Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3093 del 11/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3093 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CARRATO ALDO

usucapione

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 17891’08) proposto da:
BREZZI ANNA (C.F.: BRZ NNA 47H64 A182E), rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Carlo Porrati ed Ennio Luponio ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, via M. Mercati, n. 51;

– ricorrente contro
S.A.S. GIEFFE di Domenico Mignone & c., in persona del legale rappresentante portempore, e FALLIMENTO FILI VACCARINI & c., in persona del curatore;

– intimati —
Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1840/2006, depositata il 22
novembre 2006 (e non notificata);

2,6q-(7(3

Data pubblicazione: 11/02/2014

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18 dicembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito l’Avv. Ennio Luponio (per la ricorrente);
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio
Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Con atto di citazione, notificato 1’11 dicembre 1997, la sig.ra Brezzi Anna conveniva in
giudizio, dinanzi al Tribunale di Alessandria, la s.a.s. Gieffe di Domenico Mignone & c.,
chiedendo la determinazione dell’esatto confine tra la sua proprietà (sita nel Comune di
Alessandria, zona “Strada Pavia”) e quella della predetta società, con apposizione dei
termini e il rilascio da parte della stessa convenuta della porzione di terreno di proprietà di
essa attrice illegittimamente detenuta, oltre che la determinazione del luogo di esercizio
della servitù di passaggio pedonale e carraio secondo il titolo costitutivo, con divieto alla
medesima società di esercitare il transito su altra parte di proprietà della stessa Brezzi. Si
costituiva in giudizio la società convenuta, la quale instava per il rigetto della domanda
della Brezzi e, in via riconvenzionale subordinata, invocava l’applicazione del disposto
deWart, 938 cc

,

a, in ulteriore subordine, la condanna del Fallimento della s.n.c. F.iii

Vaccarini & c., in persona del nominato curatore, di cui si chiedeva la chiamata in causa, a
garantirla da tutte le domande attoree e dagli esborsi eventualmente da sostenere ai sensi
del citato art. 938 c.c., oltre al risarcimento dei danni. Il predetto Fallimento si costituiva in
causa, svolgendo difese analoghe a quelle della Gieffe s.a.s. con riguardo alle proposte
domande principali, instando, tuttavia, per la reiezione delle richieste di garanzie, non
potendosi ritenere applicabili alle vendite fallimentari gli artt. 2921 e 2922 c.c. .
All’esito dell’esperita istruzione probatoria, il Tribunale adito, con sentenza depositata il 22
settembre 2003, accoglieva le domande della Brezzi relative al regolamento di confini,
all’apposizione dei termini (a spese comuni delle parti confinanti), al rilascio della porzione
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

del suo fondo illegittimamente occupata, dichiarando, altresì, che il luogo di esercizio della
servitù di passaggio gravante sul suo fondo era quella rappresentata nella planimetria
allegata sub c alla relazione del c.t.u., oltre ad ordinare alla s.a.s. Gieffe di cessare l’attività
di passaggio al di fuori del sedime indicato e di rimuovere, a sua cura e spese, le opere
realizzate al di fuori di tale tracciato; respingeva ogni altra domanda e compensava

