Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30950 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. I, 27/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 27/11/2019), n.30950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23297-2018 proposto da:

M.F.I., elettivamente domiciliato in VIALE REGINA

MARGHERITA n. 239, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA VALERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO CAINARCAROMA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 617/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 23.2.2015 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano respingeva l’istanza dell’odierno ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria o in subordine quella umanitaria.

Con ordinanza comunicata il 23.2.2016 il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione proposta da M.F.I. contro il provvedimento reiettivo della Commissione territoriale.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 617/2018, la Corte di Appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta da M.F.I. avverso la decisione di prime cure, ritenendo in particolare non credibile il racconto del ricorrente, che dinanzi alla Commissione territoriale aveva, con l’ausilio di un interprete, dichiarato di aver lasciato il Bangladesh, suo Paese di origine, perchè era in difficoltà economiche e non riusciva a trovare lavoro, mentre di fronte al Tribunale aveva cambiato versione, dichiarando di essere fuggito per motivi politici, in quanto simpatizzante del partito BNP e minacciato dai sostenitori dell’opposta fazione.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione M.F.I. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 Cost., comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di valutare la sua condizione di vulnerabilità tenendo conto della situazione effettiva del suo Paese di origine. Ad avviso del ricorrente, il Bangladesh sarebbe interessato da episodi di violenza, conflitti e limitazioni delle libertà fondamentali dell’individuo, come riportato dal report Easo richiamato a pag. 11 del ricorso. Ciò sarebbe sufficiente ai fini della concessione della protezione umanitaria, posto che per tale beneficio non è richiesta la prova dell’esistenza di una guerra civile, di un conflitto etnico o di una persecuzione, ma è sufficiente la dimostrazione del rischio di compromissione dei diritti fondamentali della persona.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perchè la Corte milanese avrebbe dovuto tener conto che ai fini del riconoscimento tanto della protezione sussidiaria che della protezione umanitaria non è richiesta la prova del pericolo individuale del richiedente, come invece per lo status di rifugiato, essendo sufficiente il riferimento alla condizione generale del Paese di provenienza, che nel caso specifico la Corte di Appello non avrebbe assolutamente preso in esame.

Le due censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondate.

Sotto il primo profilo, esse non colgono l’effettiva ratio della decisione impugnata, con la quale la richiesta di protezione dell’odierno ricorrente è stata rigettata sul presupposto della sua scarsa credibilità, in conseguenza del radicale mutamento del racconto verificatosi tra la fase amministrativa e quella giurisdizionale. La Corte milanese, in particolare, evidenzia (cfr. pag. 2 della decisione impugnata) che il M.F. era stato assistito da un interprete nella prima fase amministrativa ed aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese per motivazioni economiche; solo in sede giurisdizionale ha allegato di essere un perseguitato politico, peraltro senza essere in grado di indicare il nome del partito opposto al (OMISSIS), dai cui militanti egli sarebbe stato secondo la nuova versione del suo racconto – minacciato. La valutazione di non credibilità della narrazione della vicenda personale del richiedente la protezione, che costituisce la vera ratio della decisione, non è neppure genericamente attinta dai motivi, che pertanto risultano, sotto questo profilo, inammissibili.

La doglianza relativa alla mancata considerazione, da parte della Corte ambrosiana, della situazione interna del Bangladesh, è invece infondata: dalla sentenza impugnata risulta infatti (cfr. pag.2, punto 9) che il giudice di merito ha al contrario di quanto affermato dal ricorrente- dato atto delle condizioni del Paese di provenienza, ritenendo che pur in presenza di un generale quadro di precarietà, dovuto a frequenti disastri naturali, a diffuse situazioni di povertà e sfruttamento, nonchè ad alcuni atti terroristici, non si potesse ravvisare un conflitto interno o internazionale tale da determinare uno stato di violenza indeterminata e diffusa idoneo a costituire pericolo per la sopravvivenza dei cittadini.

Sul punto, merita di essere ribadito il principio secondo cui, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia U.E. (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) dev’essere interpretata nel senso che essa deve costituire la fonte di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata o precarietà deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione interessata dal fenomeno in concreto denunciato, correrebbe – per effetto della sua sola presenza sul territorio – un rischio effettivo di subire conseguenze negative alla sua persona o alla sua famiglia (da ultimo, cfr. Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 18306 del 08/07/2019, Rv.654719).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.100 oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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