Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30951 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 27/11/2019), n.30951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23442-2018 proposto da:

H.A., rappresentato e difeso dall’avvocato ROSALIA BENNATO e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2578/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento notificato il 12.1.2016 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, sezione di Forlì-Cesena, respingeva l’istanza dell’odierno ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria o in subordine quella umanitaria.

Con ordinanza del 7.3.2017, comunicata a mezzo di posta elettronica certificata in data 8.3.2017 il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione proposta da H.A. contro il provvedimento reiettivo della Commissione territoriale.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 2578/2018, la Corte di Appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta da H.A. avverso la decisione di prime cure, ritenendo in particolare che la condizione del Paese di origine del richiedente la protezione (Bangladesh) non evidenziasse uno stato di violenza indiscriminata idoneo a mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dei cittadini e che il racconto del richiedente la protezione non dimostrasse alcuna condizione di vulnerabilità nè alcun profilo di inserimento nel contesto sociale italiano.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione H.A. affidandosi ad un unico motivo.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14 nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di valutare la sua condizione di vulnerabilità tenendo conto della situazione effettiva del suo Paese di origine. Ad avviso del ricorrente, il Bangladesh sarebbe interessato da una escalation di episodi di violenza e terrorismo, evidenziata in particolare da un articolo edito sul quotidiano “Il Corriere della Sera” del 2.7.2016, secondo il quale “Il Bangladesh rischia di trasformarsi in un altro Afghanistan” (cfr. pag. 5 del ricorso). La Corte milanese, quindi, avrebbe dovuto comparare le condizioni di vita godute dal ricorrente in Italia con quelle, certamente deteriori, alle quali sarebbe sottoposto in caso di rimpatrio, e comunque condurre approfondimenti istruttori sul trattamento disumano cui il ricorrente stesso sarebbe stato assoggettato in Libia, indicata nel ricorso come Paese di transito.

Il motivo è infondato.

Ed invero la Corte di Appello ha – al contrario di quanto affermato dal ricorrente – dato atto delle condizioni interne del Paese di provenienza, ritenendo che pur in presenza di un generale quadro di precarietà, dovuto anche ad alcuni atti terroristici, non si potesse ravvisare un rischio di attentati nella zona di origine del richiedente la protezione e, in generale, una condizione di conflitto interno o internazionale tale da determinare uno stato di violenza indeterminata e diffusa idoneo a costituire pericolo per la sopravvivenza dei cittadini (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

Il giudice di merito ha anche affrontato la valutazione comparativa tra la condizione personale del ricorrente, rispettivamente in Italia e in Bangladesh, dando atto che i seri motivi per il riconoscimento della protezione umanitaria possono essere ravvisati solo laddove risulti una incolmabile sproporzione tra i due contesti, tale da esporre i diritti fondamentali dell’individuo ad un concreto rischio di compressione (cfr. pag. 4, nella parte conclusiva) e ritenendo che nel caso di specie il ricorrente non avesse adeguatamente dimostrato un effettivo percorso di integrazione sociale in Italia, non essendo a tal fine sufficiente la sola allegazione di avere un lavoro, ancorchè parzialmente attestata dalla documentazione versata in atti di causa, e non essendosi il richiedente la protezione presentato in udienza per essere nuovamente sentito, in tal modo omettendo di aggiungere eventuali ulteriori elementi di fatto a sostegno della propria proclamata integrazione nel tessuto sociale nazionale.

Inoltre, è opportuno rilevare che la sentenza impugnata dà anche atto che il ricorrente aveva dichiarato di essersi allontanato dal Bangladesh non per effetto della situazione interna di quel Paese, bensì in quanto con la sua attività di driver non riusciva ad assicurare condizioni di vita adeguate alla propria famiglia, e quindi in ultima analisi per motivazioni essenzialmente economiche (cfr. pag. 3 della decisione).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.100 oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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