Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3097 del 11/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3097 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

sENTENZA
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.

da:

CANTI° Letterio (CNT LTR 42A20 F1580), rappresentato e
difeso, per procura speciale a margine del

ricorso,

dall’Avvocato Fabrizio Mobilia, domiciliato in Roma,
Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte
suprema di cassazione;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro

pro

tempore,

rappresentato e difeso

dalrAvvecaturagétigtà1 4
– 2 ~15 Rtate, preSSO i cui uffe
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per
legge;

Data pubblicazione: 11/02/2014

- controricorrente avverso il decreto della Corte d’appello di Messina
depositato in data 22 giugno 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Fabrizio Mobilia;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Pierfelice Pratis, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto

che, con ricorsi depositati in data 3

novembre e 7 novembre 2011 presso la Corte d’appello di
Messina, Cantio Letterio chiedeva la condanna del
Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento del
danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata
di due giudizi iniziati dinnanzi al TAR della Sicilia Sezione di Catania, con ricorsi depositati,
rispettivamente, il 4 marzo 1999 e il 6 ottobre 1999,
entrambi dichiarati perenti con decreti in data 28 aprile
2011;
che l’adita Corte d’appello, riuniti i ricorsi,
riteneva che i giudizi presupposti avessero una matrice
unitaria al di là della formale autonomia dei
procedimenti,

sicché l’unico processo da prendere in

udienza del 16 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.

considerazione aveva avuto una durata irragionevole
complessiva di nove anni;
che tenuto conto della modesta consistenza della
pretesa azionata dal ricorrente in sede amministrativa e

di prelievo il ricorrente stesso non aveva svolto alcuna
attività sollecitatoria, tanto che entrambi i giudizi
presupposti si erano conclusi con decreto di perenzione,
liquidava un indennizzo di euro 4.500,00, adottando il
criterio riduttivo di 500,00 euro per anno di ritardo,
oltre agli interessi legali dalla data della domanda al
saldo;
che per la cassazione di questo decreto Cantio
Letterio ha proposto ricorso sulla base di un motivo,
illustrato da memoria;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso.
Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con l’unico motivo di ricorso il ricorrente
denuncia violazione dell’art. 2, commi l e 3, della legge
n. 89 del 2001, dell’art. 6, paragrafo l, della CEDU e
degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.,nonché vizio di
motivazione con riferimento alla determinazione della

del fatto che dopo la presentazione di una prima istanza

durata irragionevole dei giudizi presupposti, erroneamente
considerati in modo unitario dalla Corte d’appello, e
conseguentemente della liquidazione riduttiva,
immotivatamente inferiore agli ordinari criteri di

durata del processo;
che il ricorso è fondato nei sensi di seguito
indicati;
che colgono certamente nel segno le censure del
ricorrente con riferimento alla considerazione unitaria,
da parte della Corte d’appello, dei due giudizi
amministrativi presupposti, i quali avevano avuto una
durata complessiva, rispettivamente, di dodici anni e due
mesi circa e di undici anni e sette mesi circa;
che, infatti, la tutela di cui alla legge n. 89 del
2001 spetta in relazione a ciascun giudizio di cui si sia
stati parte, salva la eventuale riunione dei giudizi nella specie non disposta – e comunque per il periodo
successivo al provvedimento di riunione;
che il ricorso è invece infondato nella parte in cui
il ricorrente si duole della adozione del criterio di
500,00 euro per anno di ritardo adottato dalla Corte
d’appello;
che, infatti, si deve rilevare che, se è vero che il
giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi

liquidazione del danno non patrimoniale da irragionevole

ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea
dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di
garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno
e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del

inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli
successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso
giudice,

il

potere di discostarsene, in misura

ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità
della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di
positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar
conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass. 17922
del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari criteri di determinazione
dell’indennizzo facendo riferimento alla non particolare
rilevanza della posta in gioco e allo scarso interesse
manifestato dalla parte, reso evidente dalla conclusione
di entrambi i giudizi presupposti con decreto di
perenzione;
che la seconda ragione addotta dalla Corte a
fondamento della propria decisione, da sola idonea a
giustificarla, appare del tutto condivisibile e non lesiva

danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non

delle disposizioni di cui il ricorrente ha denunciato la
violazione o la falsa applicazione;
che, infatti,

