Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30950 del 27/12/2018

Cassazione civile, sez. II, 27/12/2017, (ud. 24/10/2017, dep.27/12/2017),  n. 30950

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

F.O. e C.S. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Firenze – Sezione Distaccata di Empoli Ci.Fr. e A.P., assumendo che il quartiere per civile abitazione, loro venduto dai convenuti con contratto del 20.12.1991, avendo un’altezza inferiore ai minimi di legge, era privo dei requisiti di legge per il rilascio della licenza di abitabilità e, conseguentemente, incommerciabile e privo di valore. Avanzavano, quindi, domanda risarcitoria, chiedendo che i convenuti venissero condannati per inadempimento contrattuale a pagare, in loro favore, una somma pari al valore dell’immobile o delle opere necessarie per la sua riconduzione a legittimità.

Si costituivano in giudizio i convenuti, sostenendo che: l’immobile era stato trasferito in proprietà agli attori in regola con le norme amministrative ed urbanistiche e con certificato di abitabilità regolarmente rilasciato dal Comune di Vinci; anche nell’ipotesi in cui il quartiere non avesse avuto i requisiti minimi di altezza richiesti dalla normativa urbanistica, i compratori non avevano subito alcun danno, essendo gli stessi in possesso della licenza di abitabilità; comunque, la fattispecie non integrava l’ipotesi di consegna di aliud pro alio e, pertanto, gli attori erano decaduti dall’azione promossa ex art. 1495 c.c.; in ogni caso, il diritto dei compratori al risarcimento del danno si era estinto per prescrizione decennale.

Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, con la quale veniva accertato che una porzione dell’immobile (pranzo-soggiorno di mq 45 circa) aveva un’altezza di mt. 2,68 anzichè di mt. 2,70 previsti dal Regolamento Edilizio del Comune di Vinci, e venivano quantificati i danni subiti dai compratori in complessivi Euro 16.584,90, il giudice adito, con sentenza del 07.01.2008, rigettava la domanda attorea, con condanna alle spese del grado di giudizio. Avverso la sentenza proponevano appello F.O. e C.S., censurandola per violazione e mancata applicazione degli artt. 1453 e 1218 c.c. e per erronea e omessa motivazione e sostenendo che l’assenza dei requisiti di abitabilità costituiva un grave inadempimento da parte dei venditori, integrando gli estremi di una vendita di aliud pro alio e stante la incommerciabilità dell’immobile compravenduto.

Si costituivano le originarie parti convenute, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado o, in subordine, di essere condannanti a pagare agli appellanti la somma ritenuta di giustizia in via equitativa e, comunque, inferiore a quella di Euro 16.696,35 da questi ultimi richiesta.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 28.1.2013, rigettava l’appello sulla base, per quanto ancora qui rileva, delle seguenti considerazioni:

1) sebbene l’immobile compravenduto presentasse una difformità, accertata in sede tecnica e relativa all’altezza di una parte dei locali interni (circa 45 mq.), di due centimetri (268 cm, anzichè 270 cm., come richiesto dalle Autorità amministrative per il rilascio della certificazione di abitabilità), la circostanza che quest’ultima fosse stata comunque concessa dal Comune di Vinci, e mai revocata, escludeva che potesse parlarsi di vendita di aliud pro alio;

2) avuto riguardo alla domanda risarcitoria ex art. 1218 c.c., una volta esclusa la fattispecie della vendita di aliud pro alio, nessun dubbio poteva sussistere sulla maturata decadenza delle parti attrici dalla denuncia del vizio lamentato, in base al disposto dell’art. 1495 c.c., atteso che la compravendita era avvenuta in data 20 dicembre 1991, il certificato di abitabilità era stato rilasciato nel 2000 e la citazione contenente la domanda risarcitoria era stata notificata il 5 dicembre 2001.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso F.O. e C.S., sulla base di un unico complesso motivo. Ci.Fr. e A.P. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1453, art. 1477, comma 3 (anche in relazione al D.M. 5 luglio 1975, attuativo del R.D. n. 1265 del 1934, ed alle disposizioni in materia di conformità edilizia di cui alle L. n. 47 del 1985 e L. n. 380 del 2001), e art. 1495 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per non aver la corte territoriale considerato che la difformità concernente l’altezza minima per locali abitabili, esistente al momento della compravendita, non era mai stata sanata, che il certificato di abitabilità era stato conseguito dai venditori rappresentando al Comune uno stato di fatto diverso da quello effettivo (altezza dei vani di cm. 270, anzichè di cm. 268; cfr. la variante in corso d’opera a firma di Ci.Fr. e la planimetria in sezione allegata alla c.t.u.), che, in ogni caso, l’avvenuto rilascio del detto documento non poteva di per sè far ritenere legittimo l’immobile alienato e che, pertanto, si era in presenza di una vendita di aliud pro alio, come tale svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c..

