Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30950 del 27/12/2017


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 30950 Anno 2017
Presidente: MATERA LINA
Relatore: PENTA ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6540/2014 R.G. proposto da
FLACCO ORAZIO, nato a Ruvo di Puglia (BA) il 9.3.1951 (C.F.:
FLCRZ051C09H645G), e CANTATORE SAVINA, nata a Ruvo di
Puglia (BA) il 5.8.1954 (C.F.: CNTSVN54M45H645I), entrambi
residenti in 50059 Vinci, alla via Limitese n. 19, rappresentati e
difesi, come da mandato a margine del ricorso, dall’Avv. Franco
Berti (C.F.: BRTFNC46M17M059S) e dall’Avv. Claudia Neri (C.F.:
NRECLD62L53C529W9), ed elettivamente domiciliati in Roma, alla
via Pompeo Magno n. 3, presso lo studio dell’Avv. Saverio Gianni
(C.F.: ENNSVR55A 14H199D), che li rappresenta e difende
unitamente e disgiuntamente a loro;
– ricorrenti contro
CIOFI FRANCO, nato a San Miniato (PI) il 30.4.1941 (C.F.:
CFIFNC41D30I406B), e ALDERIGHI PIERA, nata a Empoli (FI) il
19.1.1946 (C.F.: LRDPRI46A59D403D), entrambi residenti in

Data pubblicazione: 27/12/2017

Spicchio-Vinci (FI), alla via Carducci n. 15, elettivamente domiciliati
in Roma, alla Via Di S. Melania n. 15, presso lo studio dell’Avv.
Antonio Ricciulli (C.F.: RCCNTN61B16H501D), che li rappresenta e
difende, unitamente all’Avv. Piero Ristori (C.F.:
RSTPRI49A06D403U) del Foro di Firenze, in forza di procura
speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –

depositata il 28/01/2013 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2017
dal Consigliere Andrea Penta;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore generale Corrado Mistri, che ha chiesto il
rigetto del ricorso.

Considerato in fatto
Fiacco Orazio e Cantatore Savina convenivano in giudizio davanti al
Tribunale di Firenze – Sezione Distaccata di Empoli Ciofi Franco e
Alderighi Piera, assumendo che il quartiere per civile abitazione,
loro venduto dai convenuti con contratto del 20.12.1991, avendo
un’altezza inferiore ai minimi di legge, era privo dei requisiti di
legge per il rilascio della licenza di abitabilità e, conseguentemente,
incommerciabile e privo di valore. Avanzavano, quindi, domanda
risarcitoria, chiedendo che i convenuti venissero condannati per
inadempimento contrattuale a pagare, in loro favore, una somma
pari al valore dell’immobile o delle opere necessarie per la sua
riconduzione a legittimità.
Si costituivano in giudizio i convenuti, sostenendo che: l’immobile
era stato trasferito in proprietà agli attori in regola con le norme
amministrative ed urbanistiche e con certificato di abitabilità
regolarmente rilasciato dal Comune di Vinci; anche nell’ipotesi in
cui il quartiere non avesse avuto i requisiti minimi di altezza
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avverso la sentenza n. 161/2013 della Corte d’appello di FIRENZE

richiesti dalla normativa urbanistica, i compratori non avevano
subito alcun danno, essendo gli stessi in possesso della licenza di
abitabilità; comunque, la fattispecie non integrava l’ipotesi di
consegna di aliud pro alio e, pertanto, gli attori erano decaduti
dall’azione promossa ex art. 1495 c.c.; in ogni caso, il diritto dei
compratori al risarcimento del danno si era estinto per prescrizione
decennale.

accertato che una porzione dell’immobile (pranzo-soggiorno di mq
45 circa) aveva un’altezza di mt. 2,68 anziché di mt. 2,70 previsti
dal Regolamento Edilizio del Comune di Vinci, e venivano
quantificati i danni subiti dai compratori in complessivi euro
16.584,90, il giudice adìto, con sentenza del 07.01.2008, rigettava
la domanda attorea, con condanna alle spese del grado di giudizio.
Avverso la sentenza proponevano appello Fiacco Orazio e Cantatore
Savina, censurandola per violazione e mancata applicazione degli
artt. 1453 e 1218 c.c. e per erronea e omessa motivazione e
sostenendo che l’assenza dei requisiti di abitabilità costituiva un
grave inadempimento da parte dei venditori, integrando gli estremi
di una vendita di aliud pro alio e stante la incommerciabilità
dell’immobile compravenduto.
Si costituivano le originarie parti convenute, chiedendo la conferma
della sentenza di primo grado o, in subordine, di essere
condannanti a pagare agli appellanti la somma ritenuta di giustizia
in via equitativa e, comunque, inferiore a quella di euro 16.696,35
da questi ultimi richiesta.
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 28.1.2013,
rigettava l’appello sulla base, per quanto ancora qui rileva, delle
seguenti considerazioni:
1)