l’onere delle spese occorse per la c.t.u.).
Interposto appello da parte della s.a.s. Gieffe e nella costituzione di entrambe le parti
appellate, la Corte di appello di Torino, con sentenza (non definitiva) n. 1840 del 2006
(depositata il 22 novembre 2006), accoglieva, per quanto di ragione, il gravame e, per
l’effetto, in parziale modifica della sentenza impugnata, individuava il luogo di esercizio
della servitù di transito pedonale e carraio a favore dei fondi della società appellante ed a
carico dei fondi di Brezza Anna, secondo il tracciato in concreto già esistente ed
individuato in blu nell’elaborato peritale a firma del geom. Maurizio Rossini, depositato il 30
ottobre 2000 (individuante un percorso parzialmente diverso dal tracciato pattizio con
riferimento al tratto di strada incidente sul fondo di cui al mappale 42); accertava, altresì,
che il Fallimento della s.n.c. F.11i Vaccarini & c. era tenuto a garantire la s.a.s. Gieffe per
l’evizione parziale ex art. 2921 c.c. relativamente alla porzione di fondo da rilasciare
perché risultata di proprietà della Brezzi Anna, e a risarcire i danni consistenti negli esborsi
per la rimozione delle opere ivi esistenti (per la cui determinazione la causa veniva
rimessa sul ruolo per l’ulteriore prosecuzione); compensava interamente le spese del
giudizio di primo grado tra la Brezzi e la s.a.s. Gieffe (a cui carico poneva le spese di
c.t.u.) mentre condannava la stessa Brezzi alla rifusione delle spese relative al giudizio di
appello, in favore della s.a.s. Gieffe.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte torinese rilevava, in via preliminare, che la
valutazione della domanda di usucapione riproposta dalla s.a.s. Gieffe avrebbe dovuto
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integralmente tra le parti le spese giudiziali (ponendo, tuttavia, a carico della s.a.s. Gieffe

tener conto della circostanza che la stessa si riferiva, in effetti, ad un diritto di servitù di
contenuto parzialmente diverso da quello pattizio; sulla scorta di tale presupposto, la Corte
di secondo grado evidenziava che, alla stregua delle risultanze probatorie acquisite, era
emerso che, da oltre vent’anni prima dell’introduzione, nel 1997, del giudizio di primo
grado, l’accesso alla pubblica via e l’uscita dalla pubblica via ai capannoni di proprietà

avvenuti, in modo continuato, pacifico ed ininterrotto, attraverso la strada incidente anche
sul fondo di cui al mappale 42 di proprietà della Brezzi Anna (e, quindi, mèdiante un’opera
apparente) secondo il percorso ricostruito dal c.t.u. Rossini (diverso con riguardo al
secondo tratto del tracciato individuato pattiziamente sulla planimetria allegata all’atto di
compravendita a rogito per notar Mussa del 4 maggio 1963). La Corte piemontese
riteneva, inoltre, la sussistenza della legittimità dell’azione proposta dalla s.a.s. Gieffe
avverso il venditore Fallimento F.11i Vaccarini per la garanzia da evizione parziale di cui
all’art. 2921 c.c., da ritenersi ritualmente proposta in quella sede processuale siccome
strettamente correlata all’azione di regolamento di confini proposta dalla Brezzi Anna nei
confronti della società acquirente; aggiungeva la Corte di secondo grado che tale
doglianza era anche fondata nel merito limitatamente alle somme necessarie (da
determinarsi nel proseguo del giudizio) per la rimozione delle opere esistenti sulla
porzione di fondo da rilasciare in favore della Brezzi, poiché si trattava di esborsi che
erano conseguenza diretta dell’accertata altruità di parte dell’immobile compravenduto.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per
cassazione la sig.ra Brezzi Anna, basato su quattro motivi, in relazione al quale nessuna
delle parti intimate ha svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto — in relazione all’art. 360, nn. 3,4 e 5, c.p.c.
— la supposta violazione e falsa applicazione degli artt. 188, 189, 190, 245, 281 bis, 281
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della s.n.c. F. Ili Vaccarini, e, quindi, successivamente della s.a.s. Gieffe, erano sempre

quinquies e 345 c.p.c., con riferimento alla ritenuta nullità della sentenza derivante dalla
violazione delle norme processuali sull’ammissione delle prove, oltre che per omessa o,
comunque, insufficiente motivazione circa fatti e decisivi per il giudizio. A corredo di tale
motivo, la ricorrente ha formulato, quanto alla prospettata violazione di legge, ai sensi
dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando la

