Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3096 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. III, 11/02/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. CHIARINI M. Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30707-2005 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CIMINO MAURO con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 552/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 22/06/2005; depositata il 01/10/2005; R.G.N. 762/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2009 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.-Con sentenza del 29 maggio 2001 il Tribunale di Fermo dichiarava la responsabilità di C.R., quale titolare dell’hotel (OMISSIS) per le lesioni patite da B.G., che ivi alloggiava, in occasione di un infortunio di cui era rimasto vittima il B. a seguito della rottura del lavabo della sua camera di albergo.

Il Tribunale condannava il C. al risarcimento dei anni ex art. 2051 c.c. liquidati nella somma di L. 69.700.000, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo e alle spese di lite.

2.-Avverso questa decisione proponeva appello il C., che deduceva il difetto di legittimazione passiva, dichiarandosi non titolare dell’albergo; la nullità della sentenza per avere l’attore realizzato una vera e propria mutatio libelli, avendo fondato l’originaria domanda di accertamento della responsabilità ex artt. 2043 e 2049 c.c., solo in sede conclusionale, aver chiesto l’applicazione dell’art. 2051 c.c. oltre censurare la sentenza in ordine al difetto del nesso eziologico tra l’illecito extracontrattuale e il danno subito e l’assoluta sproporzione del danno quantificato.

Resisteva all’appello il B., che dispiegava anche appello incidentale in relazione al mancato riconoscimento a suo favore degli interessi compensativi.

3.-La Corte di appello di Ancona con sentenza del 1 ottobre 2005 rigettava entrambi gli appelli e condannava l’appellante principale alle spese del giudizio.

Contro questa decisione propone ricorso per cassazione il C., affidandosi a tre motivi.

Non si è costituito l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto in particolare art. 75 c.p.c. e art. 2697 c.c. – omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi per la controversia – art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5) il ricorrente lamenta che non sia stato riconosciuto il proprio difetto di legittimazione passiva.

Ritiene il Collegio che la censura va disattesa.

Se è vero che il difetto di legittimazione passiva si traduce in una condizione dell’azione, per cui incombe all’attore dimostrare le circostanze idonee ad individuare nel convenuto il soggetto passivo del rapporto dedotto in giudizio (Cass. n. 3843/94, richiamata dal ricorrente, cui adde Cass. n. 5571/97), va posto in rilievo quanto segue.

Il giudice dell’appello ha valutato la dichiarazione versata in atti in data 25 giugno 1998 allegata al fascicolo di parte attrice e non disconosciuta, nella quale su carta intestata “albergo di C. R.” si afferma che il B., mentre utilizzava il lavabo, per l’improvvisa rottura dello stesso subiva lesioni alla mano destra.

Il giudice dell’appello, inoltre, prendeva atto della visura camerale, da cui risultava che titolare dell’albergo era il C., per cui non corrisponde al vero, atteso il mancato disconoscimento di quella dichiarazione e la presa d’atto della visura, che non vi sia alcuna prova che il medesimo C. non sia o non sia stato, all’epoca del fatto, titolare dell’albergo.

Ne consegue che nessun errore di diritto si rinviene nella sentenza impugnata, nè a maggior ragione alcun vizio di motivazione.

2.-Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare violazione del contraddittorio e mutatio libelli vietata, artt. 2049 e 2051 c.c. e art. 112 c.p.c.; omessa motivazione su punti decisivi della controversia – art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5), in estrema sintesi, il ricorrente si duole che il giudice dell’appello non abbia ravvisato nella domanda del B. una mutatio libelli.

Assume il ricorrente che, una volta proposta domanda per risarcimento danni ai sensi dell’art. 2043 c.c. ovvero dell’art. 2049 c.c. il giudice non avrebbe potuto e dovuto pronunciare condanna ex art. 2051 c.c..

Anche questo motivo va disatteso.

Infatti, in punto di fatto, il B. subiva lesioni personali alla mano destra mentre alloggiava nell’albergo di proprietà del C..