sebbene l’immobile compravenduto presentasse una

difformità, accertata in sede tecnica e relativa all’altezza di una
parte dei locali interni (circa 45 mq.), di due centimetri (268 cm,
anziché 270 cm., come richiesto dalle Autorità amministrative per il
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Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, con la quale veniva

rilascio della certificazione

di abitabilità), la circostanza che

quest’ultima fosse stata comunque concessa dal Comune di Vinci, e
mai revocata, escludeva che potesse parlarsi di vendita di aliud pro
alio;
2)

avuto riguardo alla domanda risarcitoria ex art. 1218 c.c.,

una volta esclusa la

fattispecie della vendita di aliud pro alio,

nessun dubbio poteva sussistere sulla maturata decadenza delle

dell’art. 1495 c.c., atteso che la compravendita era avvenuta in
data 20 dicembre 1991, il certificato di abitabilità era stato
rilasciato nel 2000 e la citazione contenente la domanda risarcitoria
era stata notificata il 5 dicembre 2001.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Fiacco
Orazio e Cantatore Savina, sulla base di un unico complesso
motivo. Ciofi Franco e Alderighi Piera hanno resistito con
controricorso.
Ritenuto in diritto
1. Con l’unico motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa
applicazione degli artt. 1218, 1453, 1477, co. 3 (anche in relazione
al d.m. 5.7.1975, attuativo del r.d. n. 1265/34, ed alle disposizioni
in materia di conformità edilizia di cui alle leggi nn. 47/1985 e
380/2001), e 1495 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5,
c.p.c.), per non aver la corte territoriale considerato che la
difformità concernente l’altezza minima per locali abitabili,
esistente al momento della compravendita, non era mai stata
sanata, che il certificato di abitabilità era stato conseguito dai
venditori rappresentando al Comune uno stato di fatto diverso da
quello effettivo (altezza dei vani di cm. 270, anziché di cm. 268;
cfr. la variante in corso d’opera a firma di Ciofi Franco e la
planimetria in sezione allegata alla c.t.u.), che, in ogni caso,
l’avvenuto rilascio del detto documento non poteva di per sé far
ritenere legittimo l’immobile alienato e che, pertanto, si era in
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parti attrici dalla denuncia del vizio lamentato, in base al disposto

presenza di una vendita di aliud pro alio, come tale svincolata dai
termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c..
1.1. Il motivo è, per quanto di ragione, fondato.
Il rilascio del certificato di abitabilità, già nel regime dell’art. 221
del Testo unico delle leggi sanitarie e dell’art. 4 del d.P.R. n. 425
del 1994, ed ora nel regime degli artt. 24 e 25 del d.P.R. n. 380 del
2001, è condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma

presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, col
rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi verificate,
salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni, senza
necessità – per il contraente obbligato a far constare la loro
esistenza – di produrre un certificato ulteriore (Sez. 2, Sentenza n.
17498 del 12/10/2012).
Pertanto, essendosi al cospetto di una presunzione relativa di
legittimità, è possibile in sede civile offrire la prova contraria.
Il rilascio del certificato di abitabilità, infatti, costituisce una
circostanza che, essendo sintomatica dell’insussistenza di un
impedimento assoluto al suo rilascio e documentando la conformità
dell’immobile alle norme igienico-sanitarie ed urbanistiche e alle
prescrizioni della concessione, deve essere esaminata dal giudice,
unitamente alle altre prospettate dalle parti, nella valutazione della
gravità, sotto il profilo qualitativo e quantitativo,
dell’inadempimento costituito dalla mancata consegna del detto
certificato al compratore.
In sostanza, il successivo rilascio del certificato di abitabilità
esclude che la vendita dell’immobile che al momento del contratto
ne sia privo possa essere configurata come una ipotesi di vendita di
aliud pro alio.
Nel caso di specie, la corte territoriale ha omesso di valutare la
variante in corso d’opera a firma di Ciofi Franco e del suo tecnico
geom. Valerio Vignozzi e la planimetria in sezione allegata alla
c.t.u., dalle quali si evince che i vani interni erano stati indicati,
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anche alla conformità edilizia dell’opera, sicché, attesa la