S. C. se l’ordinanza del giudice che dichiara la causa matura per la decisione e fissa
udienza per la precisazione delle conclusioni definitive contenga in sé, quantomeno
implicitamente, declaratoria di chiusura della fase istruttoria e comporti, altresì, la revoca
della precedente ordinanza di ammissione di prove per interrogatorio formale e testi non
assunte e se, quindi, la parte interessata che, all’udienza di precisazione delle conclusioni
definitive, abbia riproposto altre istanze istruttorie (nella specie, di rinnovazione della c.t.u.)
ma non abbia riproposto specificamente l’istanza delle dette prove per interrogatorio
formale e testi debba intendersi che abbia rinunciato a queste ultime”.
Con riferimento al vizio di motivazione la ricorrente ha inteso evidenziarne la
contraddittorietà tra il riconoscimento della “mancata specifica riproposizione dei mezzi di

prova orale in sede di udienza di precisazione delle conclusioni’ e l’asserzione che le
conclusioni precisate nel giudizio di primo grado non avrebbero giustificato una
valutazione nel senso della rinuncia ai mezzi di prova orale; e, stante ancora l’asserzione
che tale riproposizione non sarebbe stata necessaria trattandosi di mezzi di prova già
ammessi e l’omessa considerazione che il G.I., con propria ordinanza del 12 luglio 2002 e
depositata il 17 luglio 2002, aveva ritenuto la causa matura per la decisione, aveva fissato
l’udienza per la precisazione delle conclusioni definitive, il che conteneva in sé,
quantomeno implicitamente, la dichiarazione di chiusura della fase istruttoria e
comportava, altresì, la revoca della precedente ordinanza di ammissione delle prove.

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sentenza impugnata pubblicata il 22 novembre 2006), il seguente quesito di diritto: “dica la

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato — ai sensi dell’art. 360, nn. 3,4 e 5,
c.p.c. – la supposta violazione e falsa applicazione degli artt. 246 e 105 c.p.c., avuto
riguardo alla ravvisata nullità della sentenza derivante dalla violazione delle norme
processuali sulla capacità a testimoniare, nonché il vizio di omessa o, comunque,
insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. In virtù dell’art. 366

quesito di diritto: “dica la S. C. se il luogo di esercizio della servitù di passaggio, individuato
secondo il titolo costitutivo del diritto, interessi porzioni immobiliari di due diversi
proprietari, gravando a cavallo del confine tra i rispettivi fondi e sorga controversia tra il
proprietario del fondo dominante ed il proprietario di uno dei fondi serventi, in cui il
proprietario del fondo dominante sostenga di aver usucapito per un tratto un luogo di
esercizio del diritto diverso da quello stabilito dal titolo sì da gravare in misura maggiore su
tale fondo servente, il proprietario dell’altro fondo servente sia legittimato a partecipare al
giudice per far dichiarare, prestando adesione a quanto sostenuto dal proprietario del
fondo dominante, che sarebbe stato usucapito un luogo di esercizio della servitù diverso
da quello risultante dal titolo e, corrispondentemente, liberare parte del suo fondo dal peso
gravante per l’esistenza della servitù e, quindi, sia incapace a testimoniare ex art. 246 c. c.
in tale giudizio”.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha censurato — ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. – la
sentenza impugnata per omessa e, comunque, insufficiente motivazione circa il fatto
controverso e decisivo per il giudizio costituito dal mancato esame della prova decisiva
rappresentata dal contenuto dell’atto rogato per notar Carlo Mussa del 4 maggio 1963,
poiché la Corte di appello aveva preso in considerazione detto atto solo ai fini della
determinazione pattizia del luogo di esercizio della servitù ma, nel contempo, aveva
omesso di valutare che le parti dello stesso atto (identificantisi, da una parte, con i danti
causa della stessa Brezzi Anna, e, dall’altra parte, con i danti causa della s.a.s. Gieffe)
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bis c.p.c. . A fondamento della dedotta violazione di legge risulta indicato il seguente

