Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3095 del 08/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 08/02/2018, (ud. 09/11/2017, dep.08/02/2018),  n. 3095

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da Nursind Sindacato delle professioni infermieristiche avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva rigettato l’opposizione L. n. 300 del 1970, ex art. 28 avverso il decreto con il quale lo stesso Tribunale aveva escluso l’antisindacalità della condotta tenuta dall’Azienda ULSS n. (OMISSIS) Alto Vicentino.

2. Il sindacato ricorrente aveva agito in giudizio deducendo che in data 21 gennaio 2004 il suo rappresentante in seno alle RSU aveva richiesto all’azienda l’utilizzo della sala sindacale, sita nei locali di lavoro, per lo svolgimento di un’assemblea indetta ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 20. La domanda era stata respinta perchè, ad avviso dell’azienda, il singolo componente della RSU non era legittimato, sulla base dell’accordo collettivo nazionale e dell’art. 9 del regolamento interno adottato dalla RSU aziendale, ad indire l’assemblea.

2. La Corte territoriale ha condiviso le conclusioni del Tribunale ed ha rilevato che l’Accordo Interconfederale del 20/12/1993, nella parte in cui estende ai componenti delle RSU le prerogative previste in favore dei dirigenti delle RSA, si riferisce unicamente ai diritti individuali e, quindi, non consente al singolo componente della RSU di subentrare nella titolarità di diritti spettanti alla RSA unitariamente intesa. Ha aggiunto che nei medesimi termini va interpretato il contratto nazionale quadro del 7 agosto 1998 che considera le RSU come organismi unitari e conseguentemente riserva il diritto di indire assemblee all’organo elettivo, il quale assume ogni decisione sulla base del principio maggioritario, ed esclude che il potere possa essere esercitato dai singoli componenti.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Nursind sulla base di un unico articolato motivo. L’Azienda ULSS n. (OMISSIS) Alto Vicentino è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, articolato in più punti, il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 “violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 28, in base al combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell’accordo interconfederale 20/12/1993” nonchè, ex art. 360 c.p.c., n. 5, omessa insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. Sostiene, in sintesi, il Nursind che la condotta tenuta dall’Azienda doveva essere qualificata antisindacale in quanto l’accordo interconfederale richiamato in rubrica estende ai componenti delle RSU le prerogative sindacali ed i poteri riconosciuti ai dirigenti delle RSA fra i quali rientra quello di indire anche singolarmente l’assemblea dei lavoratori ai sensi dell’art. 20 dello Statuto. Aggiunge che anche la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 42, dall’art. 5 dell’accordo collettivo quadro per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni, dall’art. 2 del C.C.N.L. quadro del 7 agosto 1998 ed infine dall’art. 8 del C.C.N.L. per il comparto sanità consente di pervenire alle medesime conclusioni perchè equipara i componenti della rappresentanza unitaria ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali. Sostiene, infine, che la possibilità di procedere ad una convocazione disgiunta è stata posta a salvaguardia della effettività del diritto, al fine di evitare che lo stesso potesse essere pregiudicato dall’eventuale inerzia delle altre rappresentanze.

2. Il ricorso è infondato.

Occorre premettere che il D.Lgs. n. 165 del 2001 detta agli artt. 42 e 43 disposizioni volte a disciplinare, in relazione ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, sia l’esercizio dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro, sia la rappresentatività ai fini della contrattazione.

La normativa, che ricalca sostanzialmente quella già dettata dal D.Lgs. n. 396 del 1997, è speciale rispetto al modello dello Statuto dei lavoratori, innanzitutto perchè valorizza un concetto di rappresentatività che tiene conto sia del dato associativo sia della forza elettorale delle singole associazioni, ammesse a partecipare alla contrattazione collettiva nazionale a condizione che abbiano “nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media fra il dato associativo e il dato elettorale”.

L’art. 42, inoltre, pur richiamando nell’incipit le tutele previste dalla L. n. 300 del 1970, obbliga le amministrazioni ad osservare “le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell’attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell’esercizio della contrattazione collettiva”, disposizioni che regolano la materia in termini diversi rispetto al settore privato.

In particolare la norma, oltre a prevedere il potere delle organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione ex art. 43 di costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 19 disciplina ai commi da 4 a 10 “l’organismo di rappresentanza unitaria del personale” e, pur demandando alla contrattazione collettiva nazionale la definizione delle modalità di costituzione e di funzionamento, detta principi generali che valgono come limiti esterni alla contrattazione, prevedendo un sistema elettivo basato sul criterio proporzionale puro (a differenza di quello previsto dall’accordo interconfederale del 20.12.1993 che riserva un terzo dei seggi alle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo) e stabilendo, inoltre, che alla competizione devono essere ammesse a partecipare anche le organizzazioni sindacali che non abbiano i requisiti di cui all’art. 43, purchè siano dotate di un proprio statuto ed abbiano aderito “agli accordi e ai contratti collettivi che disciplinano l’elezione e il funzionamento dell’organismo”.

