Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30937 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 23970 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto Da:

F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv. Giuliano Tropea, elettivamente domiciliata presso

lo studio dell’Avv.to Alessio Petretti, in Roma, alla Via Degli

Scipioni, n. 268/A;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 187/64/11

depositata in data 11 ottobre 2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 ottobre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 187/64/11 depositata in data 11 ottobre 2011, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, rigettava l’appello proposto da F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 43/10/10 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Agenzia delle entrate – sulla base di p.v.c. del 19 febbraio 2008 della Guardia di Finanza – Compagnia di (OMISSIS) – aveva contestato alla contribuente, un maggiore reddito di impresa, ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno di imposta 2005, per indebita deduzione di costi e detrazione di Iva in relazione a fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti;

– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) previo p.v.c. della Guardia di Finanza, Compagnia di (OMISSIS), del 19 febbraio 2008, basato sui dati di documentazione extracontabile rinvenuta durante una verifica fiscale effettuata nei confronti della Planet Work s.r.l. (block notes appartenente a un collaboratore amministrativo della detta società)- attestante, ad avviso dell’Ufficio, sotto forma di annotazioni in uscita a nome ” G.”, la restituzione alla F. s.r.l. degli importi complessivamente quasi corrispondenti a quelli fatturati dalla prima a carico della contribuente come corrispettivi di operazioni di intonacatura oggettivamente inesistenti, con avviso n. (OMISSIS) l’Agenzia delle entrate recuperava nei confronti della F. s.r.l., per l’anno 2005, l’importo di Euro 126.973,00, a titolo di Ires, Irap e Iva; 2) avverso l’avviso di accertamento la società contribuente – deducendo l’infondatezza dell’accertamento basato su un documento extracontabile, neppure esibito, nonchè l’effettiva esecuzione delle operazioni fatturate- aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Bergamo che, con sentenza n. 43/10/2010, lo aveva respinto; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la società contribuente eccependo: 1) la carenza motivazionale della pronuncia, essendo stata omessa la disamina della documentazione prodotta, comprendente, tra l’altro, il contratto di subappalto cui si riferivano le prestazioni fatturate; 2) la mancata riconducibilità alla ricorrente degli elementi emergenti dalle annotazioni riportate nel block notes; 3) la mancata materiale constatazione da parte dell’Ufficio dell’esecuzione o meno delle operazioni di intonacatura di cui alle fatture in questione;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) i fatti contestati dalla G.d.F. offrivano un materiale indiziario sufficientemente dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, tale da dimostrare che le fatture emesse a carico della società contribuente si riferissero a prestazioni di intonacatura mai effettuate dalla Planet Work s.r.l.; 2) in particolare, nella contabilità occulta (block notes) della Planet Work s.r.l. erano contenute annotazioni di importi in uscita, con indicazione del nominativo della F. s.r.l., corrispondenti quasi esattamente (con decurtazione di una somma comprendente l’ammontare dell’Iva e un’ulteriore percentuale imputabile al compenso per la falsa fatturazione) all’imponibile delle fatture emesse a carico della contribuente, con conseguente corretta presunzione da parte dell’Ufficio dell’avvenuta restituzione extracontabile degli importi versati dalla F. s.r.l. a saldo delle fatture non riferibili, pertanto, ad un rapporto contrattuale effettivamente realizzatosi; 3) era irrilevante la mancata produzione in giudizio del block notes, avendone riportato il relativo contenuto il p.v.c. della G.d.F., la cui veridicità faceva piena prova fino a querela di falso; 4) era irrilevante il richiamo da parte della contribuente alla documentazione contabile non essendo la pretesa tributaria fondata su di una assunta irregolarità formale delle operazioni fatturate ma, bensì, sulla loro inesistenza, celata dietro lo schermo di una apparenza documentale; 5)nè valeva addure da parte della contribuente – denunciando la mancata prova contraria – l’effettiva realizzazione delle opere fatturate, in quanto ciò non avrebbe, comunque, provato l’esecuzione delle stesse da parte della Planet Work s.r.l., tanto più che la F. s.r.l. operava nel campo dell’intonacatura con conseguente idoneità a provvedere in proprio all’esecuzione delle opere che si assumevano essere state subappaltate;