avevano dichiarato, nel corpo del documento, il fatto storico della posizione della strada
esistente all’epoca, ove, nell’atto stesso, si era stabilito che dovesse essere esercitata la
servitù di passaggio; e, poiché lo spostamento del luogo di esercizio della servitù era
avvenuto dopo il 1989, ne derivava che — all’epoca di instaurazione della causa (nel
dicembre 1997) — il termine ventennale necessario per l’acquisto a titolo di usucapione

comunque, insufficientemente motivato sul fatto decisivo per il giudizio attinente
all’accertamento della circostanza se vi fosse stato possesso ultraventennale di un luogo
di esercizio della servitù di passaggio diverso da quello stabilito nel titolo costitutivo.
4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360, n. 3,
c.p.c. — la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., formulando, al riguardo, il
seguente quesito di diritto (ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.): “dica la S.C. se, ai sensi

dell’art. 91 c.p.c., l’individuazione della parte soccombente ai fini della pronuncia sulle
spese processuali vada condotta in relazione all’esito finale del processo, nel suo insieme,
secondo una valutazione globale ed unitaria, oppure se rilevi l’esito delle diverse fasi del
processo, essendosi stati più gradi di giudizio, e la pronuncia emessa su singoli oggetti di
domanda”.
5. Rileva il collegio che la prima censura — come precedentemente richiamata — è
infondata e deve, pertanto, essere rigettata.
Con essa, la ricorrente ha inteso confutare la sentenza impugnata — sotto i riportati profili —
nella parte in cui aveva ritenuto che la s.a.s. Gieffe non avesse rinunciato (quanto meno
implicitamente) all’espletamento delle prove testimoniali già ammesse, ma non assunte
nel corso del giudizio di primo grado, malgrado, in sede di precisazione delle conclusioni,
la stessa parte deducente non avesse richiesto di provvedere al loro esperimento, con la
conseguenza che l’ordinanza del giudice istruttore, con la quale era stata fissata l’udienza
di precisazione delle conclusioni sul presupposto che la causa fosse matura per la
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non poteva ritenersi ancora maturato. Pertanto, la Corte piemontese aveva omesso o,

decisione, avrebbe dovuto — secondo la prospettazione della Brezzi – comportare
implicitamente la revoca del pregresso provvedimento ammissivo delle prove.
Orbene, se, in punto di diritto, è corretto ritenere (cfr., ad es., Cass. n. 18688 del 2007 e,
da ultimo, Cass. n. 18540 del 2013) che, in tema di istruzione probatoria nel rito
ordinario, spetta alla parte attivarsi per l’espletamento del richiesto mezzo

inattiva, chiedendo la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni
senza più instare per l’espletamento del mezzo di prova, è presumibile che abbia
rinunciato alla prova stessa, deve, però, rilevarsi (per quanto emergente “ex actis”,

esaminabili anche nella presente sede di legittimità in relazione alla natura processuale
del vizio denunciato) che, nel caso di specie, la difesa della predetta società appellante —
nel rassegnare le conclusioni all’esito del giudizio di primo grado — aveva comunque
manifestato la volontà di richiamarsi alle istanze — anche istruttorie – precedentemente
formulate.
In particolare, dal relativo verbale di udienza del 12 marzo 2003 del giudizio di prime cure
svoltosi dinanzi al Tribunale di Alessandria, si evince che il difensore della s.a.s. Gieffe
aveva espressamente invocato raccoglimento delle conclusioni formulate nelle comparsa
di costituzione e risposta (con chiamata in causa di terzo), da ritenersi per integralmente
trascritte e, come tali, risultano riportate nell’epigrafe della stessa sentenza di primo grado,
ivi compreso l’inequivoco riferimento all’ammissione (e, quindi, alla relativa assunzione,
ove accolte) delle istanze istruttorie in tale comparsa dedotte.
Pertanto, se è vero che non può riconoscersi alla parte il diritto di scegliere se esperire in
primo o in secondo grado una prova ammessa e di condizionarne l’espletamento all’esito
di per sé pregiudizievole del giudizio di prime cure (donde l’erroneità, al riguardo della
distinzione — operata sul punto dalla Corte torinese — tra prove ammesse e non ammesse,
potendo la rinuncia riguardare anche l’espletamento di prove ammesse), è altrettanto
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istruttorio che il giudice abbia ammesso, ragion per cui, ove la parte rimanga