se la conclusione del giudizio

amministrativo con decreto di perenzione non è di per sé

condizioni di proponibilità della domanda ai sensi
dell’art. 54 del decreto-legge n. 112 del 2008, e
successive modificazioni, si deve ricordare che questa
Corte ha affermato il principio per il quale, in tema di
equa riparazione per irragionevole durata del processo
amministrativo, l’istituto della perenzione decennale dei
ricorsi, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205,
art. 9 – nel testo, applicabile

ratione temporis,

anteriore alle modifiche di cui all’art. 54 d.l. n. 112
del 2008, convertito in legge dalla legge n. 133 del 2008
– non si traduce in una presunzione di disinteresse per la
decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo
che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la
necessità che le parti siano messe in condizione, tramite
apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità
dell’interesse alla decisione e di manifestarlo, con la
conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza di
fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per
la decisione di merito, giustifica l’esclusione della
sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale

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preclusiva, una volta che siano state rispettate le

del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione
dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo
precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione
mano a mano decrescente, e quindi come base per una

risarcimento (cfr.,

ex plurinds,

le sentenze nn. 6619 del

2010 e 3271 del 2011);
che, quindi, la decisione della Corte d’appello di
desumere una ridotta sofferenza della parte dalla
conclusione del giudizio amministrativo con decreto di
perenzione non si presta a censura;
che la motivazione adottata dalla Corte d’appello
risulta, quindi, adeguata, e le deduzioni del ricorrente
non appaiono idonee ad evidenziare vizi di violazione di
legge o di motivazione;
che va poi ricordato che, in applicazione dei criteri
elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(decisioni Volta et autres c. Italia,
Falco et autres c. Italia,

del 16 marzo 2010 e

del 6 aprile 2010) e recepiti

dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 18 giugno
2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass.,
13 aprile 2012, n. 5914), relativamente a giudizi
amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa
Corte è solita liquidare un indennizzo che rapportato su

decrescente valutazione del danno e del relativo

base annua corrisponde a circa 500,00 euro per la durata
del giudizio;
che tale approdo consente di escludere che un
indennizzo di 500,00 euro per anno di ritardo possa essere

dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte
europea intende assicurare in relazione alla violazione
del termine di durata ragionevole del processo;
che il rigetto della censura svolta dal ricorrente con
riferimento alla seconda

ratio

decidendi

addotta dalla

Corte d’appello ai fini dell’adozione di un criterio
riduttivo esonera dall’esame delle censure relative
all’altra

ratio

decidendl,

consistente nella ritenuta

scarsa rilevanza della posta in gioco;
profili

che, dunque, il ricorso va accolto per

attinenti alla mancata considerazione dei due giudizi
presupposti, con conseguente cassazione del decreto
impugnato;
che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che,

invero,

essendo

incontestata

la

durata

ragionevole di entrambi i giudizi presupposti, stimata
dalla Corte d’appello in tre anni, la durata ragionevole
da

indennizzare

risulta complessivamente pari

a

di per sé considerato irragionevole e quindi lesivo

diciassette anni e nove mesi (nove anni e due mesi per il
primo e otto anni e sette mesi per il secondo);
che, in relazione a tale durata irragionevole,
l’indennizzo spettante al ricorrente ammonta a euro

condannato il Ministero contro ricorrente, oltre agli
interessi legali dalla domanda al saldo;
che al ricorrente spetta altresì il rimborso delle
spese di lite, liquidate, quanto alle spese del giudizio
di merito, nella stessa misura di cui al decreto
impugnato;
che le spese vanno poi distratte in favore del
difensore del ricorrente, Avvocato Fabrizio Mobilia, per
dichiarato anticipo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,
condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al
pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro
8.875,00, oltre agli interessi legali dalla domanda;
condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al
pagamento delle spese del giudizio di merito, che liquida
in euro 1.500,00, di cui euro 400,00 per esborsi, euro
600,00 per diritti ed euro 860,00 per onorari, oltre alle
spese generali e agli accessori di

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legge;

condanna il

8.875,00, somma al pagamento della quale deve essere

Ministero al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 506,25, oltre ad euro
100,00 per esborsi e agli accessori di legge. Dispone la
distrazione delle spese come liquidate in favore del

dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 16
gennaio 2004.

difensore del ricorrente, Avvocato Fabrizio Mobilia,

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