Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30946 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. II, 29/11/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 29/11/2018), n.30946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7107-2017 proposto da:

C.V., e G.T., rappresentati e difesi

dall’Avvocato MASSIMO FRANCESCO DOTTO ed elettivamente domiciliati

presso lo studio di questo in ROMA, VIA LAZIO 20/C;

– ricorrenti –

contro

P.M., e M.G., rappresentati e difesi

dall’Avvocato MASSIMO GIZZI, ed elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’Avv. Fabrizio Pagniello in ROMA, VIA OGLIO 15;

– controricorrenti –

– intimato –

avverso la sentenza n. 101/17 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 9/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 16663/2003 del 20.5.2003 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da M.G. e P.M., i quali avevano lamentato di avere venduto con patto di riservato dominio, con contratto del 9.3.1990 (e separata scrittura privata di dilazione del saldo del prezzo), il loro appartamento sito in Roma, Via Ernesto Mauri n 19, al convenuto GI.AG., il quale non aveva corrisposto loro alcuna somma: il Tribunale dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita per fatto e colpa del convenuto, ordinava al Conservatore i conseguenti provvedimenti.

Alla luce di tale sentenza M.G. e P.M. adivano il Tribunale di Roma, con citazione notificata in data 3.9.2010, oltre ad Gi.Ag., anche C.V. e G.T., i quali avevano acquistato dal Gi. lo stesso appartamento con contratto del 30.12.1991, chiedendone la restituzione.

La domanda degli attori era volta a dichiarare la nullità del predetto atto di compravendita in quanto effettuato a non domino e che l’immobile era sempre rimasto nella titolarità di essi attori; in subordine, revocare l’atto di compravendita citato e dichiararlo privo di effetti nei loro confronti, tenuto conto del pregiudizio che era loro derivato e della mala fede dell’acquirente; in ogni caso ordinare a C.V. e G.T. l’immediata restituzione dell’immobile in favore di essi attori; condannare i convenuti al risarcimento del danno, per Gi.Ag. nella misura di giustizia parametrata all’intensità del dolo, ritenuti sussistenti gli estremi della truffa contrattuale, per C.V. e G. secondo il valore locativo dell’immobile dal rogito di acquisto (30.12.1991) all’effettivo rilascio.

Nella contumacia di tutti e tre i convenuti, il Tribunale di Roma, con sentenza dell’8.1.2014 rigettava le domande degli attori e compensava le spese, ritenendo che le domande non potevano essere accolte in quanto esse si risolvevano in una rivendicazione della proprietà, rispetto alla quale mancava la prova rigorosa imposta dall’art. 948 c.c..

Avverso detta sentenza/gli attori proponevano appello.

Si costituivano in giudizio C.V. e G.T., chiedendo il rigetto del gravame. Gi.Ag. veniva dichiarato contumace.

Con sentenza n. 101/2017, depositata il 9.1.2017, la Corte d’Appello di Roma dichiarava priva di effetto la compravendita del 30.12.1991 tra Gi.Ag., quale venditore e C.V. e G.T., quali acquirenti dell’immobile per cui è causa, ordinando al Conservatore dei RR. II. di Roma (OMISSIS) di annotare la sentenza con esonero di responsabilità e ordinando a C.V. e G.T. di rilasciare, in favore di M.G. e P.M. l’immobile suddetto, al passaggio in giudicato della sentenza; condannava i convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione C.V. e G.T. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria; resistono M.G. e P.M. con controricorso illustrato anch’esso da memoria; l’intimato Gi.Ag. non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione degli artt. 99,101 e 112 c.p.c.”, in quanto la Corte di merito, nel ritenere errata la qualificazione della domanda fornita dal Giudice di primo grado, ipotizza un non meglio identificato obbligo in capo al Giudice di segnalare alle parti, che non l’avevano prospettata, la questione della diversa qualificazione della domanda. Secondo i ricorrenti, il potere del Giudice di dare l’esatta qualificazione giuridica della domanda proposta dalla parte non incontra limiti, purchè la diversa qualificazione sia fornita alla stregua dei fatti allegati, delle ragioni esposte, delle richieste formulate.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – La Corte di merito, nel premettere che “E’ certo vero, innanzitutto, che, come sostengono gli appellanti (odierni controricorrenti), la loro azione non era stata svolta a titolo di rivendicazione, per cui il Tribunale, che in ogni caso avrebbe dovuto segnalare la relativa questione alle parti, che non l’avevano prospettata, ha errato nel qualificare la domanda”, esplicita il proprio legittimo dissenso in ordine alla qualificazione della domanda, data dal giudice di primo grado, in termini di rivendica della proprietà.

Nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda riservata al giudice del merito (Cass. sez. un. n. 4617 del 2011), con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, l’inciso riguardante l’opportunità della segnalazione alle parti della relativa questione, rappresenta un mero obiter dictum (neppure riferito ad un auspicio di una sorta di procedimentalizzazione dell’esercizio del potere qualificatorio in capo al giudice) che non ha influito sul dispositivo della decisione (Cass. n. 30354 del 2017), la cui ratio decidendi è, in realtà, fondata sulla diversa interpretazione della domanda da parte del giudice dell’appello.

1.3. – D’altronde, la Corte di merito non ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, posto che tale violazione non sussiste quando il giudice, nell’ambito del potere di interpretazione della domanda, senza mutare gli elementi oggettivi dedotti dalle parti, proceda ad una qualificazione giuridica della stessa diversa da quella prospettata dalle parti stesse o affermata dal primo giudice; invero il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione, implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione del fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti; tale principio deve quindi ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. n. 7269 del 2015; cfr. Cass. n. 6945 del 2007).