Si tratta, quindi, di un sistema che garantisce una rappresentanza sindacale il più possibile pluralista e che si differenzia, sotto diversi aspetti, dalla disciplina dettata dalla legge e dalle parti collettive per il settore privato.

2.1. Quanto alle prerogative sindacali il legislatore, dopo avere previsto in linea generale che “i componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali ai fini della L. 20 maggio 1970, n. 300 e del presente decreto” affida anche in tal caso alla contrattazione collettiva il compito di stabilire “i criteri e le modalità con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali”, e sempre alla contrattazione rinvia per la disciplina delle modalità “con le quali la rappresentanza unitaria del personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali dall’art. 9 o da altre disposizioni della legge e della contrattazione collettiva”.

Nella vigenza del D.Lgs. n. 396 del 1997, il cui contenuto è stato poi trasfuso nel testo del richiamato art. 42, sono, quindi, intervenuti l’Accordo quadro per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie del 7/8/1998 e il C.C.N. quadro di pari data sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonchè delle altre prerogative sindacali, che dettano un’analitica disciplina dei compiti e delle funzioni delle RSU, dei rapporti fra associazioni sindacali ed RSU, delle modalità di esercizio dei diritti riconosciuti ai lavoratori, ai dirigenti sindacali ed alle organizzazioni.

Infine in detto quadro generale, delineato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 42 e dagli accordi sopra richiamati, si innesta la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva dei singoli comparti.

Si tratta, quindi, di un sistema di fonti normative e contrattuali diverso da quello che regola la stessa materia per il lavoro privato, sicchè non rileva nella fattispecie il principio di diritto recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13978 del 6/6/2017, che ha interpretato l’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993, affermando che gli artt. 4 e 5 dello stesso riconoscono il diritto di indire l’assemblea, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 20non solo alla RSU considerata collegialmente ma anche a ciascun componente.

L’accordo in questione, infatti, non si applica, per quanto sopra evidenziato, all’impiego pubblico contrattualizzato, nel cui ambito anche la disciplina del diritto di assemblea è dettata dalla contrattazione collettiva.

3. Gli accordi quadro del 7 agosto 1998 sono già stati oggetto di interpretazione diretta da parte di questa Corte che, con specifico riferimento al tema che qui viene in rilievo, ha affermato che “l’art. 2, comma 2, del contratto collettivo nazionale quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi, e delle altre prerogative sindacali, per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni stipulato il 7 agosto 1998, in relazione a quanto stabilito dall’art. 10 dello stesso contratto e dagli art. 5 e 8 dell’accordo collettivo quadro per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale stipulato in pari data, si interpreta nel senso che il diritto di indire assemblee dei dipendenti spetta alla RSU quale organismo elettivo unitariamente inteso e a struttura collegiale, che assume ogni decisione secondo il regolamento eventualmente adottato o, in mancanza, a maggioranza dei componenti, non ai singoli componenti della stessa RSU.” (Cass. 16.2.2005 n. 3072).

Al principio di diritto il Collegio intende dare continuità, perchè l’esegesi delle disposizioni contrattuali, condotta alla luce dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. e nell’ottica della necessaria armonizzazione con le norme del D.Lgs. n. 165 del 2001 già richiamate, non consente di pervenire a conclusioni difformi.

3.1. Rileva, innanzitutto, la chiara affermazione della natura unitaria dell’organismo, desumibile dall’art. 8 dell’Accordo quadro sulla costituzione delle RSU, come interpretato autenticamente dalle parti firmatarie il 6.4.2004 con il contratto D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 49 con il quale si è precisato che “la RSU è uno organismo unitario di rappresentanza dei lavoratori; sul funzionamento della RSU, l’Accordo collettivo quadro del 7 agosto 1998 stabilisce come unica regola che la RSU assume le proprie decisioni a maggioranza dei componenti; le modalità con le quali tale maggioranza si esprime devono essere, eventualmente, definite dalla RSU stessa con proprio regolamento interno; la circostanza che la RSU non si doti di un proprio regolamento, non ne muta la natura, che rimane quella di soggetto sindacale unitario cui si applicano le regole generali proprie degli organismi unitari elettivi di natura collegiale”.

L’art. 5 dello stesso Accordo, poi, nel prevedere al comma 1 che “le RSU subentrano alle RSA o alle analoghe strutture sindacali esistenti ed ai loro dirigenti nella titolarità dei diritti sindacali e dei poteri riguardanti l’esercizio delle competenze contrattuali ad esse spettanti” si riferisce, appunto, all’organismo e non ai soggetti che lo compongono, al contrario di quanto previsto dall’Accordo interconfederale del 20.12.1993, art. 4, che fa riferimento ai “componenti delle r.s.u.” ai quali estende la titolarità dei diritti riservati ai “dirigenti delle r.s.a.”.