Il lavabo del bagno si era improvvisamente rotto, causandogli una profonda ferita alla mano destra, a seguito della quale si era dovuto sottoporre ad intervento chirurgico, con postumi che avevano ridotto permanentemente la propria efficienza psicofisica e la sua capacità lavorativa al 25%.

Nell’atto introduttivo il B. si era limitato ad esporre le modalità dell’evento occorsogli, per cui chiedeva il risarcimento “previe le declaratorie di responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale” (p. 6 sentenza impugnata).

Il giudice dell’appello ha ritenuto corretta la decisione di prime cure, premettendo che compete al giudice di qualificare la domanda proposta e che, fermi restando i fatti dedotti a fondamento della pretesa e la richiesta risarcitoria, la fattispecie si configurava come inquadrabile nell’ambito di operatività dell’art. 2051 c.c. piuttosto che in quella ex art. 2043 c.c. o art. 2049 c.c..

Pertanto, nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c. si rinviene nella sentenza impugnata, nè alcun vizio di motivazione su di un punto decisivo della controversia.

3.-Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto in particolare artt. 2049, 2051 e 2697 c.c. – carente motivazione su punti decisivi della controversia – art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5) il ricorrente si duole che una volta qualificata la domanda risarcitoria ex art. 2051 c.c., il giudice dell’appello abbia esonerato il B. da qualsiasi prova e ritenuto che il convenuto dovesse essere tenuto a fornire la prova del caso fortuito.

Osserva il Collegio che, come è noto, la responsabilità per cosa in custodia ha carattere oggettivo e perchè possa configurarsi è sufficiente che l’attore dimostri la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno concreto, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.

La responsabilità del custode è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento estraneo (Cass. n. 376/05), e dell’elemento liberatorio del caso fortuito deve fornire la prova il custode (Cass. n. 4279/08).

Nella specie, è incontroverso che la rottura del lavabo e le conseguenti lesioni, anche perchè richiamate nella dichiarazione su carta intestata dell’albergo, in cui figurava quale titolare il C., nonchè le dichiarazioni della moglie, la mancata risposta del C. all’interrogatorio formale regolarmente dedottogli (fatto probatorio, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 232 c.p.c. tale da indurre a ritenere ammessi i fatti che ne formano oggetto – Cass. n. 17249/03) assolvono tutti i principi della prova in tema di dimostrazione del nesso causale, mentre il C. non ha dimostrato il caso fortuito che si sarebbe verificato.

Infatti, oltre la mancata presenza all’interrogatorio, anche il mancato disconoscimento della dichiarazione costituisce elemento idoneo, inserito nella vicenda, a dimostrare la sussistenza del fatto lesivo, solo se si tiene conto che tale dichiarazione (non disconosciuta), pur non costituendo probatio piena in relazione al suo intrinseco contenuto, certamente attribuisce alla scrittura la caratteristica e l’efficacia di piena prova esclusivamente in ordine alla provenienza del documento da parte del suo sottoscrittore (Cass. n. 5/1998), senza che questi – nel caso il C. – si sia attivato nel dedurre e dimostrare con ogni mezzo, legalmente previsto, la non corrispondenza della dichiarazione alla verità (Cass. n. 9912/98).

Pertanto, contrariamente a quanto si deduce nel motivo (p. 5 ricorso) il giudice dell’appello, sotto il profilo dell’onere della prova (p. 6-7 sentenza impugnata) non ha violato alcuna norma, allorchè ha ritenuto che il danneggiato avesse dimostrato l’esistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il fatto dannoso, nonchè la presunzione di colpa in capo al C. (Cass. n. 20317/05), che, per contro, non ha dimostrato che l’evento si sia verificato per la condotta del B. o per la presenza di altri elementi idonei ad integrare il caso fortuito, quale elemento assolutamente imprevedibile ed eccezionale (Cass. n. 21684/05).

Conclusivamente, quindi, il ricorso va respinto, ma nulla va deciso per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla dispone per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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