– avverso la sentenza della CTR, F. s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la carente, incongrua e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR, da un lato, ritenuto dotato dei caratteri di gravità, precisione e concordanza il materiale indiziario prodotto dall’Ufficio – fondato su di un unico elemento (il block notes contenente le annotazioni di somme in uscita della Planet Work s.r.l. rinvenuto nel corso della verifica fiscale a carico di quest’ultima) non riferibile alla società contribuente – il cui nominativo non compariva mai – nè prodotto in giudizio e/o testualmente riprodotto nel p.v.c. della G.d.F., e dall’altro, omesso di considerare l’eccepita regolare contabilizzazione delle fatture in questione, il pagamento degli importi in esse riportati e l’effettiva esecuzione ad opera della Planet Work s.r.l. delle opere di intonacatura fatturate, ritenendo, al riguardo, che le stesse avrebbero potuto essere effettuate, avuto riguardo all’oggetto sociale, direttamente dalla F. s.r.l.;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere la CTR ritenuto erroneamente legittimo l’avviso di accertamento in questione ancorchè l’unico documento extracontabile – rinvenuto nel corso di altra verifica fiscale – posto a fondamento dello stesso – non fosse stato nè allegato al provvedimento impositivo nè tantomeno riprodotto testualmente (per essere state aggiunte delle considerazioni tratte dal Corpo militare) nel p.v.c. della G.d.F. richiamato nell’avviso;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2697 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c), per avere la CTR, da un lato, erroneamente ritenuto connotato dai requisiti di gravità, precisione e concordanza l’unico elemento indiziario costituito dalla documentazione extracontabile – che non riportava il nominativo della F. s.r.l. ma solo il nome ” G.” e il cui importo corrispondeva solo approssimativamente a quello delle fatture emesse dalla Planet Work a carico della contribuente – rinvenuta nel corso di una verifica fiscale a carico di altra società (Planet Work s.r.l.) senza che risultasse agli atti alcuna nota di pagamento o movimentazione bancaria che attestasse l’assunta avvenuta restituzione degli importi fatturati a favore della F. s.r.l., e dall’altro, per avere omesso di considerare l’eccepita regolarità dei prodotti contratti di subappalto e dei pagamenti delle fatture effettuati dalla contribuente mediante bonifico bancario nonchè l’effettiva esecuzione delle opere fatturate come da depositata perizia estimativa;

– infondato è il secondo motivo, alla luce del consolidato orientamento secondo cui “l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento, imposto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, è soddisfatto ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l’an” ed il “quantum debeatur”, e ciò può fare anche per relationem, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, purchè ne riproduca il contenuto essenziale, in quanto l’obbligo di allegazione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, u.p., deve intendersi riferito ai soli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza” (Cass. n. 23923 del 2016; n. 9323 e n. 28713 del 2017), spettando comunque a quest’ultimo “provare che almeno una parte del contenuto di tali atti sia necessaria ad integrarne la motivazione” (Cass. cit.; conf. Cass. n. 2614 del 2016 che, con riferimento alla disciplina anteriore alla L. citata, art. 7, ha affermato che “ai fini dell’annullamento il contribuente deve quindi provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporta, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza”; da ultimo, Cass. n. 30823 del 2017);

– inoltre, secondo il consolidato orientamento di legittimità, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. Parimenti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, u.p., stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 28713 del 2017; n. 407

del 2015; n. 18073 del 2008;);

– in disparte il profilo di inammissibilità per non essere stato riportato in ricorso nè l’avviso nè il p.v.c. della G.d.F., la CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo affermato che del contenuto della documentazione extracontabile su cui si basava l’avviso di accertamento aveva dato atto il richiamato (e, peraltro, pacificamente consegnato alla contribuente) p.v.c. della G.d.F.-Compagnia di (OMISSIS), con ciò, dunque, confermando la riproduzione nel richiamato p.v.c. del contenuto essenziale – non essendo, a tal fine, necessaria la riproduzione testuale – dell’atto (block notes) non direttamente conosciuto dalla contribuente;

– i motivi primo e terzo – trattare congiuntamente per connessione-sono, in parte inammissibili, in parte infondati;

– va premesso che “ai fini della identificazione del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, delle operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di iva (ma i principi valgono per tutte le imposte accertabili mediante la contestazione della veridicità delle fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass., sent. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013); in particolare, questa Corte, nelle ipotesi, come quella di specie, di operazioni oggettivamente inesistenti, ha affermato che “ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti), il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo” (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018);

– quanto alla prova di cui è onerata l’Amministrazione, e che già dal principio appena riportato si desume possa avere anche solo natura indiziaria, la Corte ha affermato che ai fini dell’accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40, per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss., e art. 2697 c.c., comma 2, (Cass., ord. n. 14237 del 2017).

Quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c., alla fattispecie concreta, poichè se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sent. n. 19352/2018; ord. n. 10973/2017, Cass., sent. n. 1715/2007); ebbene, in ordine all’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova;

– la giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque

rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria (Cass. n. 19352 del 2018);

– nella sentenza impugnata, la CTR, ha correttamente applicato le regole della prova presuntiva, ritenendo connotata dai requisiti di gravità, precisione e concordanza l’unico significativo indizio della oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate – qual era la documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica fiscale presso la società Planet Work s.r.l.- alla luce di una serie di indici valutati complessivamente- quali la riferibilità delle “annotazioni in uscita” contenute nel block notes sotto il nome ” G.” alla società Planet Work s.r.l., la corrispondenza delle fatture (n. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) riportate nelle dette annotazioni con quelle emesse nel 2005 a carico della F. s.r.l. nonchè la quasi corrispondenza delle somme in uscita (decurtate dell’ammontare dell’Iva e di un’ulteriore percentuale imputabile al compenso per la falsa fatturazione) annotate nel block notes all’imponibile delle fatture in questione;

– quanto al denunciato mancato spazio alla prova contraria a carico della contribuente circa la effettiva esecuzione delle opere fatturate, la censura si espone ad un profilo di inammissibilità, per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente, da un lato, riprodotto, nelle parti rilevanti, l’atto di appello al fine di permettere a questa Corte di verificare gli esatti termini della proposta eccezione in punto di prova contraria nè, dall’altro, trascritto o riassunto nel ricorso la perizia estimativa prodotta a riprova della effettività della esecuzione dei lavori in questione; ciò in ossequio all’insegnamento di questa Corte, secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743 del 2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte:

– rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotare a debito.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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