Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30959 del 27/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30959 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: ROSSETTI MARCO

ORDINANZA

v,v

sul ricorso 24180-2015 proposto da:
MARCHINI SUSAN, elettivamente domiciliata in ROMA VIA
MONTE SANTO 2, presso lo studio dell’avvocato FULVIO
ROMEO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
NICOLA BUFFOLI;

– ricorrente contro
VINCENZI BARBARA, elettivamente domiciliata in ROl\L-k, VIA
ALBENGA 45, presso lo studio dell’avvocato RITA BRANDI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO

13.~; 2 ti (” CO L

– controricorrente avverso la sentenza n. 1232/2014 della CORTE D’APPELLO di
BRESCIA, depositata il 17/10/2014;

Data pubblicazione: 27/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 13/07/2017 dal Consigliere Dott. NL-kRCO
ROSSETTI.

Rilevato che:
nel 2007 Barbara Vincenzi convenne Susan Marchirii dinanzi al

(-) il 9.5.2003 acquistò da Giuseppe Sunseri un immobile sito a San
Benedetto Po, via Villa Garibaldi n. 163/L;
(-) Susan Marchini era stata la progettista e la direttrice dei lavori di
edificazione dell’immobile;
(-) l’immobile era stato edificato in difformità rispetto al progetto, ed
in particolare rispetto alle prescrizioni del regolamento d’igiene;
(-) per adeguare l’immobile alle prescrizioni normative l’attrice dovette
spendere la somma di euro 11.351;
chiese pertanto la condanna della convenuta al pagamento della
suddetta somma a titolo di risarcimento del danno aquiliano;
con sentenza 29.4.2010 n. 483 il Tribunale di Mantova rigettò la
domanda;
la Corte d’appello di Brescia, con sentenza 17.10.2014 n. 1232 (corretta
da errore materiale con decreto 17.11.2014), accolse il gravame di
Barbara Vincenzi e condannò Susan NIarchini a pagarle 7.354,72 curo,
oltre accessori;

per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che;
(a) le difformità tra l’immobile come realizzato e le previsioni di
progetto (consistenti nella realizzazione di tre finestre con misure
inferiori a quelle minime imposte dai regolamenti edilizi) dovevano
considerarsi “gravi difetti”, ai sensi dell’art. 1669 c.c.;

Ric. 2015 n. 24180 sez. M3 – ud. 13-07-2017
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Tribunale di Mantova, esponendo che:

(b) il progettista e direttore dei lavori risponde verso l’acquirente, al
pari del costruttore-venditore, dei gravi difetti dell’immobile, se da lui
non rilevati;
(c) Susan Marchini non aveva adeguatamente dimostrato di avere
segnalato al costruttore l’esistenza delle difformità;

Marchini, con ricorso fondato su tre motivi;
ha resistito Barbara Vincenzi con controricorso;

Considerato che:
col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. E’ denunciata, in particolare, la violazione
degli artt. 112, 157 e 244 c.p.c.;
deduce che la Corte d’appello ha erroneamente rilevato d’ufficio la
genericità dei capitoli di prova per testi articolati da Susan Marchini a
dimostrazione della propria diligenza professionale, e di conseguenza
rigettato quelle prove senza che l’attrice nulla avesse eccepito al
riguardo;
il motivo è tanto inammissibile quanto infondato;
in primo luogo, infatti, la Corte d’appello ha reputati generici i capitoli
dedotti dall’odierna ricorrente non solo per la mancata indicazione
delle date, ma anche del modo e del luogo in cui si svolsero i fatti, ed il
primo motivo di ricorso non sembra investire anche questa seconda
valutazione della Corte d’appello;
in ogni caso, il potere-dovere del giudice di valutare se i capitoli di
prova per testi richiesti dalle parti siano o meno ammissibili va
esercitato d’ufficio e non è affidato all’iniziativa di parte; tanto è
stabilito in modo inequivoco dall’articolo 187, settimo comma, c.p.c.
(nonché, in precedenza, dal testo oggi abrogato dell’articolo 184 c.p.c.),
Ric. 2015 n. 24180 sez. M3 – ud. 13-07-2017
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la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Susan

là dove stabilisce che il giudice, dopo aver fissato le parti il termine per
le richieste istruttorie, fissa l’udienza per l’assunzione dei mezzi di
prova “ritenuti ammissibili e rilevanti”; tale principio è stato reiteratamente
affermato ed è del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte
(Sez. 1, Sentenza n. 4099 del 22/04/1998; Sez. 1, Sentenza n. 2935 del

