Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3094 del 08/02/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3094 Anno 2013
Presidente: BATTIMIELLO BRUNO
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 5913-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA, elettivamente domiciliata in Roma in v.le
Mazzini n. 134, nello studio dell’Av -v. Luigi Fiorillo, che la rappresenta
e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
BIGAGLI IRENE SARA, elettivamente domiciliata in Roma in via
Reno n. 21, nello studio dell’Avv. Roberto Rizzo, che la rappresenta e
difende per delega a margine del controricorso;

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avverso la sentenza n. 9100/2009 della Corte d’appello di Roma,
depositata in data 3.03.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
6/12/2012 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Giulio Romano.
Ritenuto in fatto e diritto
1.- Bigagli Irene Sara, con ricorso al Giudice del lavoro di Roma
chiedeva che fosse dichiarato nullo il termine apposto a due contratti a
tempo determinato con i quali era stata assunta alle dipendenze di

Data pubblicazione: 08/02/2013

32. Poste Italiane spa c. Bigagli Irene Sara (r.g. 5913/11)

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Poste Italiane s.p.a., stipulati il primo per il periodo 2.10.00-31.01.01
per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e
rirnodulazione degli assetti occupazionali in corso …” (ai sensi dell’art.
8 del ceni 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.9.97), ed
il secondo per il periodo 1.06.-29.09.01 per “esigenze di carattere
straordinario eccezionali conseguenti a processi di riorganizzazione
…” (ai sensi dell’art. 25 del ccnl 11.01.11).
2.- Accolta la domanda con riferimento al secondo contratto,
proponevano appello entrambe le parti, Poste Italiane s.p.a. in via
principale per ottenere il rigetto integrale della domanda, la Bigagli in
via incidentale per ottenere la declaratoria di nullità anche del primo
contratto.
3.- La Corte d’appello di Roma con sentenza 3.03.10 accoglieva
l’impugnazione incidentale e dichiarava assorbita quella principale. La
Corte di merito rilevava che — nell’ambito del sistema dell’art. 23 della
legge n. 56 del 1987, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove
ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva — il
primo contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste
26.11.94, come integrato dall’accorcio 25.9.97, per fare fronte ad
esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda.
Considerato che la norma collettiva consentiva l’assunzione a termine
per detta causale solo fino al 30.4.98, riteneva che sussistesse la nullità
del termine apposto al primo contratto, stipulato con riferimento al
periodo 2.10.00-31.01.01, anticipando al 2.10.00 la decorrenza del
rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
4.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso
per cassazione, cui rispondeva Bigagli con controricorso. Il Consigliere
relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. depositava relazione, che era
comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori
costituiti assieme all’avviso di convocazione della adunanza della
camera di consiglio. Bigagli ha depositato memoria.
5.- I motivi proposti dalla soc. Poste si riassumono come segue.
5.1.- violazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, dell’art. 8
del ccril 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97, nonché degli
accordi successivi 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.88 e 18.1.01, in
connessione con l’art. 1362 c.c.; violazione dei canoni di ermeneutica
contrattuale (art. 1362 e segg. c.c.) in relazione all’interpretazione
accolta dal giudice di merito dell’art. 8 del ccril 26.11_94 e dell’accordo
integrativo 25.9.97, nonché carenza di motivazione. In particolare, il
giudice di merito non avrebbe considerato che gli accordi successivi a
quello del 25.9.97 erano ricognitivi delle condizioni legittimanti in fatto
il ricorso al contratto a termine, senza circoscrivere il ricorso a tale
strumento solo al periodo temporale indicato (primo motivo);

