Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30961 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 27/11/2019), n.30961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19172/2018 proposto da:

F.Z.Z., rappresentato e difeso dall’avv. Dario Belluccio,

del foro di Bari, elettivamente domiciliato in Roma, viale Manzoni

n. 81;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto n. 2086/2018 del Tribunale di Milano, depositato

il 17/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/09/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

F.Z.Z., cittadino originario della Cina, propone ricorso per cassazione, con sei motivi, avverso il decreto del Tribunale di Milano che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione. Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto scarsamente credibile il racconto del richiedente, il quale ha riferito di essere perseguitato dalle autorità statali cinesi per il suo credo religioso, in quanto la narrazione risultava poco circostanziata, priva di riferimenti specifici e non verosimile; in particolare, appariva poco plausibile che la madre del richiedente, pur essendo stata ministro di culto per diversi anni non avesse mai avuto problemi con le autorità statuali.

Il tribunale ha escluso che nell’area geografica di provenienza fosse ravvisabile una situazione di violenza generalizzata o di conflitto interno o internazionale ed ha altresì respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di specifici elementi tali da evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) per violazione degli artt. 3,24,111 e 117 Cost., artt. 6 e 13 CEDU, per la previsione del rito camerale ex art. 737 c.p.c., con preclusione della possibilità per le parti di proporre appello o reclamo avverso il decreto di primo grado.

Tali questioni, come già affermato da questa Corte, con arresto cui il collegio intende dare senz’altro continuità, sono anzitutto irrilevanti ed inoltre manifestamente infondate (in tal senso Cass.17717/2018).

I dubbi di costituzionalità sollevati non hanno anzitutto una diretta incidenza sulla decisione adottata dal giudice di merito, la quale ha trovato fondamento non già nella disciplina introdotta nel D.L. n. 13 del 2017, conv. con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, bensì nella valutazione dei presupposti per l’attribuzione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria, rispetto alla quale la disciplina sopravvenuta non ha determinato alcun mutamento e non rileva in alcun modo; nè risulta che la decisione del tribunale che ha disatteso la domanda sia stata in alcun modo determinata o anche solo influenzata dalle modifiche introdotte dal nuovo rito: le questioni di costituzionalità sollevate dal ricorrente difettano dunque di rilevanza.

Esse sono anche manifestamente infondate.

Deve senz’altro rilevarsi che il rito camerale ex art. 737 c.p.c. è impiegato anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status” ed è idoneo a garantire l’adeguato dispiegarsi del contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza (Cass. 8046/2019), fermo restando che tale eventualità in materia di immigrazione è limitata alle sole ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua: in tal caso i diritti delle parti sono comunque garantiti dalla facoltà di depositare difese scritte.

Si osserva, inoltre, che il principio del doppio grado di giurisdizione è privo di copertura costituzionale, sicchè il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare esigenze specifiche, quale la celerità, ritenuta particolarmente rilevante nelle controversie in materia di protezione internazionale(Cass. 17717/18; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27700; Cass.6 dicembre 2018, n. 31481).

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, deducendo che il tribunale aveva erroneamente applicato, sotto molteplici profili, i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ai fini della valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del richiedente.

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, violando il canone dell’onere probatorio attenuato, che presidia la materia della protezione internazionale.

Il quarto motivo denuncia la nullità del decreto e del procedimento, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8 lamentando che il tribunale abbia trascurato la documentazione prodotta, dalla quale risulta la frequentazione della chiesa metodista da parte del ricorrente ed, in generale, la situazione di discriminazione e persecuzione religiosa in Cina.

Il quinto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamentando in particolare l’omessa motivazione sull’unica fonte di informazione del paese di origine individuata dalla Commissione territoriale e successivamente dal giudice, costituita dal Freedom House, Freedom in the world 2018 – China.

Il sesto motivo censura la statuizione che ha negato la protezione umanitaria, lamentando che la stessa sia fondata sull’erroneo presupposto della mancanza di ragioni di fragilità del richiedente.

I motivi, che, in ragione della loro connessione vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili, in quanto tendono, di fatto, a sollecitare un riesame, nel merito, sulla valutazione di credibilità del racconto del richiedente da parte del tribunale, valutazione che, in quanto fondata su motivazione logica, coerente e completa e conforme ai parametri valutativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 si sottrae a sindacato di legittimità.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito(Cass. 3340/2019).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato che la narrazione risultava poco coerente e priva di attendibilità, lacunosa e scarsamente verosimile, anche in relazione alle condizioni della presunta “conversione” ed alle stesse modalità con le quali il richiedente sarebbe entrato in contatto con la rete dei fedeli. Del pari in contrasto con la situazione di persecuzione della chiesa avventista, prospettata dal richiedente, il fatto che la madre abbia, per diversi anni, esercitato il ministero senza alcun problema con le autorità statali.

Risulta inoltre del tutto vago il racconto dei tentativi di sottrarsi all’arresto e la descrizione del periodo trascorso nel villaggio prima di fuggire.

Il tribunale ha altresì rilevato, sul piano delle generali condizioni del paese di origine, che il report di Freedom House sulla Cina non ha indicato la chiesa avventista come una di quelle vietate.

Quanto, infine, alla censura avverso il mancato riconoscimento della protezione umanitaria è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche su tale profilo, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Non risulta, inoltre, specificamente allegata una situazione di effettivo inserimento del richiedente nel tessuto socio-economico del nostro paese.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero non ha svdto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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