Sentenza n. 611 del 27/01/1981);
infine, varrà la pena soggiungere che in materia di prove la conclusione
appena esposta è dettata dai principi generali e dalla logica, prima
ancora che dal diritto: una prova generica è infatti una prova inutile, e
se fosse inibito al giudice rilevarne d’ufficio la genericità, si
perverrebbe all’assurdo di consentire che istruttorie vane e sesquipedali
rallentino senza frutto lo svolgimento del processo, con nocumento al
principio costituzionale di ragionevole durata dei giudizi;
col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di nullità
processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.;
deduce, al riguardo, che la sentenza sarebbe affetta da violazione
dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., a causa della sua motivazione
“insufficiente ed illogica”, nella parte in cui ha rigettato per genericità
le istanze istruttorie da lei formulate;
il motivo è inammissibile;
parte ricorrente, infatti, mostra di ritenere che il vizio di insufficiente
od illogica motivazione, un tempo denunciabile col ricorso per
cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., nonostante la modifica di
tale norma possa ancora essere dedotto in sede di legittimità,
semplicemente mutando il riferimento normativo (ovvero sostenendo
che una motivazione insufficiente costituisca, di per sé, violazione
dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.);

Ric. 2015 n. 24180 sez. M3 – ud. 13-07-2017
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20/03/1998; Sez. 1, Sentenza n. 1315 del 20/02/1996; Sez. 3,

tale assunto è erroneo, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa
Corte: infatti il vizio di insufficiente, illogica o contraddittoria
motivazione, quale motivo di ricorso per cassazione, è stato espunto
dall’ordinamento dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella
legge 7 agosto 2012, n. 134, ed i difetti della motivazione possono

quando una motivazione manchi del tutto sinanche “come segno
grafico”, ovvero quando sia così oscura da riuscire assolutamente
incomprensibile (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014);
non sarà superfluo aggiungere, tuttavia, che la prova richiesta dalla
ricorrente; quale che fosse il giudizio che si volesse dare sulla sua
specificità o genericità, era sicuramente irrilevante: quella prova, infatti,
aveva ad oggetto la circostanza che il direttore dei lavori avesse
informato il committente delle irregolarità, ma il direttore dei lavori
non si esime da responsabilità sol perché abbia informato il
committente dell’esistenza di difformità; si esime solo rifiiatando di
sottoscrivere il collaudo finale;
col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di nullità
processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.;
deduce che Barbara Vincenzi invocò in appello la responsabilità del
direttore dei lavori ai sensi dell’art. 1669 c.c., deduzione alla quale
l’appellata reagì eccependo la prescrizione dal diritto alla garanzia, per
il decorso di oltre un anno dalla denuncia dei vizi, ai sensi dell’art.
1669, comma secondo, c.c.; la Corte d’appello, tuttavia, aveva omesso
di pronunciarsi su tale eccezione;
il motivo è fondato;
la Corte d’appello ha ritenuto di inquadrare la responsabilità del
direttore dei lavori verso l’acquirente dell’immobile, per omesso rilievo
di difformità progettuali, nel paradigma dell’art. – 1669 c.c.: tanto si
Ric. 2015 n. 24180 sez. M3 – ud. 13-07-2017
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oggidì ancora essere censurati in sede di legittimità solo in due casi: o

afferma a p. 14, primo e secondo capoverso, della sentenza impugnata,
con argomentazione proseguita poi a p. 15;
giusto o sbagliato che fosse, tale inquadramento non ha formato
oggetto di impugnazione: né principale, né incidentale condizionata;
una volta ritenuto dalla Corte d’appello_ che la responsabilità del

rilievo di difformità progettuali, fosse disciplinata dalle regole dettate
dall’art. 1669 c.c., per logica conseguenza la Corte d’appello avrebbe
dovuto applicare tutte le regole ivi previste: e dunque anche quelle sulla
prescrizione annuale, a fronte dell’eccezione sollevata dall’appellata;
la sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di
Brescia, affinché si pronunci sull’eccezione di prescrizione sollevata da
Susan Marchini;
le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice
del rinvio;

P. q.m.
(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione,
cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
civile della Corte di cassazione, addì 13 luglio 2017.

direttore dei lavori verso l’acquirente dell’immobile, nel caso di omesso

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