indubbio che, nella fattispecie in questione, che, con le conclusioni precisate nei riferiti
termini, la s.a.s. Gieffe non avesse inteso rinunciare (nemmeno implicitamente) alle prove
dedotte (e, quindi, anche a quelle già ammesse).
Pertanto, la proposta doglianza non è, per quest’ultima assorbente ragione (in tal senso
correggendosi sul punto la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c.,

quindi, disattesa.
5. Anche la seconda censura (la quale, peraltro, quando al dedotto vizio di insufficienza
motivazionale non è corredata dalla specifica ed autonoma sintesi delle ragioni dedotte a
fondamento della supposta inadeguatezza, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.) non è
meritevole di pregio e deve, quindi, essere respinta.
Con tale doglianza, la ricorrente ha inteso, in sostanza, dedurre le ricordate violazioni di
legge riconducibili agli artt. 246 e 105 c.p.c. e il richiamato vizio logico in ordine alla
ritenuta insussistenza — nella sentenza impugnata — dell’incapacità a testimoniare del sig.
Coscia Gian Paolo, malgrado lo stesso fosse proprietario di un fondo interessato dal
tracciato della servitù.
Orbene, al di là della circostanza che la valutazione operata dalla Corte di appello
piemontese sulla fondatezza della domanda di intervenuta usucapione di passaggio
pedonale e carraio in favore del fondo della società Gieffe non poggia unicamente sulla
deposizione del suddetto teste (dal che deriva l’ininfluenza della questione sull’incapacità
o meno dello stesso a deporre e della relativa ricaduta sulla sua eventuale legittimazione
ad impugnare), il menzionato giudice di secondo grado — con un apprezzamento di fatto
sufficientemente e logicamente motivato in relazione alle risultanze istruttorie
obiettivamente acquisite – ha rilevato che coevarmente all’accertamento dell’usucapione in
ordme ad un diverso percorso dei iteciato sitano Clocus servitutìn & era vanuta

verificare l’estinzione del diritto relativamente al tracciato convenzionale (ovvero
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risu(tando it corrispondente dispositivo conforme al diritto), meritevole di pregio e va,

individuato dal titolo) e che, in base agli esiti dell’accertamento del c.t.u., era da ritenersi
che fosse rimasto escluso che il mutamento del percorso della servitù interessasse anche
il tracciato sul fondo del Coscia (come previsto, invece, nel titolo costitutivo del diritto). Da
ciò la Corte torinese ne ha fatto legittimamente discendere la conseguenza che, nel caso
di specie, non ricorreva una ipotesi ricollegabile propriamente all’applicabilità dell’art. 246

giudizio, che avrebbe potuto, tutt’al più, incidere sulla sola attendibilità della sua
testimonianza. A tal proposito si evidenzia che — secondo il costante orientamento della
giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 805 del 1978 e, da ultimo, Cass. n.
9353 del 2012) — l’incapacità a deporre prevista dall’art 246 c.p.c. si verifica solo
quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo
coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art.
100 c.p.c., sì da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua
testimonianza, con riferimento alla materia che ivi è in discussione, non avendo,
invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del giudizio stesso salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione
dell’attendibilità del teste -, né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da
quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a
meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già
concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio.
7. Anche la terza censura relativa al vizio motivazionale precedentemente richiamato
(peraltro non assistita da un idoneo assolvimento del requisito prescritto dall’art. 366 bis
c.p.c.) non coglie nel segno e va disattesa.
Con essa la ricorrente ha posto in discussione l’adeguatezza della motivazione adottata
nell’impugnata sentenza nella parte in cui non sarebbe stata conferita una rilevanza

