Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30963 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 29/11/2018), n.30963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13232-2017 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CARLO BORGHI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 8978/9/2016 della COMMISSIONE TRIBITARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 22/12/2016; udita la relazione

della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

Fatto

RILEVATO

che P.R. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione del contribuente avverso una cartella di pagamento per imposta di successione, relativo all’anno 2008.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 325,326 e 327 c.p.c., nonchè D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, in relazione all’art. 360 cp.c., nn. 3 e 4: la CTR avrebbe dovuto rilevare l’inammissibilità dell’appello avversario, posto che, a fronte del deposito della sentenza di primo grado il 25 marzo 2015, la notifica del gravame era stata tentata il 20 ottobre 2015 ma non era stata portata a termine, senza che la responsabilità potesse essere attribuita al P. ed era stata nuovamente effettuata solo in data successiva al 24 agosto 2016, ossia a distanza di oltre dieci mesi;

che l’intimata non si è costituita;

che il motivo è fondato;

che l’esame del fascicolo di merito ha mostrato l’esattezza delle affermazioni del ricorrente, essendo in atti la prova delle due successive notificazioni intervenute a distanza di oltre dieci mesi;

che, in tema di notificazione di atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quali l’intervenuto mutamento del luogo in cui ha sede lo studio del procuratore costituito, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio (cfr. Sez. U, n. 14594 del 15/07/2016), di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie;

che, in particolare, appreso l’esito negativo della notifica dell’atto per causa a lui non imputabile, il richiedente ha l’onere e non la mera facoltà, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio in un tempo pari alla metà dei termini di cui all’art. 325 c.p.c., senza attendere un provvedimento giudiziale che autorizzi la rinnovazione, salvo circostanze eccezionali di cui va data prova rigorosa, sicchè, nel caso di mancata riattivazione, l’impugnazione va dichiarata inammissibile per omessa notifica (Sez. 5, n. 5974 del 08/03/2017);

che la sentenza impugnata va dunque cassata, con la coeva declaratoria di inammissibilità dell’appello;

che le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara l’inammissibilità dell’appello.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore del ricorrente, in Euro 2.500, oltre spese forfettarie in misura del 15%, con distrazione a favore del procuratore antistatario.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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