1.1. Il motivo è, per quanto di ragione, fondato.

Il rilascio del certificato di abitabilità, già nel regime dell’art. 221 del Testo unico delle leggi sanitarie e del D.P.R. n. 425 del 1994, art. 4, ed ora nel regime del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 24 e 25, è condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità edilizia dell’opera, sicchè, attesa la presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni, senza necessità – per il contraente obbligato a far constare la loro esistenza – di produrre un certificato ulteriore (Sez. 2, Sentenza n. 17498 del 12/10/2012).

Pertanto, essendosi al cospetto di una presunzione relativa di legittimità, è possibile in sede civile offrire la prova contraria.

Il rilascio del certificato di abitabilità, infatti, costituisce una circostanza che, essendo sintomatica dell’insussistenza di un impedimento assoluto al suo rilascio e documentando la conformità dell’immobile alle norme igienico-sanitarie ed urbanistiche e alle prescrizioni della concessione, deve essere esaminata dal giudice, unitamente alle altre prospettate dalle parti, nella valutazione della gravità, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, dell’inadempimento costituito dalla mancata consegna del detto certificato al compratore.

In sostanza, il successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude che la vendita dell’immobile che al momento del contratto ne sia privo possa essere configurata come una ipotesi di vendita di aliud pro alio.

Nel caso di specie, la corte territoriale ha omesso di valutare la variante in corso d’opera a firma di Ci.Fr. e del suo tecnico geom. V.V. e la planimetria in sezione allegata alla c.t.u., dalle quali si evince che i vani interni erano stati indicati, all’atto di chiedere il rilascio del certificato di agibilità, dell’altezza di cm. 270, in luogo di quella reale di cm. 268, e, dunque, rappresentando di fatto all’ente pubblico una situazione dei luoghi difforme rispetto a quella reale.

Costituisce una circostanza pacifica quella, riscontrata in sede di c.t.u., della difformità relativa all’altezza di una parte (circa 45 mq.) dei locali interni, che è risultata essere pari a cm. 268, anzichè a quella, prescritta ai fini del rilascio della certificazione di abitabilità, di cm. 270 (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

Essendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini non solo del legittimo godimento (in relazione al cui profilo rileva l’utilizzo effettivo del bene), ma anche della normale commerciabilità del bene (con riferimento al quale è irrilevante la concreta utilizzazione fattane), è evidente che, pur in sua presenza, ma in difetto dei requisiti minimi di altezza, va esclusa in modo significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative dell’acquirente, essendo il cespite oggettivamente inidoneo ad assolvere alla sua funzione economico-sociale.

Si è, quindi, al cospetto, sia di una violazione dell’art. 1495 c.c., avendo la corte territoriale erroneamente escluso la configurabilità di una vendita di aliud pro alio per il solo fatto che fosse stato rilasciato il certificato di abitabilità e lo stesso non fosse stato medio tempore revocato, sia dell’omesso esame di un fatto storico decisivo ai fini della decisione (identificabile nell’aver il tecnico nominato dal Ci. rappresentato graficamente, in occasione della richiesta di rilascio del certificato uno stato dei luoghi difforme rispetto a quello reale),

Non essendovi sulla questione specifica precedenti editi, è opportuno, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, enunciare i seguenti principi di diritto:

1) come nel caso in cui ricorrano le condizioni per l’ottenimento del certificato di abitabilità, il suo (attuale) mancato rilascio non determina di per sè un inadempimento e non giustifica, per l’effetto, la risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danni, alla stessa stregua, e in senso opposto, la presenza formale del documento, ma, al contempo, di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche, integra gli estremi di un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, da qualificarsi grave in relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell’immobile;

2) la mancata consegna del certificato di abitabilità implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il rilascio di una licenza di abitabilità illegittima andrebbe equiparato al mancato rilascio della steste ed integra inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, come tale non soggetto ai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c., adducibile da parte del compratore anche come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene (Sez. 2, Sentenza n. 1514 del 26/01/2006).

Integra, infatti, l’ipotesi di consegna di aliud pro alio l’insussistenza delle condizioni necessarie per ottenere il certificato a causa della presenza di insanabili violazioni della legge urbanistica.

2. La sentenza va, quindi, cassata con rinvio, anche per la pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, affinchè valuti se, sulla base dei documenti sopra indicati, sia configurabile una irregolarità urbanistica (concernente i limiti minimi, inderogabili, di altezza dei vani interni di un immobile adibito ad abitazione) irreversibile e, dunque, una vendita di aliud pro alio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche ai fini della pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2017

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