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c.”, in quanto la Corte di merito non ha fornito alcuna ricostruzione alternativa rispetto a quella delineata dal Giudice di primo grado, che aveva qualificato la domanda attorea come rivendicazione.

2.1. – Il motivo è infondato.

2.2. – Costituisce principio consolidato quello secondo cui, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formulazione letterale adottata dalla parte (Cass. n. 26159 del 2014; n. 21087 del 2015), dovendo egli considerare il contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè il provvedimento in concreto richiesto, non essendo condizionato dalla mera formula adottata dalla parte (Cass. n. 5442 del 2006; n. 27428 del 2005). L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce, dunque, operazione riservata al giudice del merito (Cass. sez. un. n. 4617 del 2011), il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale (Cass. n. 22893 del 2008). Inoltre, la qualificazione della domanda è consentita al giudice in ogni stato e grado del giudizio e, ove diverga da quella espressa in primo grado, non richiede la proposizione di appello incidentale della parte vittoriosa (Cass. n. 8797 del 2016).

2.3. – La Corte di merito (nell’affermare la erroneità della qualificazione della domanda da parte del giudice di primo grado in termini di rivendicazione della proprietà) rileva come sia non contestato che sia passata in giudicato la sentenza n. 16663/03, con cui il Tribunale capitolino ha dichiarato la risoluzione della vendita, con patto di riservato dominio, dell’immobile de quo, stipulata in data 9 marzo 1990 tra gli odierni controricorrenti e l’intimato, per fatto e colpa del medesimo. Ed osserva, altresì, che sia “giocoforza ritenere che la successiva vendita dell’immobile, con il contratto del 30 dicembre 1991, dal venditore Gi. agli acquirenti C. e G. sia stata a non domino, e cioè che l’immobile non sia potuto essere trasferito a questi ultimi, non avendone la titolarità il Gi.”.

La Corte distretturale dunque, richiamato il principio secondo cui qualora sia stata pronunciata sentenza di risoluzione del contratto per inadempimento del venditore (passata in cosa giudicata) nonostante l’acquisto della proprietà compiuto dal medesimo nelle more di quel giudizio, il compratore non può invocare (rispettivamente) l’acquisto della proprietà ai sensi dell’art. 1478 c.c., comma 2 o, il diritto al trasferimento da eseguire con la sentenza costitutiva prevista dall’art. 2932 c.c., atteso che, in considerazione dell’efficacia retroattiva della risoluzione, è venuta meno la fonte dell’obbligazione posta a carico del venditore (Cass. n. 4024 del 2014) – correttamente ha dichiarato l’inefficacia del contratto di compravendita stipulato nel 1991 dall’intimato con i ricorrenti, dovendosi pertanto ordinare a questi ultimi il rilascio dell’immobile medesimo in favore dei controricorrenti al momento del passaggio in giudicato della presente sentenza. Per la Corte di merito, dunque, alla luce dell’effetto retroattivo conseguente alla declaratoria di risoluzione del contratto di compravendita del 9.3.1990, anche il successivo acquisto effettuato dai ricorrenti deve ritenersi a non domino, per cui l’immobile non avrebbe potuto mai entrare nella loro titolarità.

2.4. – Le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che le azioni di rivendicazione e di restituzione sono accomunate dallo scopo pratico cui entrambe tendono (ottenere la disponibilità materiale di un bene, della quale si è privi) ma si distinguono nettamente, per la natura, poichè all’analogia del petitum non corrisponde quella delle rispettive causae petendi: la proprietà per l’una, un rapporto obbligatorio per l’altra. La prima è connotata quindi da realità e assolutezza, la seconda da personalità e relatività. Nella rivendicazione la ragione giuridica e l’oggetto del giudizio coincidono, identificandosi nel diritto di proprietà, di cui l’attore deve dare la cd. probatio diabolica, dimostrando un acquisto del bene avvenuto a titolo originario da parte sua o di uno dei propri danti causa a titolo derivativo (acquisto che per lo più deriva dall’usucapione, maturata eventualmente mediante i meccanismi dell’accessione o dell’unione dei possessi). Nel caso dell’azione di restituzione si verte invece su una prestazione di dare, derivante da un rapporto di carattere obbligatorio (o dal venir meno del medesimo). Pertanto, in tema di azioni a difesa della proprietà, le difese di carattere petitorio opposte, in via di eccezione o con domande riconvenzionali, ad un’azione di rilascio o consegna non comportano (in ossequio al principio di disponibilità della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) una mutatio od emendatio libelli, ossia la trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta ferma dell’attore come personale per la restituzione del bene in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto, nè, in ogni caso, implicano che l’attore sia tenuto a soddisfare il correlato gravoso onere probatorio inerente le azioni reali (cosiddetta probatio diabolica), la cui prova, idonea a paralizzare la pretesa attorea, incombe solo sul convenuto in dipendenza delle proprie difese (Cass. sez. un. n. 7305 del 2014).

3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano, “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.”, chiedendo che venga cassato il capo della sentenza impugnata che ha ingiustamente posto a loro carico le spese dei due gradi di giudizio di merito senza tenere conto della parziale soccombenza degli appellanti, che hanno visto rigettare la loro domanda risarcitoria.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – Per costante orientamento di questa Corte, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (situazione non verificatasi nella fattispecie, in considerazione dell’accoglimento dell’appello e della riforma della sentenza di primo grado), con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito provvedere alla loro quantificazione (senza eccedere i limiti fissati dalle tabelle vigenti), nonchè alla loro ripartizione (Cass. n. 19613 del 2017; cfr. anche Cass. n. 1572 del 2018).

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 4.700,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA