Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30951 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 29/11/2018), n.30951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20555-2017 proposto da:

D.A. in proprio e nella qualità di legale rappresentante

pro tempore della Società LOG IN GROUP CONSULTING SRL,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI 60,

presso lo studio dell’avvocato DARIO BOLOGNESI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

LOG IN SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 358/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Firenze, in accoglimento della domanda proposta da D.A. e Log In Group Consulting s.r.l., nella qualità, rispettivamente, di titolare e di licenziataria di un marchio, accertava la contraffazione di esso da parte della convenuta Log In s.r.l. e condannava la stessa al risarcimento del danno. Rilevava il Tribunale che le imprese operavano nel medesimo settore merceologico del trasporto dell’imballaggio e che l’attrice aveva registrato il proprio marchio il 18 novembre 2010: il segno distintivo in questione doveva poi considerarsi marchio forte in quanto non presentava alcuna aderenza concettuale all’attività svolta dagli aventi diritto.

2. – La Corte di appello, pronunciando sul gravame contro la detta sentenza, ne operava la riforma e rigettava la domanda degli originari attori.

3. – D. e Log In Group Consulting hanno proposto ricorso per cassazione: l’impugnazione si affida a tre motivi. L’intimata Log In non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione del c.p.i. (D.Lgs. n. 30 del 2005), art. 20, comma 1, lett. b), “per aver errato nella applicazione della norma che disciplina la fattispecie, qualificando il marchio di cui è controversia come “debole” anzichè “forte” e per aver conseguentemente negato la confondibilità fra i marchi relativamente ai quali è causa”.

Osservano i ricorrenti che il marchio fondato sulla locuzione “log in” doveva considerarsi forte, in quanto costituito da un neologismo sufficientemente distintivo evocante un metodo efficiente di trasporto.

Col secondo mezzo è dedotta la violazione del c.p.i., art. 20, comma 1, lett. b), per aver la Corte di appello “errato l’interpretazione della disposizione, rendendo un giudizio qualitativo sul marchio e non sul concetto di identità, di similitudine e di confusione previsto dalla norma”. Rilevano gli istanti che non sarebbe possibile enucleare due categorie separate di segni forti e di segni deboli e che non sarebbe corretto “incasellare i segni oggetto di giudizio nell’una o nell’altra categoria, facendo da ciò dipendere l’esito del giudizio di confondibilità, dovendosi al contrario procedere caso per caso”. Ad avviso dei ricorrenti, ove la Corte di appello avesse proceduto a un giudizio comparativo dei segni in conflitto, avendo anche riguardo al nucleo caratterizzante, avrebbe dovuto rilevare che in entrambi era presente l’elemento distintivo “log in”.

Col terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, avendo il giudice distrettuale “ritenuto che la natura di marchio debole escludesse la contraffazione in caso di differenze lievi tra i marchi e per aver erroneamente considerato che il sostantivo “Group” contribuisse a differenziare i due segni”. Osservano, in contrario, gli istanti che detta aggiunta non valeva ad evitare la confusione tra i segni e che, anche se il marchio è da considerarsi debole, è necessario utilizzare i parametri della confondibilità analoghi a quelli impiegati allorquando ci si riferisce ai marchi forti.

2. – Reputa il Collegio che i tre motivi posti a fondamento del ricorso non abbiano fondamento.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, sono considerati marchi “deboli” quelli che risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata, la fantasia che li ha concepiti, oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l’uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo (in termini: Cass. 25 gennaio 2016, n. 1267, ove il richiamo a Cass. 26 giugno 1996, n. 5924). La “debolezza” del marchio non incide, come è risaputo, sulla sua attitudine alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio “forte”, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (ex plurimis: Cass. 18 giugno 2018, n. 15927; Cass. 24 giugno 2016, n. 13170; Cass. 25 gennaio 2016, n. 1267 cit.; Cass. 26 giugno 2007, n. 14787). E’ dunque da disattendere l’assunto posto a fondamento del secondo motivo.

A ben vedere, poi, ad avviso della Corte, il primo motivo sfugge al sindacato di legittimità, in quanto si risolve in una censura che, per come formulata, investe, in via diretta, l’accertamento di fatto del giudice del merito. La ricorrente articola infatti la propria doglianza sottolineando in più punti come al segno da essa adottato dovesse conferirsi una rilevante attitudine distintiva. Ma il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).

Va parimenti disatteso il terzo motivo. Secondo l’orientamento richiamato in precedenza, che è largamente prevalente, la confondibilità del marchio debole con altro segno distintivo è scongiurata anche da lievi modificazioni o aggiunte. Rettamente, pertanto, la Corte di merito ha conferito rilievo all’adozione di modificazioni, pur non particolarmente consistenti, idonee a differenziare efficacemente, a suo avviso, i segni in conflitto e ad escludere, quindi, l’effetto confusorio. L’accertamento della confondibilità tra i segni, poi, sfugge, come è noto, al sindacato della Corte di cassazione (Cass. 13 marzo 2017, n. 6382): nè la motivazione della Corte di merito può ritenersi affetta da alcuni dei vizi radicali (per cui cfr. Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 e Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054) che assumono oggi rilievo in questa sede di legittimità.

3. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali, stante la mancata resistenza dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 quater, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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