970 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30970

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32706/2018 r.g. proposto da:

I.Z., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Marta

Di Tullio, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma,

alla via Emilio Faà Di Bruno n. 15.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

28/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con ordinanza del 16 febbraio 2017, il Tribunale di Roma confermò il provvedimento reiettivo delle istanze di protezione – internazionale ed umanitaria – emesso dalla competente Commissione Territoriale nei confronti del cittadino ghanese I.Z., ed il gravame proposto da quest’ultimo contro tale decisione venne dichiarato inammissibile dalla corte di appello della medesima città, con sentenza del 28 settembre 2018, n. 6030, la quale rimarcò che le argomentazioni del giudice di prime cure “non sono oggetto di specifici attacchi da parte dell’appellante, il quale non censura affatto le ragioni del rigetto della domanda, nelle forme previste dall’art. 342 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, di talchè non risulta soddisfatto il requisito della specificità dei motivi nell’accezione invalsa in giurisprudenza, per la quale… il requisito della specificità dei motivi dettato dall’art. 342 c.p.c., esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento logico giuridico, ciò risolvendosi in una valutazione del fatto processuale che impone una verifica in concreto, ispirata ad un principio di simmetria e condotta alla luce del raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame, nel senso che quanto più approfondite e dettagliate risultino le argomentazioni del primo, tanto più puntuali devono profilarsi quelle utilizzate nel secondo per confutare l’impianto motivazionale del giudice di prime cure”. Evidenziò, invero, che “il gravame si sostanzia, in buona parte, nella riproposizione delle questioni dedotte (da I.Z.) nel precedente grado, relative alle sue vicende personali e familiari, e nella dedotta assenza di adeguata istruttoria sulla situazione personale del richiedente e del suo Paese di origine, senza alcun riferimento specifico al concreto rischio di persecuzione in caso di rientro in patria o ai motivi umanitari che giustificano il riconoscimento della forma di protezione richiesta…”.

2. Contro la descritta sentenza I.Z. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

2.1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la corte distrettuale esaminato la sua domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente asilo;

II) “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5”, avendo la corte capitolina svolto il giudizio sull’attendibilità delle dichiarazioni dell’odierno ricorrente senza rispettare i criteri imposti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

III) “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, dolendosi del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. Premette il Collegio che nella controversia, e per il preliminare controllo di tempestività, trova luogo il principio per cui “in tema di riconoscimento della protezione internazionale, la disciplina introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, si applica, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del citato decreto, alle controversie instaurate successivamente al 18.8.2017” (cfr. Cass. n. 26568 del 2019; Cass. n. 18295 del 2018); conseguentemente, per la proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello rese su ricorsi originariamente introdotti anteriormente a quella data si applica la precedente disciplina (anche riguardo alla sospensione dei termini durante il periodo feriale).

4. Gli esposti motivi sono suscettibili di una trattazione congiunta perchè tutti affetti dal medesimo vizio di palese inammissibilità.

4.1. Nessuno di essi, infatti, investe la specifica ragione (violazione dell’art. 342 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, per difetto di specificità dei motivi di gravame) posta dalla corte distrettuale a fondamento della decisione oggi impugnata, dilungandosi, invece, affatto genericamente, sulla descrizione dei requisiti per il riconoscimento della invocata protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), nonchè sui criteri di valutazione delle dichiarazioni del richiedente protezione, ex art. 3, comma 5, del medesimo D.Lgs., a dire del ricorrente erroneamente applicati da quella stessa corte. Si tratta, pertanto, di argomentazioni totalmente prive di collegamento con la effettiva ratio decidendi esposta dalla corte capitolina.

5. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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