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5.2. – omessa ed insufficiente motivazione in quanto il giudice di
merito non esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero in
rapporto il contratto collettivo 1994, l’accordo sindacale 25.9.97 ed i
successivi accordi attuativi in relazione al limite temporale cui
sarebbero subordinate le assunzioni a termine (secondo);
5.3.- violazione degli arti 1206 e segg., 2094, 2099 e 2697 c.c., in
quanto il giudice ha violato i principi in materia di messa in mora e
corrispettività delle prestazioni e, in punto di aliunde percepirmi, pur
richiestone, non ha attivato mezzi istruttori officiosi per determinare i
corrispettivi goduti dal lavoratore per attività alle dipendenze di terzi
(terzo morivo);
5.4.- Poste Italiane conclude il ricorso richiamando l’art. 32 della
legge 4.11.10 n. 183, che fissa specifici criteri di risarcimento del danno
connesso alla conversione del contratto di lavoro a tempo determinato
per nullità del termine, con applicazione diretta ai giudizi pendenti alla
data di entrata in vigore (quarto motivo).
6.- I primi due motivi sono infondati in forza della
giurisprudenza di questa Corte, la quale ritiene che l’art. 23 della 1.
28.2.87 n. 56, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità
di individuare — oltre le fattispecie tassativamente previste dall’art. 1
della 1. 18.4.62 n. 230 nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29.1.83 n. 17, conv.
dalla 1. 15.3.83 n. 79 nuove ipotesi di apposizione di un termine alla
durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in
bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati
all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe
a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno
individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui
all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta
l’interpretazione dei giudici che, con riferimento al distinto accordo
attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo aituativa del
16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di
riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo
accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di fatto integrante le
esigenze ecceionali menzionate dal detto accordo integrativo.
Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale
situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad
assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che
l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della
pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità
dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di
presupposto normativo. In altre parole, dato che le parti collettive
avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed
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avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto
un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a
termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98,
l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima
l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al
30.4.98 (v., exp/urinzis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
7.- La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di
merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il
diritto del soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti
avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi
precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a
termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in
forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque
conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già
perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il
potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
(previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la
disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
7.- Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque
stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in
quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito
dall’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione
collettiva che consente la deroga alla legge n. 230 del 1962. Essendo
nella specie il contratto stipulato per ‘esigenze eccezionali ecc. …” per
il periodo 2.10.00-31.01.01, i due motivi debbono essere rigettati.
8.- Con il quarto motivo la ricorrente chiede l’applicazione
dell’art. 32, c. 5, della legge 4.11.10 n. 183 e la liquidazione indennitaria
del risarcimento del danno, evidenziando che il successivo c. 7 prevede
che detta disposizione trovi applicazione anche ai giudizi pendenti alla
data dell’entrata in vigore della legge.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che tale
disciplina, costituente nuova regolazione del rapporto controverso, sia
applicabile ai giudizi pendenti in grado di legittimità, a condizione che
la Corte sia al riguardo investita da un valido e pertinente motivo di
impugnazione (v. Cass. 28.01.11 n. 2112, 31.01.12 n. 1409 e 2.03.12 n.
3305), in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8.05.06
n. 10547 e 27.02.04 n. 4070). Tale condizione è realizzata nel caso di
specie, atteso che l’applicazione della disciplina in questione è fatta

Per questi motivi
La Corte così provvede:
– rigetta i motivi primo e secondo ed accoglie il quarto, con
assorbimento del terzo;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di
Roma in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2012
Il Presidente

oggetto di uno specifico motivo, il quarto, con il quale, seppure in via
subordinata al rigetto del terzo, viene denunziata la difformità del
decisum dal nuovo criterio di risarcimento del danno previsto dalla
richiamata legge n. 183 del 2010.
9.- Tanto rilevato, deve considerarsi che la disposizione dell’art.
32 in questione (ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2011) al c. 5 prevede che
“nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice
condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo
un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di
2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art, 8 della l. 15.7.66 n. 604”.
Lo stesso art. 32 al successivo c. 6 prevede, inoltre, che “in presenza di
contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali,
stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche
a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a
termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo
dell’indennità fissata dal c. 5 è ridotto a metà”.
La quantificazione del risarcimento con questi criteri impone
accertamenti di merito che debbono essere rimessi al giudice di rinvio.
10.- In conclusione, rigettati i primi due motivi ed accolto il
quarto con assorbimento del terzo, la sentenza impugnata deve essere
cassata nei limiti dell’accoglimento con rinvio al giudice indicato in
dispositivo che procederà all’accertamento del danno secondo i criteri
indicati al capo che precede ed alla regolazione delle spese del giudizio
di legittimità.

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