Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30941 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G. Maria. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 10989 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Heron s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dall’Avv. Lucchese Lea Domenica, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv.to Magistrini Chiara, in Roma,

alla Via Groenlandia, n. 31;

– controricorrente- –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 5252/17/15

depositata in data 18 dicembre 2015, notificata il 3 marzo 2016.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 ottobre 2019 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

Che:

-con sentenza n. 5252/17/15 depositata in data 18 dicembre 2015, notificata il 3 marzo 2016, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, accoglieva l’appello proposto da Heron s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 307/01/10 della Commissione tributaria provinciale di Ragusa che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso gli avvisi di accertamento (OMISSIS) e (OMISSIS), con i quali l’Ufficio di Modica- a seguito di p.v.c. della Guardia di finanza del 29 gennaio 2008 dal quale erano emerse fattispecie penalmente rilevanti- aveva contestato alla contribuente maggiore materia imponibile ai fini Iva, per l’anno 2004, nonchè, ai fini Ires e Irap, per l’anno 2005;

-la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che-premesso che il giudice di primo grado aveva basato il proprio convincimento sul p.v.c. della G.d.F. dal quale risultava la sussistenza di proventi illeciti derivanti da fattispecie penalmente rilevanti a carico della società – avuto riguardo agli atti e, principalmente, alla copia della sentenza penale che aveva assolto la società da ogni ipotesi di reato, ne conseguiva la illegittimità degli atti impositivi, stante la emersa mancanza, a carico dell’ente, di fattispecie penalmente rilevanti e, dunque, di una valida motivazione della pronuncia della CTP;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito, con controricorso, la società contribuente;

– la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c. insistendo per il rigetto del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per assunta invalidità della notifica effettuata-come eccepito dalla contribuente nel controricorso- presso l’originario domicilio del difensore della società (Studio Legale Bonomo e Lucchese, in C.so dei Mille 166, Alcamo TP)e non già presso quello nuovo (sito in Palermo, Via Albanese n. 17) come dedotto nel corso del grado di appello, con memoria depositata dieci giorni prima dell’udienza del 4 giugno 2015;

– al riguardo, premesso che “l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono:

a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa” (Sez. U, Sent. n. 14916 del 20/07/2016; Sez. 6 – 3, Ord. n. 2174 del 27/01/2017), nella specie, in disparte la mancata riproduzione o allegazione al controricorso della memoria depositata dalla contribuente in grado di appello in cui sarebbe stato evidenziato l’asserito cambio del domicilio eletto, la notificazione del ricorso, eseguita presso il difensore domiciliatario all’originario indirizzo di studio anzichè a quello successivo sarebbe affetta da nullità per violazione dell’art. 330 c.p.c., sanata dall’avvenuta costituzione nel giudizio di legittimità della parte medesima;

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20 e art. 654 c.p.c., per avere la CTR fondato la propria decisione sull’esistenza di un giudicato penale di assoluzione-per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti-estendendone automaticamente gli effetti nel processo tributario, senza procedere, quanto alla azione di accertamento fiscale, ad una autonoma valutazione della condotta delle parti e del complessivo materiale probatorio acquisito agli atti, sussistendo nel giudizio tributario un diverso regime probatorio, stante, da un lato, le limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, la valenza anche di presunzioni inidonee a fondare di per sè una pronuncia penale di condanna;

-con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, stante la sostanziale omessa motivazione, per avere il giudice di appello fondato la propria decisione unicamente sul richiamo al giudicato penale senza effettuare alcuna autonoma valutazione del materiale probatorio in atti, e dunque non disvelando le ragioni e l’iter logico del proprio argomentato;

– il primo motivo è fondato;

– premesso, infatti, che la motivazione della sentenza deve ritenersi consistente unicamente nella constatazione dell’esistenza del richiamato giudicato penale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “ai sensi dell’art. 654 c.p.p., l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna: quindi, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può (più) attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente e, pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in detta materia, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (ex plurimis, Cass. nn. 10945 del 2005, 2499 del 2006, 5720 del 2007, 1014 del 2008; n. 16238 del 2009; Sez. 5, Sentenza n. 3724 del 17/02/2010; Sez. 5, Sentenza n. 8129 del 23/05/2012); in particolare, questa Corte ha precisato che “Nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19786 del 27/09/2011); da ultimo, questa Corte ha aggiunto, con riguardo all’ipotesi di assoluzione in sede panale anche con formula piena, che “In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16262 del 28/06/2017);

– l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione del secondo con assorbimento dello stesso;

– in conclusione, va accolto il primo motivo, assorbito il secondo; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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