Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30967 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33077/2018 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Elena Petracca,

domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2019 da Dott. GORI PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con decreto n. 5391 depositato il 10.10.2018 nella controversia iscritta all’RGN 12880/2017 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da A.A., nato a (OMISSIS), in impugnazione del provvedimento prefettizio di diniego notificatogli il 16.11.2017 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, sez. di Vicenza. In particolare il ricorrente deduceva di aver lasciato il (OMISSIS) a causa della sua omosessualità repressa con violenza dai familiari.

– I suoi fratelli scoprivano aveva rapporti sessuali con un amico, lo picchiavano perchè confessasse e, dopo la confessione, veniva nuovamente picchiato e fatto sposare nel (OMISSIS) con una cugina. Quattro o cinque anni dopo il matrimonio cominciava ad avere rapporti con molti uomini, senza mantenere relazioni particolarmente lunghe per timore dei suoi familiari. La voce della sua omosessualità si diffondeva nell’abitato e i fratelli continuavano a picchiarlo, sino ad arrivare nel (OMISSIS) a rinchiuderlo in casa. Dopo la fuga, aiutato dalla moglie, lasciava il Paese di origine.

– Chiedeva pertanto il riconoscimento del suo diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o alla protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007 o, ancora, il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Avverso la decisione il richiedente ha notificato in data 9.11.2018 ricorso, affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo e terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. a), b) e c), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 per contraddittorietà del provvedimento impugnato e difetto di motivazione, in quanto il Tribunale di Venezia non avrebbe correttamente applicato il canone dell’onere della prova, in particolare circa la valutazione delle dichiarazioni del ricorrente, ritenute erroneamente non credibili, ed avrebbe omesso di attivarsi al fine di una cooperazione istruttoria in ordine all’accertamento delle condizioni aggiornate del Paese di origine del richiedente, arrivando così a negare non solo lo status di rifugiato ma anche la protezione sussidiaria sulla base di argomentazioni pretestuose.

– Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si deduce la violazione o errata applicazione del combinato disposto dell’art. 1 (a) della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. a), e della L. n. 241 del 1990, art. 3 per difetto di motivazione, essendo pretestuose ed illogiche le argomentazioni usate dal Tribunale per negare al richiedente lo status di rifugiato, avuto riguardo alla sua condizione di omosessuale in Pakistan.

– I motivi primo, secondo e terzo, sono strettamente connessi in quanto attinenti all’onere probatorio per il riconoscimento della protezione internazionale, e possono essere affrontati congiuntamente. Essi sono infondati. La Corte rammenta che “In materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01).

Nel caso di specie la decisione censurata non ha omesso di valutare le condizioni socio-politiche della zona e del Paese d’origine del richiedente, avendo al contrario ben presente, oltre alle condizioni socio-politiche, la gravità della sanzione penale prevista dall’ordinamento giuridico pakistano in caso di accertati rapporti omosessuali volontari e, anzi, anche su tale presupposto ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente. Nel decreto impugnato si legge infatti quale primo punto dell’argomentazione nel merito: “non appare infatti credibile che il ricorrente possa avere avuto una vita sessuale così intensa a tal punto da perdere il conto degli uomini con cui è andato (“non lo so, sono stato con troppi troppi uomini”) e da ammettere di aver frequentato tre/quattro persone nel suo villaggio, anche contemporaneamente, e altre persone quando si trovava in città come autista in una realtà così ostile all’omosessualità come quella pakistana”, e la seconda considerazione è ben consapevole delle conseguenze penali severissime cui sarebbe andato incontro, quasi certamente, in un piccolo centro che mal avrebbe tollerato tale abitudine: “Nè è verosimile che molte persone del villaggio (“metà”) del ricorrente sapessero del suo orientamento omosessuale e che egli non abbia mai avuto alcuna problematica dal punto di vista penale”.

La valutazione complessiva di non credibilità ha tenuto conto anche della posizione del nucleo familiare del richiedente che, da un lato ha visto la moglie “felice” della sua condizione omosessuale al punto di aiutarlo a fuggire dai fratelli, in contrasto con la percezione sociale molto ostile del fenomeno diffusa nei piccoli centri del (OMISSIS), anche per i rischi di procedimenti penali con sanzioni detentive molto severe. Dall’altro, all’udienza del 9.4.2018 avanti al Tribunale il richiedente ha riferito di voler far venire la moglie e i figli in Italia, per ricongiungere il nucleo familiare, in contrasto con il naturale desiderio di vivere la condizione LGBTI in un Paese tollerante finalmente libero da condizionamenti. Si tratta di una decisione nel merito, supportata da specifiche fonti informative, che hanno portato il Tribunale ad escludere l’esistenza di un fondato timore di persecuzione personale e diretta nel paese di origine a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale o per le opinioni politiche professate. Tale valutazione è stata operata in primo luogo sulla base del controllo di logicità del racconto del richiedente, e la valutazione compiuta dal giudice del merito a riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si censura la violazione del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6 e L. n. 241 del 1990, art. 3 per contraddittorietà del provvedimento impugnato e difetto di motivazione, in quanto il rigetto della richiesta di protezione umanitaria non può essere un’automatica conseguenza del rigetto delle due richieste principali, volte ad ottenere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria.

Il motivo è destituito di fondamento, in quanto la sentenza opera ai fini della ricostruzione di possibili profili di vulnerabilità generali, in particolare la specifica situazione del luogo di provenienza, un’attenta ricostruzione, sulla base di autorevoli e aggiornate fonti internazionali (COI/EASO 2017, ACCLEDATA, CRSS, ICG), dell’assenza (nel 2013 e 2014) o limitatissima incidenza (3 vittime nel 2015) di decessi per atti di violenza e attacchi terroristici nella zona da cui il richiedente proviene. Il distretto di (OMISSIS) si colloca nel grande stato del (OMISSIS), il quale complessivamente copre un’area grande come 2/3 dell’Italia ed ha una popolazione superiore del 50%. Tale condizione di relativa tranquillità è stata incrementata da un’imponente operazione di sicurezza partita nel 2016 nell’intero stato. Quanto poi alla sua situazione personale, il Tribunale ha ritenuto motivatamente non esistenti particolari profili di vulnerabilità personale, non solo in conseguenza della scarsa credibilità del richiedente come dedotto nel motivo, ma anche sulla base della documentazione medica prodotta, valutata non tale da impedire il rimpatrio e della limitata integrazione sociale, non essendo inoltre documentato lo svolgimento di attività lavorativa, elemento comunque non sufficiente da solo per il riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. n. 4455/2018). Si tratta di una motivazione logica, congrua, non incentrata solo sulla scarsa credibilità del richiedente e dunque sul rigetto delle prime due richieste principali di protezione e che la Corte di legittimità non ha ragioni per rivalutare in assenza di elementi di fatto decisivi e contrari, ritualmente introdotti nel processo, non valutati dal giudice del merito e di cui il ricorrente dia conto in ricorso.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato quanto alle spese, in assenza di effettive difese svolte dal Ministero.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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