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c.p.c., potendo riconoscersi in capo al Coscia un interesse di mero fatto all’esito del

centrale soprattutto alla prova documentale costituita dalle risultanze dell’atto rogato per
notar Mussa del 4 maggio 1963.
Tuttavia, rileva il collegio che la doglianza si risolve nella risollecitazione della rivisitazione
valutativa delle emergenze istruttorie complessivamente acquisite (documentali ed orali),
che — come è noto — è inammissibile in sede di legittimità, risultando, nella fattispecie,

analiticamente alla valorizzazione dei riscontri desumibili dalle plurime deposizioni
testimoniali e dagli accertamenti peritali svolti, non disgiunti dalla considerazione degli
elementi dell’atto costitutivo della servitù volontaria del 1963, è pervenuta, all’esito di un
percorso logico sufficientemente congruo, alla conclusione che, da oltre venti anni prima
dell’introduzione, nel 1997, del giudizio di primo grado, l’accesso dalla via pubblica ai
capannoni (come il percorso inverso) di proprietà della s.n.c. Vaccarini, prima, e
dell’avente causa s.a.s. Gieffe era sempre avvenuto, in modo continuato, pacifico ed
ininterrotto (oltre che manifestandosi in modo apparente), attraverso la strada incidente
anche sul fondo di cui al mappale 42 di proprietà della ricorrente Brezzi Anna, secondo il
percorso individuato — con colore blu — dal c.t.u., con uno sviluppo diverso, quanto al
secondo tratto, dal tracciato delineato pattiziamente nella planimetria allegata all’atto di
compravendita concluso con il suddetto rogito per notar Mussa del 4 maggio 1963.
Del resto, è risaputo che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ove il
convincimento del giudice di merito si sia realizzato attraverso una valutazione dei
vari elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, il ricorso per
cassazione deve evidenziare l’inadeguatezza, l’incongruenza e l’illogicità della
motivazione, alla stregua degli elementi complessivamente utilizzati dal giudice, e di
eventuali altri elementi di cui dimostri la decisività, onde consentire
l’apprezzamento dell’incidenza causale del vizio di motivazione sul “decisum”, non

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idoneamente operata dalla Corte di merito di secondo grado, che, nel procedere

potendo limitarsi, in particolare, ad inficiare solo alcuni degli elementi della
complessiva valutazione.

D’altro canto, è altrettanto pacifico che con la proposizione del ricorso per cassazione,
il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme,
l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di

infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto
sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa,
ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza
giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di
individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, di valutare le prove,
controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

8. Infine, anche il quarto motivo attinente alla regolazione delle spese giudiziali all’esito del
secondo grado è da ritenersi privo di fondamento.
Infatti, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, la Corte di appello di Torino
ha, in sostanza, avendo riformato parzialmente la sentenza di primo grado, proceduto
d’ufficio ad una nuova regolamentazione delle intere spese processuali, quale
conseguenza della finale pronuncia di merito adottata e, nel disciplinarle
complessivamente, ha ritenuto — anche in virtù della portata delle domande esaminate ed
effettivamente accolte e respinte (e non tutte riproposte in sede di gravame) sussistessero le condizioni per compensare — nel rapporto processuale intercorso tra la
Brezzi e la società Gieffe — le spese del primo grado di giudizio (salvo che per quelle
occorse per la c.t.u., rimaste addossate alla s.a.s. Gieffe, la quale, in ipotesi, avrebbe
avuto interesse ad impugnare, in questa sede, la statuizione sul punto) ed, in virtù della
soccombenza conclusiva della Brezzi in ordine alle domande involte dal gravame proposto
.

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valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove,

dalla s.a.s. Gieffe, ha posto legittimamente a carico della odierna ricorrente le spese del
giudizio di secondo grado.
9. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere
integralmente respinto, senza che occorra farluogo alla pronuncia sulle spese del presente
giudizio di legittimità, non avendo entrambe le parti intimate svolto attività difensiva.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso nella camera di consiglio della 2″ Sezione civile in data 18 dicembre 2013.

P.Q.M.

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