Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3096 del 11/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3096 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

SCALAMANDRE’ Liberata (SCL LRT 59T60 V3520), rappresentata
e difesa, per procura speciale a margine del ricorso,
dagli Avvocati Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio
Abbate, presso lo studio dei quali in Roma, Lungotevere
Michelangelo n. 9, è elettivamente domiciliato;
ricorrente

contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del
Presidente pro tempore;
– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma
depositato in data 15 maggio 2012.

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Data pubblicazione: 11/02/2014

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Ranieri Roda con delega;

generale Dott. Pierfelice Pratis, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto che, con ricorso depositato nel novembre 2003
presso la Corte d’appello di Roma, Scalamandrè Liberata
chiedeva la condanna della Presidenza del Consiglio dei
ministri al pagamento del danno non patrimoniale derivato
dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato
dinnanzi al TAR del Lazio, con ricorso depositato nel
giugno 1997 e deciso, dopo l’intervento della Corte
costituzionale, con sentenza depositata il 24 maggio 2002;
che l’adita Corte d’appello rigettava la
domanda;
che avverso il decreto il ricorrente proponeva ricorso
per cassazione, che veniva accolto con sentenza n. 23172
del 2007, avendo questa Corte ritenuto che la Corte
territoriale non poteva considerare complessa la causa
solo perché vi era stato un intervento della Corte
costituzionale, all’esito del quale la domanda era stata
accolta;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

che quindi il decreto impugnato veniva cassato con
rinvio alla medesima Corte d’appello per nuovo esame;
che, riassunto il giudizio nel 2008, la Corte
d’appello, con decreto depositato il 15 maggio 2012,

complessità del giudizio presupposto, per il quale la
durata di cinque anni doveva quindi ritenersi ragionevole;
che per la cassazione di questo decreto Scalamandrè
Liberata ha proposto ricorso sulla base di un unico
articolato motivo;
che l’intimata amministrazione non ha svolto difese.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con l’unico motivo di ricorso la ricorrente,
denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2
della legge n. 89 del 2001 nonché contraddittorietà e
illogicità della motivazione, censura il decreto impugnato
rilevando che la Corte d’appello ha ancora una volta
affermato la complessità della causa solo sul rilievo che
nel corso della stessa è stata sollevata una questione di
legittimità costituzionale, contraddittoriamente
precisando che per gli altri profili la causa stessa si
sarebbe avviata a rapida conclusione e che le parti non

rigettava la domanda, ribadendo la valutazione di

avevano in alcun modo concorso a determinare la durata
complessiva del giudizio di primo grado;
che il ricorso è fondato;
che, infatti, la questione di costituzionalità, da un

necessario per la risoluzione dell’incidente di
costituzionalità dal computo della durata del processo, e
dall’altro, non giustifica un’apodittica affermazione di
complessità della fattispecie in quanto nell’accertare la
violazione del termine di durata ragionevole del processo
il giudice deve considerare e valutare, motivatamente ed
unitariamente, non solo la complessità del caso ma anche
il comportamento delle parti, del giudice e di ogni altra
autorità che abbia concorso alla definizione del caso
secondo il dettato dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001
(Cass. n. 22257 del 2007; Cass. n. 6904 del 2008);
che, al contrario, la Corte d’appello di Roma, non
adeguandosi alle indicazioni contenute nella sentenza di
cassazione con rinvio, ha ritenuto la causa complessa
esclusivamente perché, ai fini della sua definizione, è
stato necessario sollevare un incidente di
costituzionalità, evidenziando, per il resto, come
esattamente sottolineato dal ricorrente, che gli altri
elementi di cui il giudice deve tenere conto ai sensi
dell’art. 2 della citata

legge

n. 89 del 2001 (e

lato, non comporta l’automatica esclusione del tempo

segnatamente il comportamento delle parti) non denotavano
alcuna anomalia, atteso che le parti si erano soltanto
avvalse di prerogative loro riconosciute dall’ordinamento;
che, dunque, il ricorso va accolto e il decreto

che, tuttavia, come peraltro già ritenuto da questa
Corte in controversie analoghe (Cass. n. 6904 e 6905 del
2008), dovendosi determinare in tre anni la durata
ragionevole del processo presupposto, ben può procedersi
alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art.
384 cod. proc. civ., nessun accertamento di fatto essendo
residuato alla cognizione di questa Corte;
che, quindi, considerato il periodo di irragionevole
durata del giudizio dinanzi al TAR, pari a circa 2 anni
(durata complessiva dal giugno 1997 al maggio 2002) e
detratto il triennio, ed individuato, in applicazione
dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del
ricorso impone di derogare

in nelius –

nella somma di

euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo il
parametro per indennizzare la parte del danno non
patrimoniale riportato nel processo presupposto, alla
ricorrente deve riconoscersi l’indennizzo complessivo di
Euro 1.500,00, oltre agli interessi legali con decorrenza
dalla domanda;

impugnato va cassato;

che la ricorrente ha altresì diritto alla rifusione
delle spese del giudizio di merito e di questa fase di
legittimità, liquidate come da dispositivo, con
distrazione in favore degli Avvocati Giovambattista

antistatari.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto
impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza
del Consiglio dei ministri al pagamento, in favore della
ricorrente, della somma, di euro 1.500,00, oltre agli
interessi legali dalla domanda al saldo; condanna inoltre
la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento
delle spese del giudizio di merito, che liquida in euro
806,00, di cui euro 50,00 per esborsi,euro 445,00 per
diritti ed euro 308,00 per onorari, oltre spese generali e
accessori di legge, e, quanto al giudizio di legittimità,
in euro 506,25 per compensi, oltre ad euro 100,00 per
esborsi e agli accessori di legge. Dispone la distrazione
delle spese del giudizio, come liquidate, in favore degli
Avvocati Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio
Abbate, antistatari
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 16
gennaio 2044.

Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisi

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