Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30947 del 29/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2021, (ud. 15/06/2021, dep. 29/10/2021), n.30947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20756/2020 R.G. proposto da:

K.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Marco Lanzilao, con

domicilio eletto in Roma, viale Angelico, n. 38;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Roma depositato il 5 maggio 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 giugno

2021 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

che K.M., cittadino della Costa d’Avorio, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso il decreto del 5 maggio 2020, con cui il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, nonché il difetto di motivazione e il travisamento dei fatti, rilevando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, il decreto impugnato si è limitato ad evidenziare la natura personale e familiare dei motivi per i quali egli aveva abbandonato il suo Paese di origine, senza tener conto della situazione economico-sociale di quest’ultimo;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, art. 5, comma 6, e art. 19 e dell’art. 10 Cost., sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, il Tribunale ha omesso di adempiere il proprio dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, essendosi limitato a rilevare la mancata allegazione di condizioni di vulnerabilità personale, senza verificare se le stesse fossero ricollegabili ai fatti dedotti a sostegno delle domande di riconoscimento delle altre forme di protezione, alla situazione politico-sociale della Costa d’Avorio, alla condizione di povertà del Paese ed alla conseguente mancanza delle condizioni minime necessarie per poter condurre un’esistenza dignitosa;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti questioni strettamente connesse, sono infondati;

che, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, il Tribunale ha infatti rilevato da un lato la mancata allegazione di una condizione di vulnerabilità personale o di una grave violazione dei diritti fondamentali, osservando che dalla vicenda allegata dal ricorrente non emergevano né una menomazione della dignità personale ricollegabile alla situazione in cui egli viveva prima dell’espatrio, né una condizione di povertà ine-mendabile o l’impossibilità di soddisfare esigenze primarie di sopravvivenza, e dall’altro che non era stata fornita la prova dell’avvenuta integrazione del ricorrente nel territorio italiano, risultando egli impegnato in attività lavorative saltuarie e non disponendo di un’autonoma sistemazione abitativa;

che tale accertamento si pone perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di protezione umanitaria, secondo cui l’applicazione di tale misura postula un raffronto tra la situazione in cui il richiedente versava prima di allontanarsi dal Paese di origine, ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio, ed il livello d’integrazione economico-sociale da lui raggiunto in Italia, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 14/08/2020, n. 17130; 23/02/2018, n. 4455);

che nell’ambito della predetta valutazione la situazione generale del Paese di origine può trovare spazio esclusivamente nella misura in cui risulti idonea ad evidenziare la predetta violazione dei diritti fondamentali, non potendosi attribuire alcun rilievo, altrimenti, neppure ad una situazione di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente, dal momento che, al di fuori delle ipotesi in cui la stessa sia riconducibile a ragioni individuali o ad eventi disastrosi, non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi difficoltà economiche e sociali (cfr. Cass., Sez. I, 6/11/ 2020, n. 24904; Cass., Sez. III, 25/09/2020, n. 20334; Cass., Sez. I, 4/09/ 2020, n. 18443);

che la mancata allegazione di circostanze di fatto idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, diversi da quelli, ritenuti insufficienti, emergenti dalla vicenda personale riferita a sostegno della domanda, consente di escludere anche la violazione da parte del Tribunale del dovere di procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, operando lo stesso, anche ai fini dell’applicazione della misura in questione, esclusivamente sul versante della prova, e non dispensando quindi il richiedente dall’onere di allegare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice d’introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13573; 31/01/ 2019, n. 3016; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

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