Anche l’elencazione contenuta nell’art. 5, comma 4 che comprende il “diritto ad indire l’assemblea dei lavoratori”, è sempre pensata in relazione all’organismo unitario, come si desume dal confronto con il successivo art. 6 che disciplina le prerogative delle associazioni sindacali rappresentative e, fra l’altro, prevede il “diritto di indire, singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro”.

E’, quindi, alla luce della chiara natura unitaria dell’organismo che vanno lette le disposizioni contenute nel C.C.N.Q. sulle prerogative sindacali, sottoscritto sempre il 7/8/1998, che all’art. 13 richiama espressamente l’accordo stipulato in pari data e al comma 2 ribadisce detta natura, riferendo la titolarità dei permessi alle RSU e non ai singoli componenti.

3.2. Ciò premesso, e tornando al diritto di assemblea, va detto che l’art. 2 del C.C.N.Q., dopo aver previsto al comma 1 il diritto dei dipendenti pubblici a partecipare ad assemblee sindacali per 10 ore annue pro-capite, al comma 2 stabilisce che “le assemblee che riguardano le generalità dei dipendenti o gruppi dí essi possono essere indette singolarmente o congiuntamente….dai soggetti indicati nell’art.10″.

Detta ultima disposizione, che riguarda i permessi sindacali, prevede che degli stessi possono fruire:” i componenti delle RSU; i dirigenti sindacali rappresentanze aziendali (RSA) delle associazioni rappresentative ai sensi dell’art. 10 dell’accordo stipulato il 7 agosto 1998; i dirigenti sindacali dei terminali di tipo associativo delle associazioni sindacali rappresentative che dopo la elezione delle RSU, siano rimasti operativi nei luoghi di lavoro nonchè quelli delle medesime associazioni, aventi titolo a partecipare alla contrattazione collettiva integrativa, ai sensi dell’art. 5 dell’accordo stipulato il 7 agosto 1998; i dirigenti sindacali che siano componenti degli organismi direttivi delle proprie confederazioni ed organizzazioni sindacali di categoria rappresentative non collocati in distacco o aspettativa.”.

Attraverso il rinvio all’art. 10, quindi, l’art. 2, diversamente da quanto fa l’art. 20 dello Statuto che si riferisce solo alle RSA, attribuisce il potere di indizione ad una pluralità di soggetti, espressione di diverse forme di rappresentatività sindacale, sicchè gli avverbi “singolarmente o congiuntamente ” non possono essere valorizzati per sostenere l’attribuzione del potere anche ai singoli componenti della RSU, superando la volontà delle parti collettive di considerare la stessa come organismo unitario. La possibilità di esercitare il potere anche in modo disgiunto va, infatti, riferita ai rapporti fra i diversi soggetti titolari del potere medesimo, ossia la RSU, i dirigenti delle RSA, i dirigenti delle associazioni sindacali rappresentative, fermo restando che la volontà della prima deve formarsi nel rispetto del metodo fissato dall’art. 8 dell’accordo quadro.

3.3. E’ significativo che in tal senso il CCNQ è stato interpretato dalla contrattazione dei diversi comparti che, quando non si è limitata in relazione alle prerogative sindacali a richiamare gli accordi quadro (art. 9 CCNL 16.2.1999, come modificato dall’art. 1 CCNL 27.7.2005, per il comparto enti pubblici non economici; art. 56 CCNL 14.9.2000 per il comparto regioni e autonomie locali) ha espressamente previsto che il potere di indire l’assemblea deve essere esercitato ” dalla R.S.U. nel suo complesso e non dai singoli componenti, con le modalità dell’art. 8, comma 1 dell’accordo quadro sulla elezione delle RSU del 7 agosto 1998″ (art. 2 CCNL 20.9.2001 per il compatto sanità; art. 12 CCNL 28.5.2004 per il comparto agenzie fiscali; art. 2 CCNL 16.5.2001 per il compatto ministeri; art. 8 del CCNL 29.11.2007 per il comparto della scuola) o dalla “RSU a maggioranza dei suoi componenti” (art. 25 del CCNL 27.1.2005 per il comparto università) o ancora dalla RSU, senza ulteriori specificazioni e, quindi, inteso come organismo unitario (art. 12 del CCNL 17.5.2004 per il comparto della Presidenza del Consiglio dei Ministri).

3.4. La sentenza impugnata, che ha escluso il carattere antisindacale della condotta tenuta dall’Azienda ULSS n. (OMISSIS) Alto Vicentino perchè l’assemblea non poteva essere indetta dal singolo componente della RSU, è quindi conforme nel dispositivo al principio di diritto sopra enunciato, ma ne va corretta la motivazione perchè il giudice di appello, oltre a richiamare il precedente di questa Corte, ha anche interpretato l’Accordo interconfederale del 20.12.1993 che, invece, qui non rileva.

La mancata costituzione dell’Azienda intimata esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Non è applicabile ratione temporis il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2018

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