Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30966 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32326/2018 proposto da:

A.H., elettivamente domiciliato in Roma Via Ugo Ojetti 114

presso lo studio dell’avvocato Caputo Francesco Antonio,

rappresentato e difeso dall’avvocato Maradei Vincenzo;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2019 da Dott. GORI PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con decreto n. 5387 depositato in data 10.10.2018 nella controversia iscritta all’RGN 869/2018 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da A.H., nato a (OMISSIS), in impugnazione del provvedimento prefettizio di diniego notificatogli il 9.1.2018 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona. In particolare il ricorrente rendeva noto di temere che, ove fosse ritornato nel proprio Paese di origine, sarebbe stato ritenuto responsabile dell’uccisione di un amico avvenuta mentre si trovava ospite a casa sua, considerato che il padre del deceduto era un uomo influente. Chiedeva pertanto fosse dichiarato il suo diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o il diritto alla protezione sussidiaria o, in subordine, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

– Avverso la decisione il richiedente ha notificato in data 30.10.2018 ricorso, affidato a tre motivi, e il Ministero dell’Interno non si è difeso, rimanendo intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il richiedente denuncia l’erronea valutazione delle prove allegate dalle parti e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 laddove il Tribunale ha ritenuto mancante la prova del pericolo di vita in capo al richiedente per effetto del mancato riconoscimento della protezione richiesta, non solo valutando in modo incompleto e lacunoso le circostanze dedotte dal richiedente, ma anche non valutando la reale situazione del Paese di origine del migrante in adempimento dei propri poteri-doveri di collaborazione istruttoria.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, viene censurata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 per non aver il Tribunale di Venezia riconosciuto lo status di rifugiato, in presenza di fondato timore del ricorrente di subire una persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, qualora il richiedente fosse costretto a fare rientro nel suo Paese.

– I motivi, strettamente connessi, possono essere affrontati congiuntamente e sono destituiti di fondamento. La Corte rammenta che “Lo straniero non può ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato per il solo fatto che vi siano nel suo paese di origine aree o regioni insicure, qualora la regione o area da cui egli provenga sia immune da rischi di persecuzione.” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18540 del 10/07/2019, Rv. 654660 – 01);

– “In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto.” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019; Rv. 653608 – 01); conforme, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01).

– Nel caso di specie il giudicante non si è sottratto ai propri poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, e non ha omesso di valutare le condizioni socio-politiche della zona e del Paese d’origine del richiedente. Al contrario, il Tribunale ha innanzitutto minuziosamente riportato le dichiarazioni del richiedente, evidenziandone le incongruenze nel racconto (ad es. la casa che sarebbe stata bruciata per ritorsione dal padre del defunto, e presa in affitto dal richiedente, secondo le dichiarazioni precedenti dello stesso era solo una stanza), inve-rosimiglianze (il ricorrente si sarebbe dato alla fuga appena scoperto il decesso in assenza di elementi obiettivi che potessero ingenerare la sua responsabilità), imprecisioni (mai chiarito in cosa consistesse l’influenza esercitabile dal padre dell’amico deceduto, con accenno solo al fatto che sarebbe stato collegato alla polizia).

Si tratta di una valutazione di merito, motivata e supportata da specifiche fonti informative, tra cui le inverosimili, incongruenti e imprecise dichiarazioni dello stesso richiedente circa il fatto occorso, le quali secondo un iter motivazionale immune da vizi logici portano ad escludere l’esistenza di un fondato timore di persecuzione personale e diretta nel paese di origine a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale o per le opinioni politiche professate. Tale valutazione è stata operata in primo luogo sulla base del controllo di logicità del racconto del richiedente e, da un lato, l’accertamento effettuato dal giudice del merito a riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 dall’altro, il ricorrente non evidenzia elementi di fatto decisivi e contrari che possano far venir meno la logica conclusione del giudice del merito, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

In secondo luogo, il Tribunale si è fatto carico di valutare, sulla base delle attendibili fonti internazionali disponibili se la Nigeria, è interessata da conflitti armati, osservando che tale condizione sussiste per il (OMISSIS) e per il nord est del paese, quest’ultimo colpito da attacchi terroristici gravi, compiuti tra gli altri da (OMISSIS). Tuttavia, all’interno della Nigeria o non risulta secondo le fonti internazionali attendibili e conosciute spontaneamente reperite (il decreto cita UN High Commissioner for Refugees UNHCR e ACCORD – Austrian Centre for Country of Origin and Asylum Research and Documentation: Nigeria 2016, documento aggiornato al febbraio 2017) che nel meridionale (OMISSIS) da cui proviene il richiedente sussistano tali condizioni, nè il ricorso sostanzia la propria allegazione fornendo elementi di prova in tal senso.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h), e dell’art. 10 Cost., comma 3, oltre che art. 3 CEDU per violazione del principio di non refoulement, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

La sentenza censurata anche sotto il profilo oggetto dell’ultimo motivo è rispettosa dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, citando puntuali fonti aggiornate summenzionate ai fini della valutazione di eventuali profili di vulnerabilità generale, informazioni che si incrociano con la ritenuta non attendibilità delle dichiarazioni della richiedente circa la propria vicenda personale, dovendosi escludere che la regione, (OMISSIS) nigeriano, stia vivendo una situazione di diffusa e sistematica violenza di entità tale da rilevare ai fini del riconoscimento anche della protezione sussidiaria, nè sono evidenziati particolari profili di vulnerabilità personale. Inoltre, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455/2018), l’inserimento lavorativo, linguistico e affettivo del richiedente costituisce un fattore concorrente, ma non sufficiente da solo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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