Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30966 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 29/11/2018), n.30966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11563-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. (OMISSIS), in persona del direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

F. E M. SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 48, presso lo

studio dell’avvocato SERENA GIGLIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FEDERICO JORIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6717/1/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata 1’08/11/2016;

udita la rela/ione della causa svolta nella carriera di consiglio non

partecipata del 24/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della società F. E M. s.r.l. (che resiste in giudizio con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente gli avvisi di accertamento notificati per la ripresa a tassazione di IRPEF, IRAP e IVA per gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente, ritenendo che l’Ufficio era decaduto dal potere accertativo, non trovando applicazione il raddoppio dei termini in relazione alla mancata presentazione della denunzia di reato.

La controricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 1, come modificati dal D.L n. 223 del 2006, nonchè violazione della L. n. 208 del 2015, art. 1,commi 131 e 132 e del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1, 2 e 3. La CTR avrebbe errato nell’escludere il c.d. raddoppio dei termini di decadenza sotto il profilo della omessa presentazione della denunzia penale, non applicando correttamente i principi giurisprudenziali resi da questa Corte in ordine al regime intertemporale della disciplina sopravvenuta in tema di raddoppio dei termini.

Il motivo è infondato.

Sussiste la denunciata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e della disciplina sul raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento a carico della sentenza qui impugnata.

Ed invero, questa Corte ha avuto modo di chiarire che ai fini del raddoppio dei termini in questione, per come disposto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito nella L. n. 248 del 2006, che ha modificato del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 2 bis, (nei testi applicabili ratione temporis), non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia (nè tanto meno la produzione di questa in giudizio). Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale” e “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” -da ultimo, v. Cass. n. 408/2018-.

Non è si poi mancato di chiarire che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. 9974/2015; Cass. 20043/2015; Cass. nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2016).

La Corte (Cass. n. 20043 e n. 9974 del 2015) ha quindi più volte affermato che: a) il raddoppio dei termini per l’accertamento si applica anche alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore delle disposizioni indicate (4 luglio 2006), perchè queste, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, incidono necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data; b) questo effetto deriva non dalla natura retroattiva delle norme, ma dall’applicabilità ex nunc della protrazione dei termini in corso, nel rispetto del principio secondo cui, di regola, “la legge non dispone che per l’avvenire” (art. 11 preleggi, comma 1 prima parte; analogamente, la L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, stabilisce che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”); b) il “raddoppio” deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia (in specie, Cass. n. 1171 del 2016), dall’inizio dell’azione penale e

dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (dato anche il regime del cosiddetto “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20); c) detto obbligo di denuncia sorge quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi di un reato previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, (anche se sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento, al pari dell’antigiuridicità e del dolo, resta riservato all’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita; c) il medesimo obbligo opera in base a condizioni obiettivamente rilevabili, considerato che anche il pubblico ufficiale non potrebbe liberamente valutare se e quando presentare la denuncia, dovendola presentare prontamente, pena la commissione del reato di cui all’art. 361 c.p., per il caso di ritardo od omissione nella denuncia; d) il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione dell’atto impositivo o di contestazione delle sanzioni, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza (cioè circa la sussistenza di una notitia criminis dotata di fumus) ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle menzionate disposizioni al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento; e) in presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare i presupposti dell’obbligo di denuncia penale (non certo l’esistenza del reato) è a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il più ampio potere accertativo.

In definitiva, secondo questa Corte, “…Per impedire che il raddoppio sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al P.M. notizie di reato manifestamente infondate, al solo fine di beneficiare del più ampio termine di decadenza, la Corte cost. devolve al giudice di merito il compito di vigilare sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgere dell’obbligo di denuncia e di negare l’applicazione del termine allungato in casi d’iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.c.), rivelatrici di un uso distorto dello strumento legale apprestato dall’art. 37.”-cfr. Cass. n. 9727/2016-.

Con specifico riferimento alla circostanza che il fatto sia stato oggetto di pronunzia assolutoria la sentenza da ultimo indicata, occupandosi di una pronunzia di assoluzione intervenuta successivamente, ha ritenuto che la stessa non poteva elidere il raddoppio, poichè “… Anche il giudicato penale assolutorio, quanto all’insussistenza del fatto, intervenuto successivamente…, non rileva dunque ai fini dell’individuazione del termine per l’esercizio della potestà accertativa, trattandosi di giudizio, quest’ultimo, da compiere, da parte del giudice tributario, in via autonoma, ex ante e non ex post.”

Si è ancora aggiunto, al fine di chiarire i successivi interventi legislativi di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015 ed alla L. n. 208 del 2015 che “In tema di termini per l’accertamento tributario stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, (per le imposte sui redditi) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, (per l’IVA): a) il regime transitorio introdotto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2,comma 3, (in vigore dal 2 settembre 2015) non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, (in vigore dal 10 gennaio 2016); b) il primo regime transitorio (D.Lgs. n. 128 del 2015) stabilisce che del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2, non si applicano nè in relazione agli avvisi di accertamento, ai provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie ed agli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione agli inviti a comparire di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione ai processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano (L. n. 208 del 2015) disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2, disponendo che della L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130 e 131, non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d’imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui a detti periodi non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal D.Lgs. n. 128 del 2015”-(Cass. n. 26037/2016; conf. n. 11195/2017).

Orbene, nel caso di specie, il giudice di appello pur affermando che la sentenza di primo grado fosse da condividere risultando adeguatamente motivata sulla questione relativa all’intervenuta assoluzione, antecedente all’avviso e sull’assenza di denunzia, ha poi svolto integralmente le proprie argomentazioni sul rilievo che fosse necessario l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche sulla base di un non corretto richiamo della disciplina normativa sopravvenuta.

In questo modo la CTR non ha fatto corretta applicazione dei principi relativi alla non necessità dell’obbligo di denunzia per gli accertamenti omologhi a quello di cui qui di discute.

Ne consegue che la questione relativa agli effetti dell’assoluzione pronunziata in epoca antecedente all’avviso non ha costituito autonoma ratio decidendi della decisione, dovendo semmai essere esaminata dal giudice di rinvio, al quale spetterà di affrontare anche la questione della rilevanza di siffatta pronunzia in relazione al suo passaggio in giudicato al momento dell’emissione dell’accertamento.

Non può poi passare al vaglio di questa Corte la questione del raddoppio dei termini di accertamento con riferimento all’IRAP tardivamente posta dalla società in memoria.

Sulla scorta di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti dalla controricorrente, in accoglimento ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rrinvia ad altra sezione della CTR del Lazio anche per la liquida4ione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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