all’atto di chiedere il rilascio del certificato di agibilità, dell’altezza di
cm. 270, in luogo di quella reale di cm. 268, e, dunque,
rappresentando di fatto all’ente pubblico una situazione dei luoghi
difforme rispetto a quella reale.
Costituisce una circostanza pacifica quella, riscontrata in sede di
c.t.u., della difformità relativa all’altezza di una parte (circa 45
mq.) dei locali interni, che è risultata essere pari a cm. 268,

abitabilità, di cm. 270 (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Essendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale
ai fini non solo del legittimo godimento (in relazione al cui profilo
rileva l’utilizzo effettivo del bene), ma anche della normale
commerciabilità del bene (con riferimento al quale è irrilevante la
concreta utilizzazione fattane), è evidente che, pur in sua presenza,
ma in difetto dei requisiti minimi di altezza, va esclusa in modo
significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare le
aspettative dell’acquirente, essendo il cespite oggettivamente
inidoneo ad assolvere alla sua funzione economico-sociale.
Si è, quindi, al cospetto, sia di una violazione dell’art. 1495 c.c.,
avendo la corte territoriale erroneamente escluso la configurabilità
di una vendita di aliud pro alio per il solo fatto che fosse stato
rilasciato il certificato di abitabilità e lo stesso non fosse stato
medio tempore revocato, sia dell’omesso esame di un fatto storico
decisivo ai fini della decisione (identificabile nell’aver il tecnico
nominato dal Ciofi rappresentato graficamente, in occasione della
richiesta di rilascio del certificato y uno stato dei luoghi difforme
rispetto a quello reale)
Non essendovi sulla questione specifica precedenti editi, è
opportuno, ai sensi dell’art. 384, co. 1, c.p.c., enunciare i seguenti
principi di diritto:
1)

come nel caso in cui ricorrano le condizioni per l’ottenimento

del certificato di abitabilità, il suo (attuale) mancato rilascio non
determina di per sé un inadempimento e non giustifica, per
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anziché a quella, prescritta ai fini del rilascio della certificazione di

l’effetto, la risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danni,
alla stessa stregua, e in senso opposto, la presenza formale del
documento, ma, al contempo, di insanabili violazioni di disposizioni
urbanistiche, integra gli estremi di un inadempimento ex se idoneo
alla risoluzione della compravendita, da qualificarsi grave in
relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione
diretta od indiretta dell’immobile;
la mancata consegna del certificato di abitabilità implica un

inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente
luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un
danno risarcibile, configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto
un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo al
riguardo irrilevante la concreta utilizzazione ad uso abitativo da
parte dei precedenti proprietari.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il rilascio di una
licenza di abitabilità illegittima andrebbe equiparato al mancato
rilascio della stesp.z ed integra inadempimento del venditore per
consegna di aliud pro alio, come tale non soggetto ai termini di
decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c., adducibile da
parte del compratore anche come fonte di pretesa risarcitoria per la
ridotta commerciabilità del bene (Sez. 2, Sentenza n. 1514 del
26/01/2006).
Integra, infatti, l’ipotesi di consegna di aliud pro alio l’insussistenza
delle condizioni necessarie per ottenere il certificato a causa della
presenza di insanabili violazioni della legge urbanistica.
2. La sentenza va, quindi, cassata con rinvio, anche per la
pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, ad altra
sezione della Corte d’appello di Firenze, affinchè valuti se, sulla
base dei documenti sopra indicati, sia configurabile una irregolarità
urbanistica (concernente i limiti minimi, inderogabili, di altezza dei
vani interni di un immobile adibito ad abitazione) irreversibile e,
dunque, una vendita di aliud pro alio.
P. Q. M.
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2)

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la
causa, anche ai fini della pronuncia sulle spese del presente grado
di giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile
della Corte suprema di Cassazione, il 24.10.2017.
Il Presidente

DEPOSITAVO CANCELLENA

Dott.ssa Lina Matera

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